PRESIDENTE. A norma dell’articolo 116 del regolamento, passiamo alle dichiarazioni di voto sull’articolo unico del disegno di legge, di conversione del decreto-legge 15 febbraio 1984, n. 10, sulla cui approvazione il Governo ha posto la questione di fiducia. Ha chiesto di parlare l’onorevole Melis. Ne ha facoltà.
Mario MELIS. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, il voto di fiducia sollecitato dal Governo la Camera lo ha già espresso in termini assolutamente chiari e inequivoci lasciando decadere il decreto sulla scala mobile. Penso che il Governo commetterebbe un grave errore se presumesse di interpretare questa decadenza come un incidente tecnico, conseguente alla sola puntuale e rigorosa attuazione del regolamento e quindi privo di significato e di conseguenze politiche. Errore che potrebbe tradursi nella ripresentazione del provvedimento così com’è, senza quelle modificazioni la cui necessità del dibattito, così ricco e appassionante, svoltosi nel Parlamento e nel paese ha consentito di evidenziare.
Devo dire però che si tratta di un pericolo, tutto sommato, superato, visto che la maggioranza è profondamente divisa nel giudizio sul decreto. I messaggi, le reiterate dichiarazioni di disponibilità alla riapertura del confronto, come le formali proposte di modifica, al di là degli arricchimenti suggeriti da più parti tra le diverse componenti della maggioranza di Governo e da autorevoli esponenti di questo, mentre restituiscono al dibattito quel necessario clima di serenità che si andava perdendo, acquistano il preciso significato politico della rinunzia al decreto. Il giudizio negativo dell’opposizione parlamentare è oggi condiviso in larga misura da componenti rilevanti della maggioranza, che diviene così maggioranza della Camera. A questo punto il voto di fiducia diviene appendice inutile e dei tutto rituale, inidoneo, qualunque ne sia il risultato, a nascondere e mistificare la sostanza dei fatti, che cioè il Governo è stato battuto su di un tema di grande rilevanza politica. Nel prenderne atto, il partito sardo, che si è schierato fin dal principio con il vasto movimento popolare decisamente contrario all’atto di imperio che si voleva imporre, per motivazioni che vanno ricercate più in sede politica che nelle considerazioni di ordine economico affermate dal Governo, non si sente però di esprimere particolare compiacimento.
Le perplessità, gli interrogativi, l’allarme che il provvedimento sul costo del lavoro ha suscitato in sede parlamentare, sindacale, nei paese, sono sempre vivi e presenti, né possono al momento considerarsi del tutto superati. Ci si chiede infatti quali siano le vere ragioni, le profonde ragioni che stanno alla base di misure tanto duramente conflittuali che, peraltro, le analisi rigorose (come le proiezioni econometriche degli istituti di ricerca economica, accreditati da indiscusso prestigio scientifico), hanno dimostrato assolutamente inidonee a conseguire le finalità dichiarate. E questi dati il Governo non li poteva ignorare. Ebbene, l’operazione si è dimostrata sbagliata, ingiusta e tutto sommato velleitaria. Sbagliata, perché non si governa l’inflazione comprimendo una sola componente tra quelle che concorrono a formare il costo finale dei prodotti e quindi l’andamento dei prezzi al consumo. Ingiusta, perché mentre da un lato si chiede ai lavoratori dipendenti di subire la predeterminazione degli scatti di scala mobile in attuazione di una politica dei redditi volta a ridare coerenza ed efficienza all’economia, si consente dall’altro la libera espansione di tutti gli altri redditi, da quelli professionali a quelli dell’intermediazione commerciale, dai redditi di impresa industriale e finanziaria, a quelli parassitari della pura speculazione, velleitaria, infine, perché non è proponibile una seria iniziativa capace di risanare l’economia italiana, integrandola con una forza dinamica autopropulsiva nei più vivaci e competitivi mercati mondiali, senza attivare una vigorosa e incisiva politica tributaria che sconfigga l’evasione e ripristini corretti rapporti di giusta proporzionalità tra le diverse fasce di reddito e faccia cessare lo scandalo che a sopportare il peso maggiore degli oneri fiscali siano proprio i lavoratori dipendenti, dei quali soli, per somma ingiustizia, si vorrebbe oggi ridurre il poteri di acquisto salariale. Questa manovra è di per sé insufficiente se non è associata ad una seria riqualificazione della spesa pubblica che cancelli l’inutile, il parassitario, la dissipazione da disorganizzazione, le spese da clientelismo, le vaste e diffuse sacche di corruzione e restituisca così produttività reale agli investimenti e, superando sbarramenti ragionieristici, assuma i traguardi sociali quale valore primario nel giudizio comparativo tra costi e benefici.
Queste considerazioni sono assenti dalla normativa che dà origine al richiesto voto di fiducia. Le motivazioni del perché di tutto questo vanno, a nostro avviso, ricercate nei comportamenti, direi nelle procedure seguite dal Governo prima ancora che nei contenuti del provvedimento. L’averlo emanato all’indomani del mancato accordo tra le parti sociali, senza aver neppure avviato, come utilmente sperimentato in precedenti occasioni, la preventiva consultazione delle forze politiche al fine di tentare la mediazione delle diverse posizioni, sembra assumere il significato di una grave, inaccettabile sfida lanciata dal Governo verso l’opposizione parlamentare e la componente sindacale dissenziente, per dimostrarne la debolezza e quindi l’irrilevanza ai fini della politica decisionista. Un simile intento, anche se ipoteticamente non specificamente voluto, ma attivato nei fatti, si configura quale avventurismo politico che, lungi dal realizzare la democrazia governante, scivola inesorabilmente verso l’autoritarismo che è l’esatto contrario della democrazia.
In ultima analisi, la sfida ai partiti quali legittimi strumenti della rappresentanza popolare finisce col diventare sfida al Parlamento e noi, quale forza di minorai za, siamo ben consapevoli della estrema pericolosità intrinseca a cciii modelli e miti di Governo. Con tutta l’attenzione morale e politica che ci deriva da oltre sessant’anni di duri confronti con l’arroganza e spesso con la violenza del potere, respingiamo il significato e la sostanza del messaggio espressi nel decreto-legge così concepito. Noi sardisti lo contrastiamo anche per l’intimo significato antimeridionalista che scaturisce dalla possibile attuazione delle misure proposte. Bloccare le tariffe e i prezzi dei servizi pubblici senza stanziare le necessarie risorse finanziarie in grado di coprire gli aumenti di spesa significa ridurre e declassare i servizi stessi, da quelli del trasporto a quelli postali, telefonici, radiotelevisivi e quindi chiamare le regioni e le popolazioni – ovviamente quelle più deboli, cioè quelle meridionali – ad un impegno di supplenza che fronteggi con le misere risorse proprie quelle fatte mancare dal Governo. La conseguenza sarà l’accentuarsi dell’inflazione, e la localizzazione dei suoi effetti più devastanti nelle regioni meridionali, che già soffrono di più accentuata inflazione e sottosviluppo per queste carenze strutturali. Particolarmente esposta a un tale pericolo – mi si consenta da sardo – è proprio la mia regione, la Sardegna, già oppressa dall’arretratezza economica, dagli scarsi investimenti, dall’alto costo del denaro, dell’energia, dei trasporti, dall’insufficienza, arretratezza, qualità e lentezza di questi, dal complesso di diseconomie esterne che rende il differenziale di inflazione della regione tra i più alti d’Italia. No, onorevole Presidente: al di là della solidarietà senza impegni che il Presidente del Consiglio ha espresso ai sardi nelle scorse settimane, questo provvedimento sarebbe un’ulteriore, inaccettabile discriminazione, che respingiamo negando al Governo il voto di fiducia del partito sardo.
(Applausi all’estrema sinistra, dei deputati dei gruppi della sinistra indipendente e di democrazia proletaria e dei deputati del PDUP).
Dichiarazioni di voto su decreto-legge riguardanti il costo del lavoro – Camera dei Deputati – 7 aprile 1984
17 Aprile 2020 by