Riforma dei Fondi strutturali – Parlamento Europeo- primi anni ’90

La riforma dei fondi strutturali muove dalla constatazione del mancato conseguimento degli obiettivi proposti con la loro istituzione; in particolare il riequilibrio economico – sociale che va anzi scompensandosi in forme sempre più accentuate.
Né a giustificare il risultato negativo basta l’insufficienza dei fondi, la dispersività settoriale e territoriale di questi, l’inefficienza amministrativa ed imprenditoriale delle aree svantaggiate .
È sin troppo facile dimostrare che la politica agricola comunitaria ha distrutto l’economia rurale delle Regioni meridionali ed insulari italiane con l’emissione sul mercato Europeo di merci provenienti da Paesi terzi ove il costo del lavoro è più simbolico che rurale.
Tutto ciò mentre si favoriva uno sviluppo ipertrofico delle produzioni agroalimentari Mitteleuropee che da deficitarie sono diventate pesantemente eccedentarie, diventando così il principale beneficiario delle risorse comunitarie.
Ma il vero freno allo sviluppo è costituito dall’avere delegittimato le Regioni nel loro ruolo di progettazione e governo dello sviluppo.
Il Governo dello Stato si è di fatto frapposto non quale ponte alla soluzione di continuità e diaframma fra le Regioni e la Comunità.
In questo contesto è venuta a mancare l’addizionalità e quindi la solidarietà e si rafforza la subalternità.
Certo apprezziamo positivamente le innovazioni volte a rafforzare il partenariato delle parti sociali; il consenso regionale locale ai quadri comunitari di sostegno che restano però prioritaria competenza statale, la presenza delle Regioni nel Comitato Consultivo e, nella fase propositiva dei programmi e delle sovvenzioni globali, ma individuiamo nell’orizzonte di una generica flessibilità il tentativo della Commissione, e quindi degli Stati, di dilatare sino ai confini dell’arbitrio le proprie iniziative andando oltre gli spazi previsti dagli obbiettivi 1 – 2 e 5 lo è addirittura oltre quelli della stessa Comunità. Con queste premesse l’Europa è sempre più lontana.

Seguono appunti:

1993 Approvazione nuovo Quadro Comunitario di Sostegno
1993 luglio Completamento programmi da inserire nel Piano di sviluppo delle Regioni di cui all’obiettivo 1 per il periodo 1994-1999 cui le regioni intendono attivamente partecipare (sussidiarietà)
1994 Inizio attuazione nuovi programmi operativi
A tal fine:
▪ a. Le autorità nazionale forniscono gli elementi conoscitivi sui programmi realizzati e da realizzare in ambiti multiregionali cofinanziati da stati-comunità.
▪ b. Le regioni aprono una intensa fase di concertazione esplicando partecipazione attiva all’attuazione dei programmi già in sede di formazione del Piano globale di Sviluppo.
In particolare:
1° Partecipazione nell’elaborazione dei programmi multiregionali.
2° Formulare programmi regionali da integrare e coordinare con quelli multiregionali.
3° Formulare, per iniziativa regionale, programmi multiregionali da coordinare con le previsioni del Piano globale di Sviluppo.
▪ c. Nella programmazione degli interventi le Regioni si atterranno al criterio della concentrazione delle risorse sia nella scelta dei settori quando nelle linee di intervento.
▪ d. Regioni: confermare quote F.S.E. e FESR attenti per il referendum abolizione del Ministero Agricoltura
▪ e. Durata del Piano. Nel quadro programmato nell’arco di 6 anni le Regioni auspicano: 1° un primo biennio che consenta le scelte operative e finanziarie, 2° attivare procedure sufficientemente duttili sì da garantire sistematico aggiornamento tempi esecutivi
▪ f. Regioni sollecitano posizione comune degli Stati perché :
1° l’intervento comunitario sia elevato al 75% del costo globale degli investimenti
2° dare all’attuazione la necessaria flessibilità si da favorire i processi d’integrazione istituzionale nei cofinanziamenti delle opere
3° definire meglio il concetto di aggiuntivi: fisso per lo stato, flessibile per le regioni (specie quelle arretrare)
4° rendere più organica, efficiente ed estesa l’opera di assistenza attraverso finanziamenti regionali – comunitari adottando misure operative nelle singole regioni.
L’assistenza passa attraverso valutazioni rigorose ed analitiche dei risultati conseguiti nel programma precedente (ex Post) per formulare adeguate indicazioni sul nuovo programma (ex ante).

Quadro finanziario per l’elaborazione del Piano di Sviluppo
È necessario conoscere preventivamente la massa finanziaria disponibile per la realizzazione del Piano.
Nell’incertezza di tale dato si tende a fare l’inventario dei bisogni. Assemblandoli si finisce con lo scrivere un libro di sogni. Risultato: le scelte dal livello regionale si spostano a quello nazionale e comunitario.
In uno studio del prof. De Palma si è ipotizzata una verosimile ripartizione per Regioni delle risorse dei fondi strutturali, con riferimento al “Delors 2” (vertice Edimburgo dic. ’92).
Alle Regioni dell’obiettivo 1 dell’Italia spetterebbero 28.500 miliardi di lire, uguali a 15 milioni di ECU. Tale cifra, ripartita negli anni, garantirebbe un flusso annuo di 4570 miliardi l’anno.
Facendo riferimento alle risorse ripartite nell’anno 1989-’93 si avrebbe:

Regioni FESR FSE FEOG TOT
Molise 340 125 150 690
Campania 2021 743 895 3659
Puglia 1502 552 665 2719
Basilicata 690 254 305 1248
Calabria 1143 420 506 2069
Sicilia 1899 698 840 3437
Sardegna 1162 427 514 2013
Totale Reg. 9446 3474 4110 17100
Totale 9079 2321 11400
Multiregionale

Nell’eventualità che il tasso d’aiuto comunitario raggiunga il 75% avremmo la seguente ripartizione:

Regioni Fond. Com. F. Naz. Reg Totale
Abruzzo 1248 416 1664
Molise 616 205 821
Campania 3659 1220 4879
Puglia 2719 906 3625
Basilicata 1248 416 1664
Calabria 2069 690 2759
Sicilia 3437 1146 4583
Sardegna 2103 701 2804
Totale Reg. 17100 5700 22800
Tot. multir. 11400 3800 15200
Tot gener. 28500 9500 38000

Nell’ipotesi che venisse escluso l’Abruzzo e restassero immutate le cifre globali alle restanti, tutto ciò con riferimento alla tabella n° 1

Regioni FESR FSE FEOG TOT
Molise 340-367 125-135 150-162 664-690
Campania 2021-2111 743-802 895-965 33948
Puglia 1502-1620 552-596 665-717 2933
Basilicata 690744 254-274 305-329 1347
Calabria 1143-1233 420-456 506-546 2232
Sicilia 1899-2048 690-753 840-906 3708
Sardegna 1162-1253 427-461 514-555 2269
Totale Reg. 9446-9446 3474-3474 4180 17100
Totale 9079 2321 11400
Multiregionale
Tot. gener. 18525 5795 4180 28500

Una volta definito il quadro finanziario, a conclusione del negoziato sul nuovo regolamento dei fondi strutturali, potranno elaborarsi programmi sulla base di scelte che investano assi portanti dello sviluppo. In particolare programmi operativi, sovvenzioni globali, grandi progetti.
Incertezze nei rapporti tra: Regioni e Governo italiano
Esigenza primaria:
1° individuare le Amministrazioni centrali con ruolo di capofila – responsabile della politica di ciascun fondo e dell’elaborazione globale del Piano, sì che le Regioni possano farvi certo riferimento.
Regna di fatto incertezza e confusione.
Infatti il Ministro per il Coordinamento Politiche Comunitarie chiede alle Regioni le rispettive proposte di piano entro maggio ’93.
Il Ministro del Tesoro (ex) il 5 aprile ’93 ha indicato le seguenti priorità per le regioni di cui al n°1.
Risorse CEE: 50% investimenti industriali
20% investimenti turistici
20% investimenti in formazione
10% investimenti in settore idrico

Investimenti attuabili in favore delle regioni che regioni che reperissero le risorse mancanti per il cofinanziamento. Rinazionalizzare politica regionale.

Causa mancato utilizzo regionale Fondi CEE obiettivo 1

▪ 1° elevata frammentazione (moltitudine) interventi. Sperpero attività tecnico-amministrative per progetti irrilevanti.
▪ 2° assenza, al momento approvazione programmi di progetti cantierabili e difficoltà tecnico-amministrative per l’elaborazione e concessione relative alle autorizzazioni.
▪ 3°lentezza nella messa a disposizione delle Regioni dei fondi statali e della stessa CEE (legge 64/86 – fondo rotazione nazionale)
▪ 4° scoordinamento fra normativa CEE (specie in campo procedurale: comitati amministrativi e monitoraggio) e norme nazionali e regionali. Sconosciuta la cultura del controllo di gestione.
▪ 5° carenze amministrative anche in sede CEE, conflitti di competenza D.G. e con ministeri italiani.

Risposte

▪ a concentrare risorse negli assi dello sviluppo: strategie
▪ b controllo più snello e costante
▪ c orientare le risorse dei grandi progetti verso forme di coinvolgimento dei privati, ricorrendo, se del caso, allo strumento della sovvenzione globale
▪ d riesaminare criticamente procedure e soggetti chiamati al controllo e coordinamento degli interventi; competenze regionali: Assessorato Programmazione, Ufficio CEE
▪ e rafforzare ruolo Comitato amministrativo dotandolo di mezzi e poteri suscettibili di esercitare un ruolo concreto sia nei confronti degli Assessorati che degli Enti regionali delegati all’attuazione.
▪ f coinvolgere le forze sociali nei comitati in armonia con i nuovi regolamenti presentati dalla Commissione

CEE sportello

CEE vista dalle Regioni meridionali quale sportello.
Andreatta: la CEE trasferisca le risorse nel bilancio degli Stati che provvederanno a spenderli
Problema attuale:
elaborare, modificandole, strutture produttive sì da renderle capaci di superare divario economico – sociale – civile.
trasferimento risorse non sufficiente di per sé a creare economia autopropulsiva. Anzi, tende a creare assistenzialismo e corruzione.

È quindi importante puntare, nell’acquisire risorse, a modificare la struttura produttiva, modificando anche strutturalmente la gestione delle risorse.
Non più Europa – sportello
Non più Regione – sportello
Avanzano altrimenti le regioni ricche e si fermano le arretrate.
Basta con gli interventi a pioggia, finalizzati a placare le attese del quotidiano, fra loro scoordinati e privi di qualsivoglia progetto e prospettiva.
In effetti, non incidendo sulle cause ma sugli effetti (per attenuarne gli effetti negativi) le risorse si disperdono.
In effetti così è avvenuto con i PIM, i POP (Programmi Operativi Plurifondo) e, in parte, con i PNIC, contenitori di azioni indistinte, scoordinate, infeconde.
A questi fattori dispersivi si aggiunge l’inefficienza della Pubblica Amministrazione che genera ritardi nell’adempimento degli impegni, pagamenti e perdita dei finanziamenti.
Di qui:
▪ Programmi chiari
▪ scelte precise
▪ scala priorità
▪ carattere strutturale degli interventi
▪ concentrazione degli interventi

ostacolo al corretto rapporto: Regioni= Comunità
Diaframma governativo considera politica comunità sia quale politica estera e rivendica a sé competenze che, in base alla Costituzione, spettano alle Regioni.
In effetti
Le politiche comunitarie sono utilizzate del Governo quale strumento per:
▪ a recuperare “competenze regionali” e nazionalizzarle
▪ b appropriarsi delle risorse comunitarie e utilizzarle in sostituzione delle proprie distruggendo un elemento essenziale della politica comunitaria in favore delle Regioni in ritardo: l’Addizionalità.

Sul piano democratico o della democratizzazione del potere pubblico, lo Stato deve smettere di sostituirsi ai poteri locali in materia di programmazione, ma limitarsi ad azione di coordinamento, controllo e verifica dei risultati.
Non è accettabile che il Governo in nome dei cosiddetti programmi multiregionali, espropri le Regioni in nome dei progetti strategici (nient’altro che invadenza burocratica e tangentocratica del potere centrale).
L Regioni vivono quindi una sostanziale indeterminatezza programmatica.
Andreatta è arrivato a dire “provocatoriamente” che le Regioni potranno utilizzare le risorse comunitarie se troveranno le risorse per il coofinanziamento. Le Regioni ordinarie non hanno risorse proprie!

Documenti elaborati dalla Commissione, Governi nazionali, Regioni richiamano a scelte chiare, priorità, carattere strutturale dei programmi, ma, soprattutto, ad efficiente rapporto Comunità-Regioni-
Maastricht segna un chiaro orientamento per un crescente ruolo comunitario delle Regioni (Comitato delle Regioni, potere vicino al cittadino), ma, nei fatti, lo stesso Maastricht insinua i punti di debolezza e ambiguità laddove inserisce in forma indiscriminata gli EE.LL. nel Comitato delle Regioni e non estende esplicitamente la sussidiarietà alle Regioni.
Letteralmente parlando, si limita a richiamare comunità – stati.Si può osservare che lo Stato-Istituzione ricomprende tutte le istituzioni nelle quali si articola (quindi: Regioni, Provincie, Comuni, etc) ma non si fugge all’ambiguità di un’interpretazione che offre il fianco ad una lettura restrittiva del testo, considerando lo “Stato-persona” e non istituzione.
Tutto questo determina un processo di accentramento molto più stringente ed oppressivo che nel passato in considerazione del moltiplicarsi di compiti dello Stato nei campi più diversi, sociale, economico, culturale, etc.
Altre Regioni d’Europa, come per altro organizzazioni sociali a base economica (e non), aziende, hanno i loro uffici di rappresentanza accreditati presso la Comunità. Ciò è vietato alla Regioni italiane sotto il pretesto di incompetenza in politica estera.
Si è in presenza di una manovra volta a rinazionalizzare le politiche regionali anche nelle materie che gli statuti riconoscono espressamente alla competenza regionale.
Avviene così che la politica comunitaria si sta rivelando anziché un arricchimento della sfera politico-istituzionale delle Regioni, uno strumento per impoverirne il ruolo costringendole a semplici destinatarie di decisioni esterne.
Occorre perciò definire, anche per dare certezze di programmazione di Governi regionali il quantum di risorse comunitarie spettanti a ciascuna. Definizione deducibile dall’adozione di parametri coordinati quali densità di popolazione (sanità), estensione del territorio (strade etc), indice di sviluppo economico (obiettivi n°1 e 2 e così via) e quegli altri che si riterranno utili.
I così detti progetti strategici o multiregionali debbono costituire l’eccezione e definirsi con l’iniziativa o, comunque, l’esplicito consenso delle Regioni interessate.
Il Governo deve rispettare l’aggiuntività dell’intervento comunitario e non farsene sostituire come è avvenuto per la metanizzazione del Mezzogiorno.
Iniziative strutturali della Regione
Piano Acque usi agricoli
usi industriali
usi civili, genico sanitari, turistici
Intese di programma
Regione-Stato di riassetto territoriale che coinvolga l’impresa singola o associata: industriale, artigianale, agricola, turistica attraverso programma regionale di cofinanziamento dei Consorzi Fidi e dei Fondi Rischi.
Di qui discende il ricorso alla Sovvenzione Globale: Consorzio 21, SFIRS – ENISUD al fine di associare finanziamento privato al finanziamento pubblico.
Ricerca: finanziamento Università, Ente informatico, Parco tecnologico regionale.
Fondo sociale europeo: ridurre gli enti di formazione, selezione qualitativa dei Corsi, meccanismi efficaci di controllo.
Fondo regionale di Sviluppo:
Non progetti singoli ma meccanismi di finanziamento coordinati allo scopo di accrescere le disponibilità di risorse per lo sviluppo dell’impresa industriale, artigianale, turistica e agricola.
Privilegiare interventi di carattere produttivo.
Programma regionale di Sviluppo (risorse regionali) si pone mano alle infrastrutture di media dimensione. Per le grandi infrastrutture risorse Stato CEE.
Il mancato obiettivo di riequilibrio fra le regioni svantaggiate e regioni ricche ripropone il ruolo dei fondi strutturali.
Di qui la riforma.
In questo spirito apprezziamo positivamente il consistente aumento dei fondi, il più incisivo impegno degli Stati al rispetto dell’addizionalità, il coinvolgimento delle Regioni nel comitato consultivo, nell’elaborazione di Q.C. di Sardegna, dei programmi transnazionali e delle sovvenzioni globali.
Valutiamo con favore il più incisivo ruolo di controllo riservato al Parlamento (anche in sede di parere ex ante) oltre che degli stessi parlamentari chiamati a parteciperai Comitati al seguito nelle rispettive Regioni.
Ma, a ben guardare, gli spazi di democrazia aperti dalle innovazioni sono più apparenti che reali.
Infatti: all’aumento dei fondi corrisponde l’ampliarsi dell’area d’intervento – già di per sé rilevante _ ma, di fatto indeterminata e dilatabile oltre i confini della stessa comunità e ciò in nome di una flessibilità che contraddice e vanifica l’obiettivo essenziale della concentrazione territoriale e programmatica degli interventi.
Ciò che crea però maggiore preoccupazione è il perpetuarsi della visione assistenzialistica della manovra globale. Lo stesso coinvolgimento delle parti sociali, di per sé positivo, s’inserisce in forme così ambigue, da apparire finalizzato ad attenuare il ruolo delle Regioni chiaramente risospinte dalla rinaziolizzazione dei poteri alla subalternità nei confronti del blocco politico-burocratico della consociazione stata-comunitaria.
Parafrasando il politico-scrittore mio conterraneo, Michele Columbu, debbo concludere che l’Europa è ancora lontana.