Inaugurazione della Fiera Campionaria di Cagliari

Discorso inaugurale della Fiera Campionaria della Sardegna – 30 aprile 1987

On. Presidente,
nel rivolgerle il saluto, deferente ed amico, delle popolazioni sarde mi è grato esprimere al Presidente della Fiera il più vivo apprezzamento della Regione per l’impegno profuso nel realizzare una manifestazione così importante e significativa che testimonia, nel concreto, la ferma volontà dei Sardi di inserirsi creativamente nei grandi confronti competitivi internazionali: dalla produzione, agli scambi commerciali, dai servizi alla promozione culturale, in una prospettiva di relazioni sempre più intense e feconde con l’intero Paese e, come indica la denominazione stessa della Rassegna che oggi si inaugura, “con il resto del mondo”.
Un’ulteriore occasione per rafforzare il ruolo che la Sardegna deve rivestire nell’ambito delle relazioni economiche e commerciali, valorizzando appieno la sua posizione strategica nell’area del Mediterraneo, sarà offerta da una Rassegna specializzata, di cadenza biennale, che vogliamo diventi la Fiera dell’Agricoltura e della Zootecnia Mediterranea e che ci auguriamo di poter avviare già dal prossimo anno.
L’esperienza fin qui acquisita ci consente di guardare con fiducia ad un progetto di così vasta portata, mentre riteniamo ormai maturi i tempi perché si dia finalmente corso all’auspicata regionalizzazione degli Uffici del Commercio Estero.
Non v’è certo nelle mie parole ombra di compiacenza o vocazione al trionfalismo, che troverebbero peraltro ben scarso supporto nella difficile crisi che attraversa la comunità isolana, ma piuttosto la consapevolezza che, pur fra tante difficoltà ed ostacoli strutturali e congiunturali, gli operatori economici, così come i lavoratori sardi, si attestano su posizioni di fervido ed operoso lavoro.
Il fatto che altre ben più prestigiose manifestazioni fieristiche siano rappresentative di realtà sociali ed economiche nelle quali il tenore di vita ha superato le soglie di un diffuso benessere per diventare concentrazione di ricchezza, mentre da un lato ci stimola alla costante ricerca di obiettivi, soluzioni e strumenti sempre nuovi (suscettibili di favorire una crescita generalizzata e multiforme capace di adeguare il passo dei sardi al rapido divenire del tempo presente) dall’altro, per contro ci chiama a severe riflessioni sulla genesi del nostro sottosviluppo, sulle cause remote e presenti che infrenano l’empito creativo di un popolo che non accetta più la subalternità e vuole inserirsi, da protagonista nella costruzione del domani.
Nessuna compiacenza dicevo ma responsabile valutazione nel constatare come la Sardegna sia l’unica fra tutte le Regioni italiane, compreso il Mezzogiorno, a registrare valori inferiori a quelli raggiunti nel l980 nella formazione del prodotto lordo vendibile; a questo dato fa riscontro il più alto tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile ed intellettuale, con un indice che, sconvolgendo gli equilibri sociali ed economici, minaccia pericolosamente le soglie dell’ordine pubblico: il 24% delle forze di lavoro è inoccupato o disoccupato, mentre le aziende di Stato evidenziano crescenti tendenze ad ulteriore smobilitazione.
Siamo consapevoli, on. Presidente del Consiglio, del fatto che la crisi sarda si inserisca in una di più vasta portata, che coinvolge l’intero Paese nel quale ben 2 milioni e mezzo di cittadini attendono risposta alla loro domande di lavoro.
Né ci nascondiamo le grandi sfide internazionali che, sul piano monetario come degli scambi commerciali, chiamano l’economia italiana a confronti estremamente difficili, mentre in settori tecnologicamente strategici cresce, divenendo ogni giorno più forte ed incalzante, la forza competitiva delle produzioni provenienti dai Paesi dell’Estremo Oriente e più in generale dall’area del Pacifico.
Tutto ciò comporterà una vigorosa azione di rinnovamento ed ammodernamento delle strutture produttive nel nostro Paese per mantenere i mercati e conquistarne di nuovi.
Concordiamo quindi con Lei che per realizzare tutto ciò occorre tempo così come, certo, “occorre tempo” per realizzare gli impegni che Ella, a nome del Governo che presiede, ebbe ad assumere un anno fa in circostanze politiche del tutto simili alle presenti, per restituire prospettiva e capacità autopropulsive allo sviluppo della nostra Regione.
Non posso però e non debbo nasconderle la più viva preoccupazione nel constatare come, ad un anno di distanza ancora si discute quali possibili soluzioni privilegiare per garantire ai sardi la continuità territoriale. Il problema è ormai ineludibile.
Pur con tutti i ritardi denunziati dagli indici percentuali più basasi rispetto alle altre Regioni italiane, la pur modesta espansione economica della nostra Isola ai scontra ogni giorno con l’insufficienza dei collegamenti interni ed esterni all’Isola.
Abbiano diritto a trasporti più moderni, frequenti, economici e veloci, tecnologicamente mirati a garantire la multiforme domanda di trasporto da e per l’Isola, in relazione alle diverse componenti nelle quali si articola la società sarda e alle esigenze, che da queste scaturiscono, con la forza creativa che è specifica e irripetibile della nostra realtà.
Nei nostri incontri con il Ministro della Marina Mercantile avvertiamo tutta l’incertezza progettuale delle possibili soluzioni sia del lungo come del breve periodo.
Ancor oggi i sardi non riescono ad avere la certezza di potersi trasferire sulla Penisola in tempi ed orari prestabiliti, spedire e ricevere le materie prime e le merci, impediti persino ad accogliere tutti quei cittadini italiani e del mondo che vorrebbero venire ad ammirare nella stagione più favorevole le nostre bellezze naturali.
L’estate ai avvicina con le sue prospettive di crescenti afflussi di turisti italiani e stranieri e noi vogliamo che la loro vacanza, che rappresenta un valido fattore di sviluppo della nostra economia, si realizzi in un clima di amicizia ed integrazione con le popolazioni sarde e non sia dominata dall’angoscia di viaggi precari, scomodi, costosi ed affidati alla pesante incertezza sulle date di approdo a di partenza.
Anche a tal fine non può più essere procrastinata una diretta partecipazione dell’Amministrazione regionale nella gestione dell’intero sistema di trasporti, con particolare riferimento ai collegamenti marittimi da e per la Sardegna. Particolari poteri dovranno altresì essere riconosciuti alla Regione in ordine ai collegamenti aerei, onde evitare che questi siano studiati in relazione a chi dall’esterno voglia collegarsi con noi e non, come pure è del tutto ovvio, il suo esatto contrario.
In definitiva la situazione di insularità della Sardegna dovrà, attraverso un moderno ed efficiente sistema di trasporti, cessare di essere elemento di isolamento per consentire all’Isola di utilizzare in pieno la sua posizione strategica al centro del Mediterraneo.
Abbiamo diritto altresì che i trasporti interni estendano anche al territorio sardo l’immagine di uno Stato che, pur nella feconda ricchezza delle sue diversità, garantisce a tutti eguali servizi, a cominciare da quelli ferroviari che in Sardegna sono tutt’oggi relegati nell’archeologia.
L’ipotesi dell’elettrificazione senza profonda a sostanziale rettifica dei tracciati, se da un lato pub rappresentare un qualche interesse come sperimentazione industriale, non migliora certo in alcun modo né la capacità, né la velocità del trasporto attuali.
Merita certo la sua attenzione, nella rapida panoramica dei grandi temi affrontati nel protocollo definito nell’aprile dell’84, constatare come la scelta volta al rilancio del bacino minerario stenti a trovare definizione ed anzi emergano chiari segni di una tendenza involutiva, sia in Parlamento come nella dirigenza delle Aziende di Stato e nello stesso Governo.
La legge sulla Carbo-Sulcis, attraverso la quale, non la Sardegna, ma lo Stato Italiano ai riappropria di una risorsa strategica primaria che garantisce autonomia energetica a costi largamente competitivi rispetto al petrolio, (dal quale peraltro fu, negli in fausti anni ’70, sostituita), pur approvata dal Governo e dal Senato della Repubblica, sembra incagliarsi nelle secche parlamentari della Camera, fra mille dubbi e riproposizioni che sembrano rimettere in discussione, non i particolari della legge, ma, la legge stessa nella sua globalità.
Non ho bisogno di ricordare, On. Presidente, come il carbone sulcitano abbia contribuito in misura significativa e determinante a riattivare l’intero apparato produttivo italiano ed a rendere così possibile la ricostruzione del Paese nell’immediato dopo guerra. Decine di migliaia di lavoratori hanno speso gli anni fervidi della loro giovinezza per rendere possibile questo miracolo che non può cancellarsi nella memoria dello Stato in virtù di calcoli miopi, asfittici e del tutto privi di intuizione politica, ancor più che di tensione nell’esprimere ai sardi solidarietà e partecipazione.
Il comparto piombo-zincifero, che sembrava avviarsi ad un rilancio di sufficiente consistenza, sia per quanto attiene al settore estrattivo che per quello metallurgico, pur in mancanza di verticalizzazioni e diversificazioni produttive sembra essere rimesso in discussione (“sembra” è solo prudenziale) dalla decisione dell’ENI di cedere il pacchetto azionario della Samin all’Efim con una operazione che, passando sulla testa dei Sardi ed in totale dispregio del potere autonomistico, evoca nel nostro vigile ricordo le catastrofiche esperienze dell’Egam e del suo avventuroso Presidente, che confondeva le miniere con le navi, e conclama il disimpegno dell’ENI in un settore assolutamente fondamentale per l’economia dello Stato.
Anche su questo punto rivendichiamo con forza il ruolo nazionale e non semplicemente regionale della scelta, in vista del preciso interesse dello Stato italiano di disporre di riserve di materie prime di così alto valore strategico.
Il problema d’altra parte non è solo politico, né si esaurisce certo nel garantire occupazione e reddito in un’area pur rilevante ed essenziale per gli equilibri globali che dobbiamo garantire nella nostra Isola, ma assume consistenza e dignità economica essendo il piombo-zinco estratti in Sardegna ormai competitivi rispetto alle produzioni similari importate, per altro, con sempre maggiore difficoltà dai Paesi produttori.
In verità si ha la sensazione sempre più netta che le Aziende di Stato, almeno per quanto attiene al loro operare in Sardegna, vogliano privilegiare un crescente ruolo finanziario rispetto a quello industriale e produttivo.
A questa logica non si sottrae neppure la politica che l’Efim va conducendo nel settore dell’alluminio primario come testimonia la sua riluttanza nell’acquisire significative quote di partecipazione nella Società concessionaria del più vasto giacimento di bauxite italiano.
Mal si concilia infatti un tale disimpegno con l’evidente interessi di un’industria produttrice di alluminio a garantirci la piena disponibilità della materia prima esistente in loco, che oggi importa dalla Guinea o addirittura dall’Australia, mentre alla bauxite sarda si interessano i maggiori industriali europei dell’alluminio.
Fra le occasioni mancate rispetto alle prospettive aperte dalla sua visita di un anno fa, Signor Presidente, devo ricordare i circa 300 posti di lavoro da realizzare nella costruzione delle piattaforme off-shore in Porto Torres, senza che, ancor oggi venga definita alcuna proposta alternativa.
Né possiamo dimenticare le recentissime vicende della cartiera di Arbatax, che pur essendo un’azienda tra le più moderne del settore in Europa è stata lasciata fallire per i nefasti ritardi nell’assicurarle i mezzi finanziari a suo tempo promessi.
La presa di coscienza di queste vaste e profonde carenze si propone, On. Presidente, alla Sua attenzione non tanto in termini di denunzia e men che mai di lamentazione, ma di seria e responsabile proposta politica per il loro superamento.
Noi vogliamo diventare una forza trainante nello sviluppo del Paese ed è per questo che rifiutiamo l’assistenzialismo come forma di Governo, un assistenzialismo peraltro vischioso e mortificante, dimostratosi privo di reale solidarietà ed incapace di aprire reali spazi alla prospettiva.
La verità è che il caso Sardegna, pur nella specifica peculiarità che lo diversifica dal Mezzogiorno, del quale non condivide né cultura, né tradizioni, vicende storiche e dell’insularità, condivide però con larga parte del Mezzogiorno la difficile condizione dell’emarginazione economica ed, in più largo senso, del sottosviluppo.
È però nostro profondo convincimento che non bastino gli interventi straordinari, quali la Cassa per il Mezzogiorno o le emanande leggi per la Calabria ed il rilancio del Piano di Rinascita sardo, per operare il necessario riequilibrio con le aree forti del Paese.
L’esperienza dei trascorsi decenni è dolorosamente dinnanzi a noi per ricordarci quanto sia colpevole illusione abbandonarci alla speranza dello straordinario e, psicologicamente parlando, miracolistico.
Questi possono beneficamente operare quali strumenti aggiuntivi ed integrativi, mentre il riequilibrio lo dobbiamo conquistare giorno per giorno in un impegno oscuro, ma costante, che si realizza nelle politiche ordinarie dello Stato; nei trasporti, attraverso i quali unificare il Paese in un’articolazione viaria, ferroviaria, marittima ed aerea capace di collegare ogni contrada con tutte le altre, vincendo le sacche di isolamento che degradano in emarginazione, sottosviluppo e spopolamento; in quella dei Lavori Pubblici volti a favorire il riequilibrio fra le diverse aree del Paese dotandole tutte delle opere di infrastrutture primarie e secondarie, si che ogni cittadino possa fruire dei serviti essenziali nel nord come al sud, in Sardegna come in Lombardia; nella politica della PP.SS. perché garantiscano la loro presenza stimolante, propulsiva a dinamicamente trainante nelle area del sottosviluppo, non tanto a non più con le industrie di base, ma con le molteplici proposte delle più moderne forme del produrre, capaci di suscitare con la nuove professionalità nuova cultura, innescando meccanismi di uno sviluppo endogeno, finalmente autopropulsivo; nella politica della Sanità si da far cessare il fenomeno socialmente, culturalmente ed organizzativamente colonizzante di masse crescenti di malati, che dalle remote regioni del Sud a delle Isole intraprendono non necessari, dispendiosi e, tutto sommato, ingiusti e mortificanti viaggi della speranza; nella politica finanziaria che dall’iniquità dei criteri fin qui seguiti della cosiddetta spesa storica, deve finalmente passare ai criteri di una equità reale, volta anch’essa al riequilibrio delle aree del sottosviluppo rispetto a quelle della concentrazione; una nuova politica dei poteri dovrà, infine, investire di capacità e responsabilità decisionali le istituzioni della democrazia di base nelle quali lo Stato si articola: Comuni, Enti intermedi, Regioni; dobbiamo fare uno sforzo perché le Regioni si arricchiscano di poteri effettivi, concretamente capaci non solo di esplicare la propria azione nel campo normativo e legislativo, ma partecipino quali soggetti propositivi e determinati alle grandi scelte del Paese, con capacità di effettivo governo dell’economia nell’ambito dei rispettivi territori.
La nostra Regione, per le peculiarità che la diversificano dalle altre realtà nel Paese, dovrà, nei tempi più brevi, definire con il Governo ed il Parlamento un nuovo statuto di autonomia nel quale trasfondere positivamente le esperienze si qui maturate e conquistare quel reale autogoverno senza il quale autonomia e solidarietà nazionale si riducono ad espressioni formali, incapaci di trasformare i cittadini in protagonisti e la solidarietà in empito creativo.
La Fiera che oggi riapre i battenti è proposta e messaggio insieme. È insomma una mano tesa al mondo. La Sua presenza fra noi, On. Presidente, significa che il messaggio è stato raccolto e la proposta accettata.
E di ciò La ringraziamo.