Conferenza sulle relazioni industriali dei Paesi latino-mediterranei – anni ’80

 

Il saluto che rivolgo a nome della Giunta Regionale intende innanzitutto esprimere l’apprezzamento ai promotori per aver indetto questa 3° Conferenza sulle relazioni industriali nei Paesi latino-mediterranei. Un tema di grande rilievo e di viva attualità che vede convenire, qui in Sardegna, esperti altamente qualificati che intendono apportare il loro contributo di studio e di riflessione su esperienze maturate in diversi contesti economici e sociali.
Le relazioni industriali costituiscono oggi una vasta area di ricerca e di impegno che interessa non soltanto i cultori di diverse discipline (diritto del lavoro, economisti e sociologi) ma anche le parti sociali (forze di lavoro e imprese) le forze politiche e il Governo. Da queste relazioni e dal loro articolarsi nel tempo e nello spazio discendono non soltanto regole che incidono sul comportamento delle parti sociali (sindacati ed imprese) ma anche implicazioni di grande portata che interessano direttamente il funzionamento del mercato del lavoro e che, quindi, esercitano effetti rilevanti su quello che è oggi il problema di gran lunga più importante per le economie occidentali, ed in particolare per quelle aree più deboli e periferiche, e cioè l’occupazione.
In Sardegna il problema del lavoro assume oggi dimensioni così gravi da costituire una vera e propria situazione di emergenza.
Riequilibrare il mercato del lavoro invertendo la tendenza all’aumento della disoccupazione costituisce l’obiettivo centrale il cui conseguimento richiede l’impegno deciso e soprattutto concorde non solo di tutti gli organi di governo – Stato e Regione in primo luogo – ma anche di tutte le forze imprenditoriali, sindacali e, non ultimo, culturali, che con il loro contributo prezioso di studio, di analisi e di proposte, sono momento essenziale di una dinamica economica e sociale volta al progresso ed allo sviluppo.
Mi sembra, perciò, di particolare importanza che la Conferenza si rivolga espressamente ad approfondire le tematiche inerenti al funzionamento del mercato del lavoro, privilegiando gli aspetti del “decentramento” delle relazioni industriali.
Regole e comportamenti che vanno analizzati e precisati in rispondenza alle specifiche esigenze e alle caratteristiche proprie dei diversi sistemi economici e sociali, al fine di renderli rispondenti ai fondamentali e specifici traguardi di sviluppo occupazionale e produttivo.
L’uniformità delle regole di funzionamento del mercato del lavoro e delle stesse relazioni industriali, in presenza di forti squilibri economici strutturali (quali la diversità dei potenziali produttivi, l’accentuata difformità nella dotazione delle reti infrastrutturali e dei servizi, la disoccupazione endemica, oltre che le peculiarità socio-culturali che caratterizzano i singoli sistemi), può essa stessa costituire motivo di ulteriore aggravamento degli squilibri esistenti.
La ragione di ciò – come gli studi compiuti in materia di sviluppo economico hanno da tempo messo in luce – è che l’uniformità delle regole senza reale integrazione fatalmente amplifica i divari, in quanto è il “centro” più avanzato ed economicamente più forte che impone le sue regole, desumendole dalle sue esperienze e dalle sue peculiari esigenze di sviluppo ulteriore.
È questa la ragione profonda che ci deve vedere tutti impegnati sul terreno della valorizzazione e del pieno dispiegamento dell’autonomia, quale affermazione del diritto delle aree meno sviluppate e più periferiche a crescere realmente, insieme, alle aree più avanzate.
Lo sforzo di approfondimento che la Conferenza intende rivolgere alla problematica del “decentramento” del sistema delle relazioni industriali, può dunque offrire un contributo significativo di indicazioni e di proposte che consentano di illuminare meglio le politiche e i comportamenti dei diversi soggetti in materia di mercato del lavoro, di occupazione e di sviluppo.
Abbiamo visto, infatti, che le pur necessarie iniziative in materia di “flessibilità”, così come quelle in materia di politiche attive di lavoro, possano dare solo risposte marginali alla soluzione di problemi occupazionali così gravi e complessi come quelli che la Sardegna sperimenta, soprattutto se queste pur opportune politiche non sono inserite in un sistema di relazioni industriali che sia espressione di quelle forze economiche, sociali e culturali i cui obiettivi si identificano con le reali esigenze di sviluppo dell’intero tessuto economico-sociale della regione.
Occorre, perciò, superare quella tendenza perversa e squilibratrice che vede i poteri centrali, nazionali e sovranazionali (CEE), decidere ed organizzare le politiche strutturali d’intervento in funzione precipua degli interessi oligopolitici dei grandi gruppi industriali o finanziari privilegiando, in generale, la crescita delle aree forti.
La Sardegna, sotto questo punto di vista, è un “laboratorio” – purtroppo – quantomai ricco di esperienze che confermano le distorsioni dei modelli di sviluppo che calano dall’alto, secondo disegni e logiche che si realizzano e si modificano nel tempo senza che ai poteri regionali e alle parti sociali che operano e hanno i loro interessi in Sardegna siano date possibilità di intervenire, di decidere e di correggere.
È questo il caso emblematico del processo di industrializzazione incipiente e di successiva de-industrializzazione che abbiamo e che stiamo tutt’ora sperimentando in Sardegna, e che rispecchia, come ogni lavoratore sardo ben sa, un sistema di relazioni industriali dove la grande impresa detta le sue regole, le pone in atto e poi informa le parti sociali e il governo regionale, anche quando si tratta della chiusura di intere linee di produzione, di cospicui licenziamenti e della messa in cassa integrazione di migliaia di addetti.
Certamente questo sistema di relazioni può rispondere ad una logica efficienza, se vista dai vertici aziendali che hanno altrove i loro interessi, ma sicuramente non è il sistema di relazioni che può produrre quelle sinergie complessive tra le parti sociali e istituzionali, coinvolgendo in positivo l’intero tessuto economico-sociale in funzione della sua crescita e del suo sviluppo.
Ed è appunto su questo terreno di nuovi rapporti tra sindacati, imprese e pubblici poteri che occorre oggi confrontarsi, approfondendo e sperimentando in modo appropriato regole e comportamenti suscettibili di ulteriori evoluzioni e che consentono al sistema economico sardo di accrescere la produttività interna delle sue risorse e dare appropriate risposte all’occupazione.
È in quest’ottica che come Regione intendiamo muoverci ridando slancio ed impulso alla programmazione economica, al fine non solo di tracciare obiettivi e politiche di trasformazione e di sviluppo, ma anche di offrire agli operatori quelle certezze necessarie sulla destinazione e l’utilizzo delle risorse finanziarie che consentono alle imprese di tracciare a loro volta i loro programmi di investimento, di ammodernamento tecnologico, di acquisizione di nuovi spazi di mercato.
Uno sforzo che andiamo compiendo in questi giorni con la formulazione del bilancio pluriennale della Regione, che vogliamo costituisca un punto di riferimento sul complesso delle politiche in corso, sul loro adeguamento operativo e finanziario alla luce delle esigenze di fondo della Sardegna: l’occupazione, l’accumulazione tecnologica, produttiva e finanziaria, la valorizzazione e il pieno sviluppo del territorio.
E proprio in tema di occupazione siamo oggi impegnati nel definire un “piano straordinario per il lavoro”, inteso non come elemento assistenziale o di mera solidarietà, ma come momento strategico di attivazione e di raccordo degli interventi con le politiche generali di sviluppo. Un piano che intendiamo articolare in un complesso di azioni capaci di aprire prospettive certe all’occupazione nell’area della produzione, dei servizi dell’ambiente e della pubblica amministrazione e i cui risultati saranno tanto più validi ed importanti quanto più si realizzerà il pieno coinvolgimento delle forze produttive, delle forze sociali e culturali isolane, nella ricerca concorde di soluzioni capaci a sollecitare e mobilitare le energie di cui la Sardegna dispone.
È certo che occorre aprire una fase nuova di presenza attiva, costante e unitaria di tutti i soggetti fondamentali della crescita economica e civile della Sardegna, imprimendo un salto qualitativo nella partecipazione della Regione alle politiche di sviluppo nazionali e comunitarie.
Dobbiamo andare ad una fase nuova nei confronti delle PP.SS. e delle grandi aziende pubbliche e, più in generale, dello Stato per lo sviluppo e l’occupazione nell’ottica di un nuovo Piano di Rinascita che renda possibile quella concausalità di decisioni a livello centrale e regionale, quel decentramento di poteri e di regole di comportamento sulle quali anche la vostra Conferenza intende giustamente discutere per offrire un contributo propositivo, nella ricerca di un valido quadro sistematico di relazioni industriali, di cui oggi si avverte sempre più l’esigenza, soprattutto in una realtà periferica che punti, come in Sardegna, ad uscire dall’emarginazione e ad imboccare la via dello sviluppo.