Cooperazione marittima: inquinamento, pesca, tempo libero – 24 marzo 1987 Introduzione al dibattito dell’on.Mario Melis, membro della CPLRE

La cooperazione marittima tra le zone frontaliere è destinata ad assumere una importanza crescente. E questo non solo per la realtà oggettiva dello sviluppo costiero esteso ed articolato del nostro Continente, accompagnato da numerosi complessi insulari, che conferiscono alle zone rivierasche dell’Europa una varietà incomparabile, ma anche per il contributo che l’intensificazione dei rapporti economici sociali e culturali tra le diverse realtà rivierasche può imprimere alla crescita complessiva dell’Europa, in un diverso rapporto tra centro e periferia.
Le vicende storiche hanno dimostrato infatti che il mare, e non solo nei due bacini interni del Mediterraneo e del mare del nord, ha sempre favorito i rapporti di scambio e di produzione fra i popoli affacciati alle sue rive, con intrecci fecondi di costumi, di culture e di lingue diverse che ne hanno costituito sempre un fattore di civiltà. Questo è evidente nelle zone costiere di frontiera soprattutto negli ultimi decenni che vedono sopite quasi ovunque le antiche contese.
Questa prospettiva di progresso e di civiltà deve trovare spazio nell’ambito di politiche comuni e convergenti che la Conferenza si è impegnata ad offrire alla collaborazione frontaliera, dando il giusto risalto alle particolari esigenze delle regioni marittime, fra le quali emerge la difesa dell’ambiente.
Le coste, le isole, i golfi e gli estuari rappresentano infatti anche un patrimonio ambientale inestimabile, e la sua tutela deve impegnarci tutti ad ogni livello. Vediamo che lo sviluppo economico ed industriale, da un lato apporta benessere diffuso nelle nostre popolazioni, è alla base di crescenti preoccupazioni per il degrado ambientale. Un tempo era l’attività agricola a modellare l’ambiente ed il territorio. Oggi attività industriali sempre più estese e sofisticate, ed i loro insediamenti costieri, condizionano pesantemente la qualità della vita. Inoltre in molte zone costiere i migliori servizi che offrono e l’attrazione che esercitano determinano addensamenti abitativi, specie per il turismo ed il tempo libero, che ne pregiudicano talora irreparabilmente le bellezze naturali. Negli ultimi decenni si è infatti accentuata una tendenza delle popolazioni a trasferirsi lungo le coste, determinando talora lo spopolamento delle zone interne.
Sono questi alcuni dei problemi che reclamano la collaborazione del le regioni costiere e degli Stati contermini per la tutela di quell’immenso bene naturale che è il mare. La grande massa d’acqua che circonda le terre emerse e ne lambisce spiagge e scogliere, città e villaggi, soffre sempre più di un uso eccessivo e non regolato nel territorio.
Si può comunque affermare che la consapevolezza di questo pericolo cresce nei governi, nelle amministrazioni locali e nell’opinione pubblica, e noi siamo qui a definire indicazioni e proposte nelle quali vengano riaffermate e completate normative già adottate e si offra alle nostre comunità un quadro di riferimento omogeneo che però consenta gli adattamenti opportuni a realtà spesso diverse.
Perché, come recenti tragici episodi hanno dimostrato, a Cemobyl e lungo il Reno, l’inquinamento non conosce frontiere e di fronte ad esso gli Stati nazionali hanno finito di dimostrare la loro impotenza. È una realtà che reclama per l’inquinamento marino una cooperazione soprattutto per le regioni di confine, perché il giusto principio, “chi inquina paga”, deve essere completato dall’intervento preventivo dei pubblici poteri. Una cooperazione(del resto,per essere efficace, non deve essere vista solo come un fattore negativo ed obbligante, ma come stimolo ad un’azione di prevenzione quale espansione più alta degli interessi comuni di popolazioni diverse, che nella difesa dell’ambiente possano trova re ragioni pratiche e culturali « proiettarsi in un quadro di pacifica convivenza.
Non sempre infatti i rapporti fra le regioni rivierasche hanno evitato le soglie del contrasto, e le cronache di questi anni hanno ad esempio registrato incidenti per le zone di pesca. Non solo l’inquinamento, ma anche lo sfruttamento del mare, delle sue risorse, deve essere allora oggetto di opportune intese, e si possono ricordare i provvedimenti della CEE nel settore della pesca e dell’acquacoltura.
Una tutela dell’attività peschereccia non si riconduce però solo a ragioni economiche. Si tratta infatti di assicurare la continuità di comunità spesso piccole, ma talora consistenti, che nel corso dei secoli hanno accumulato tradizioni ed esperienza nella pesca costiera ed in quella oceanica. Esse rappresentano un patrimonio di civiltà che dà una identità precisa a tante regioni marittime. Ma proprio per questo, e non solo per i riferimenti sovranazionali offerti dalla CEE e dal Consiglio d’Europa, un clima di collaborazione deve essere suscitato per le regioni di frontiera delle nostre coste, soprattutto di fronte al pericolo, che può essere in certa misura addebitato all’inquinamento, del crescente impoverimento della pescosità dei nostri mari. Sono quindi auspicabili iniziative in positivo, che superino le contese per le zone di pesca, e si rivolgano al ripopolamento della fauna marina, al migliore impiego e distribuzione delle attrezzature, al superamento degli ostacoli per la creazione di parchi marini, così poco diffusi e così importanti non solo come attrattiva turistica, ma per lo studio e la conservazione della natura.
Sono tutti obiettivi che non possono essere affrontati in angusti ambiti nazionali, perché interpellano la partecipazione ed il coinvolgimento diretto di popolazioni rivierasche appartenenti a stati diversi, in uno spirito di collaborazione che può trovare un primo ambito nel nostro incontro per estendersi poi alle piccole e grandi comunità che rappresentiamo.
Esso trova del resto una terza dimensione nel turismo e nel tempo libero. L’esplosione del benessere negli Anni ’60-’70 e l’evoluzione della società, con la maggiore disponibilità di tempo libero per le persone e per le famiglie hanno suscitato uno sviluppo eccezionale delle attività turistiche diventate ormai fenomeno di massa. Non solo ha interessato zone di antica tradizione ricettiva, ma altre che, come la nostra Sardegna, erano rimaste del tutto ai margini delle correnti turistiche. Nelle nostre regioni si sono così dilatati gli antichi centri costieri, e si sono aggiunti numerosi nuovi insediamenti abitativi che toccano talora la dimensione di vere e proprie città.
La situazione provoca tre ordini di problemi, peraltro strettamente intrecciati. In primo luogo l’esigenza di salvaguardare le bellezze naturali, che spesso vengono compromesse da una sfrenata frequentazione turistica. In secondo luogo si vuole trarre dall’espansione delle atti vita legate al tempo libero ed al turismo stagionale la possibilità di giungere ad un diffuso benessere per regioni che per secoli erano rimaste in condizioni di profonda depressione. Infine la difesa dall’inquinamento delle coste e degli specchi d’acqua è essenziale anche per non distogliere correnti turistiche verso altre zone marine meno compromesse, in altri continenti.
È anche il caso di riprendere il discorso dei collegamenti con le isole, anche se non interessa soltanto le regioni di frontiera e non è certo limitato ai flussi turistici.
Infatti occorre superare il determinismo geografico che pone la comunità insulari in condizioni di minorità per i collegamenti spesso difficili con la terra ferma, e non solo per quanto riguarda i traspor ti.
Se è vero infatti che le traversate marittime ed aeree per raggiungere le isole non devono suscitare disagi, ma offrire ai turisti, se è possibile, un’attrattiva in più, per i cittadini che vi abitano la rapidità frequenza ed efficienza dei trasporti, ed anche delle reti di telecomunicazioni, è essenziale. Essi infatti hanno diritto a condizioni di vera eguaglianza e di reale parità riguardo alle loro opportunità di sviluppo, in rapporto a quelle di cui godono i cittadini delle Regioni continentali.
Si può affermare a questo punto che i problemi sopra richiamati possono trovare soluzione in normative, più che statali, internazionali e comunitarie, e non solo per i collegamenti ed i passaggi di frontiera. Ma il livello che non deve essere trascurato per affrontarli è quello regionale. Esso consente infatti il perseguimento degli obiettivi di una collaborazione transfrontaliera di cui diventano protagoniste le popolazioni interessate riguardo la difesa e lo sfruttamento delle risorse marine e la loro fruibilità per il turismo ed il tempo libero
Le regioni di frontiera hanno spesso, infatti, interessi comuni e legami molto più forti di una contrapposizione spesso artificiosa ed ormai antistorica fra Stati diversi.
Se si tiene conto della dimensione regionale per la soluzione dei problemi che ci stanno di fronte può aprirsi un campo di lavoro ampio e promettente, per la difesa di un patrimonio naturale di cui solo ora che è messo in pericolo comprendiamo la bellezza, che non è fatta soltanto di delicati equilibri biologici ed ambientali, ma di un’innegabile ricchezza di rapporti umani.