Evidentemente non affronterò tutta la tematica che è stata molto analiticamente trattata da Annico Pau e in termini puramente essenziali ripresa da Muledda. Io mi limiterò ad alcune osservazioni, viste dall’ottica europea che a mio avviso sta assumendo un’attualità ed una rilevanza così incisiva sulla sopravvivenza stessa dell’allevamento del bestiame, per cui tutti i nostri discorsi su come è meglio organizzare la produzione, sul come meglio ripartire il reddito tra trasformatori e produttori, sul come fare promozione commerciale per le esportazioni e così via rischiano di diventare parole al vento perché tutta la nostra produzione sta per essere dichiarata fuori legge; perché non in regola con le norme igienico-sanitarie della Comunità Europea.
E tutto ciò che non è in regola con le norme igienico sanitarie della Comunità Europea non è possibile venderlo; anzi costituisce violazione di legge il venderlo; e quindi per chi si produce, se non si può vendere? Se non si può immettere nella rete di distribuzione sia interna che internazionale, la produzione rischia di essere un hobby di coloro che produco; ma non un fatto economico, non un fatto sociale. Ed una prospettiva di questo genere, cari amici, investe l’economia di un terzo del prodotto interno lordo vendibile della Sardegna. Siamo mi pare al 29/30% dell’intero sistema economico Sardo rappresentato dalla produzione lattiero-casearia soprattutto dell’ovi-caprino.
Quello che mi preoccupa di più è che tutti coloro che non erano in regola con la normativa comunitaria, per esempio la Grecia, hanno presentato tempestiva domanda di proroga per potersi mettere in regola; e altre realtà diffuse nel nostro territorio hanno presentato questa domanda; noi l’abbiamo presentata venerdì scorso.
Sinceramente di questo mi preoccupo, perché parlando in occasione delle dichiarazioni programmatiche del Presidente Cabras (io ero Consigliere Regionale ma anche Parlamentare Europeo) mi sono fatto carico di dare questo allarme. I nostri pastori entro pochi mesi si troveranno nell’impossibilità di vendere oltre 1 milione di agnelli, perché abbiamo la capacità di macellare nei nostri mattatoi solo 400 mila agnelli contro una produzione di oltre un milione e 400 mila.
Che ne faranno i pastori di questa produzione? Sarà il tracollo, non abbiamo chiesto un giorno di proroga e la dobbiamo chiedere; l’ha chiesta la Grecia e l’ha ottenuta; una proroga fino al ’97.
Ma senza andare molto oltre, siccome noi parlamentari europei abbiamo i minuti contati, nel senso che ci fanno parlare per due minuti, per un minuto e mezzo, per tre minuti, adesso io vi do lettura dell’ultimo discorso che ho pronunziato una settimana fa e che trattava proprio di questo argomento.
E perché questo argomento? Io faccio parte della Commissione Energia, e quindi mi sono occupato in maniera particolare della gassificazione del carbone, sono relatore per il Parlamento Europeo sulle nuove tecnologie per l’utilizzazione dei carboni poveri come quello sardo, argomento che riguarda la Spagna e che riguarda molta produzione del carbone come fonte energetica di gran parte 1’Europa. I carboni più commerciati sono quelli del Sudafrica e quello americano; una certa parte ne arriva anche dalla Polonia qui in Sardegna. E non si produce e non si utilizza il carbone Sardo perché è fortemente inquinante, laddove le nuove tecnologie consentono invece, (come quella giunta cui faceva riferimento Muledda poco anzi, ha dimostrato con studi che sono costati alcuni miliardi) di inserire il carbone sardo nel ciclo produttivo dell’energia elettrica in piena autonomia e senza bisogno di importare né carboni né altro petrolio né altri materiali fossili dall’estero ma risolvendo autonomamente questa nostra potenzialità, importantissima anche per i pastori. Infatti, l’autonomia energetica:
• significa l’autonomia dello sviluppo;
• significa l’elettrificazione rurale;
• significa la disponibilità dell’energia in tutte le contrade di Sardegna.
Badate che sino all’autonomia, la Sardegna aveva 170 paesi senza energia elettrica senza neanche l’interruttore per accendere la luce. Molti di voi sono giovani e non ricordano quei giorni, ma 170 paesi che non disponevano di energia: È con l’autonomia che viene la luce, ma viene da che cosa? Dal fatto che abbiamo potuto utilizzare il carbone Sulcis, dal fatto che la Sardegna ha creato la centrale termoelettrica prima di Porto Vesme e poi di Carbonia e attraverso quelle produzioni si è passati da 400 milioni di KWH a 4 miliardi e 400 milioni di KWH. Cioè si è fatta la rivoluzione in tema energetico e si è dovuto per un certo tempo esportare energia attraverso un elettrodotto che attraversava il Tirreno, e che lo attraversa ancora ma oggi per importare energia; perché appena c’è stata la disponibilità ci sono stati i consumi. Appena c’è la possibilità di lavorare e di produrre e di diversificare le attività immediatamente i Sardi si sono dimostrati capaci di determinare tutto questo.
Ebbene, io mi occupo anche di temi istituzionali, per cui l’agricoltura non sono in grado di seguirla ma non al punto da non farmi carico dei problemi della nostra terra e della nostra gente quando sono problemi che ne minacciano la stessa sopravvivenza.
Si discuteva del ritiro dei semi neri, dei terreni seminativi e del ritiro dei terreni destinati alla viticoltura (ne ha fatta cenno nella sua relazione l’amico Pau); ed io, che non posso contestare questo tipo di politica perché se le produzioni sul mercato internazionale sono tali da rendere assolutamente antieconomiche queste produzioni, posso anche accettare, naturalmente con le dovute correzioni perché noi siamo in grado di produrre in materia vitivinicola prodotti di altissimo livello e di alta qualificazione internazionale, in maniera puramente teorici i principi. Ma diciamo anche che bisogna incoraggiare le produzioni alternative, mentre la C.E.E. dice: “no, abbandonate quelle campagne”. Perché se qualcuno, dopo aver smesso di seminare, destina quel terreno al pascolo perde il 50% del contributo che gli dà la C.E.E., il che significa la desertificazione della campagna. E allora io mi chiedo che significato ha la nuova politica comunitaria che prima incoraggiava, come diceva Pau, il prezzo ed oggi incoraggia il reddito. Cioè è cambiata la politica, perché incoraggiando il prezzo si è incoraggiato soltanto coloro i quali erano in grado di produrre in grandi quantità in quantità estensive ma in quantità intensive. Per cui dopo pochi anni la comunità da deficitaria di produzione dell’agroalimentare è diventata eccedentaria. L’80% delle risorse comunitarie sono andate al 20% delle aziende, cioè si è andata specializzando nel centro Europa un tipo di agricoltura intensiva e di produzione lattiero casearia per cui col 20% delle aziende si sono impossessati dell’80% delle risorse, e l’altro 80% delle aziende si è accontentato del 20% delle risorse. Si è rovesciato il rapporto: in pochi si sono presi il molto e in molti si sono presi il poco. Noi siamo tra i molti che si sono presi il poco, cioè i marginali.
Ebbene, oggi si sta vedendo che questo significa la desertificazione diffusa di tutte le terre ai confini della C.E.E. (Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia, Italia meridionale). E allora, cambiando il tipo di politica agraria la comunità dice: incoraggiamo il reddito, cioè incoraggiamo quei produttori che resistono nelle terre marginali, che resistono nelle terre povere e continuano a testimoniare la loro presenza nel lavoro e continuano a garantire la difesa dell’ambiente e la qualità dell’ambiente; incoraggiamoli dandogli l’integrazione del loro reddito rispetto a quello che è la media del guadagno comunitario. Però contemporaneamente si dice che in tutte quelle terre se le produzioni non sono al livello di normativa comunitaria sono fuori legge. E allora ecco il mio intervento:
“Colgo l’opportunità offerta dal dibattito sul ritiro dei seminativi e vigneti per esprimere alcune riflessioni sulla politica agricola comunitaria e sull’impatto che essa esercita in aree strutturalmente caratterizzate da crisi economico sociale.
La prima considerazione attiene per l’appunto all’effetto suscitato dalla politica di incentivi alla non produzione. Certo i principi ispiratori sono comprensibili, ma non si comprende però perché siano oggettivamente scoraggiate le produzioni agricole alternative, punite col dimezzamento dell’incentivo. Si ottiene così una perdita secca del prodotto lordo vendibile, l’aumento devastante della disoccupazione, lo squilibrato rapporto consumi-importazione, e ciò che preoccupa di più, l’affievolirsi dei rapporti etico-sociali avviati verso il degrado di un assistenzialismo diseducante e corruttore con redditi che non sono frutto di lavoro. È lo stesso ambiente a subirne l’impatto più negativo per il progressivo abbandono delle campagne, la desertificazione e il conseguente degrado di queste. Tra le attività alternative emerge quella dell’allevamento del bestiame, in regioni come la Sardegna quella dell’ovi-caprino. L’assurdo è costituito a questo punto dalla minaccia di dichiarare fuori legge tutte le produzioni lattiero-casearie non in regola con le norme comunitarie in materia genico-sanitaria. Anche in questo caso l’astratta correttezza della direttiva non fa i conti con la concreta esigenza dei tempi tecnico-finanziari: l’allevamento ovino-caprino si realizza di norma nelle terre marginali, collinari e di alta montagna ove non sono presenti infrastrutture elettriche, viarie e acquedottistiche, essenziali per il compiuto rispetto della normativa comunitaria. Come refrigerare il latte se manca l’energia elettrica? Come conciliare l’ispirazione della riforma agricola verso le colture estensive che sono per l’appunto tipiche dell’economia collinare e di montagna con la minaccia di mettere fuori legge le produzioni? È necessario perciò condizionare gli incentivi ecc. ecc”.
È, come vedete, un intervento breve, ma centrato proprio sulle tematiche che qui si stanno affrontando.
Io credo che di prezzo del latte, e delle formule matematiche attraverso le quali si possa individuare il prezzo del latte più corretto, nei contrapposti interessi fra produttori e trasformatori; io credo che nella promozione dell’immagine delle nostre produzioni, sulla standardizzazione di queste, sulla riduzione dei costi di produzione e attraverso tutte le tecnologie che noi potremo fare, possiamo arrivare (e possiamo arrivarci perché basta che la Regione decida una certa linea politica e programmatica e che si stanzino le somme relative e ci si arriva); dentro l’Europa e con l’Europa, perché se questo noi non riusciamo a realizzare siamo tagliati fuori, ed è tagliata fuori la parte più viva, quella per millenni ha rappresentato la Sardegna in tutta la sua forza creativa, in tutta la sua forza morale, in una sua civiltà che è la civiltà pastorale.
Ebbene cari amici, io apprezzo molto l’iniziativa di questo convegno. A suo tempo da Presidente della Regione, e con la partecipazione attiva dei colleghi di giunta, abbiamo delineato tutta una serie di prospettive: per esempio l’accelerazione della riforma agro-pastorale, passando da 10 mila ettari (in 20 anni) a 300 mila ettari (in 5 anni) ma abbiamo soprattutto cercato di ridare respiro e orizzonte alla politica agricola, non solo cercando di concentrare i processi di trasformazione e razionalizzando i processi di produzione e dando incentivi mirati a questo fine, ma anche promuovendo l’immagine, dando risorse e disponibilità finanziarie per promuovere nel mercato l’immagine delle nostre produzioni, per standardizzarle, per tipicizzarle, per dare finalmente economicità e competitività alla nostra produzione ma anche per dare infrastrutture adeguate. Per esempio, il piano delle acque per 1’80% doveva servire agli agricoltori, per dare agli agricoltori l’acqua che è necessaria non solo per irrigare le produzioni agro-pastorali con produzioni foraggiere adeguate per l’allevamento del bestiame, ma per rispettare tutte le norme igienico sanitarie che sono oggi essenziali in qualunque processo produttivo, anche per la qualità della vita del pastore e dell’allevatore che vive nella solitudine delle campagne. Queste risorse, l’elettricità, la viabilità, l’insieme dei fattori ai quali si puntava durante la nostra esperienza di governo, e che in parte si è trasformata in progetti ed anche in finanziamenti: l’ipotesi di nuove 35 dighe al servizio della comunità dei Sardi nel suo insieme, ma prevalentemente dell’allevamento del bestiame e dell’agricoltura nel suo insieme, tutto questo rappresenta un certo passo verso il futuro.
Io credo che con la determinazione, con la forza, con il convincimento di farcela cari amici noi ce la faremo, ma guai a sentirci disarmati, guai a sentirci sconfitti. Quando Muledda dice, ed è l’unico punto sul quale non sono d’accordo con lui, che lui ha puntato sulla permanenza del Ministero dell’agricoltura perché altrimenti siamo la regione piccola e povera, che resta confinata ai margini perché le regioni italiane del Nord sono più forti di noi, fanno la voce più grossa di noi e riescono ad ottenere risultati maggiori, ha ragione. Ma ha ragione finché noi continuiamo ad essere degli autocolonizzatori, finché ci sentiamo dei colonizzati e subiamo la politica dei colonizzati e loro continuano a fare la politica che hanno sempre fatto, colonizzandoci con la loro politica industriale, ci hanno chiuso attraverso le barriere doganali dentro il loro mercato costringendoci a pagare 10 ciò che internazionalmente avremmo pagato 5. Non possiamo più accettare di essere i colonizzati, dobbiamo diventare protagonisti.
Io credo che tutte le battaglie che noi abbiamo fatto quando avevamo responsabilità di governo non ci hanno visto perdenti: tutti i numeri andavano in ascesa, e avevamo trovato numeri che andavano in discesa: ebbene, li abbiamo lasciati in ascesa e li ritroviamo in discesa. È una lotta di popolo non è una lotta di governi, cari amici.
È la forza dei popoli che fa la storia, e non la trattativa di pochi vertici. Se noi ci mobilitiamo, e un’occasione di confronto e di valutazioni e di analisi e di riflessione come questa è certo utile. Bisogna che ne facciamo tante altre per seguire passo passo e senza distrarci mai sugli itinerari che dobbiamo percorrere, io credo che se tutto questo sapremo fare noi ci rimpadroniremo prima di tutto della nostra terra e ci rimpadroniremo del nostro futuro.