Convegno sulla deontologia dell’informazione

PRESIDENTE della Regione

(giugno 1987)

Io non ho voluto mancare a questo appuntamento al quale ho dato, quando mi è stato chiesto, il patrocinio dell’amministrazione regionale, per l’alto significato civile che assume per la grande attualità del tema, per il rilievo che ha, nel nostro impegno quotidiano, una corretta informazione. Specie in un’isola – dove la stampa, per un’antica tradizione, appartiene ad editori che Sardi non sono, che ci nominano i direttori scegliendoli nel loro albo, attraverso selezioni, che con la Sardegna, spesso, non hanno grande consuetudine, e riguardando i problemi con un’ottica che, spesso, noi non riusciamo a capire, che ci lascia abbastanza estranei e che, tutto sommato, produce un’informazione non molto gratificante per i nostri, come definirli, utenti non sembra che vada bene: per i nostri lettori, per i recettori della notizia.

Non è il caso attuale. Oggi, l’informazione i giornali ce la danno con sufficiente ampiezza. Ho molto apprezzato queste riflessioni critiche, che voi giornalisti, in questo incontro, state facendo questo ritornare nel profondo dei temi e problemi della vostra professionalità, dell’impegno etico del vostro ruolo nel produrre una corretta informazione, quella verità,attraverso la quale i cittadini e la società possono formulare le loro scelte, orientarsi, stabilire una “opinio” prevalente, che poi finisce con l’influenzare le decisioni che, attraverso le istituzioni, si andrà ad assumere.
La stampa ha, certo, un grandissimo ruolo.Forse, non è più Forse, anche qui siamo nel mito. Un tempo si diceva del potere di uno Scarfoglio , che con un articolo scritto a Napoli, faceva cadere i governi a Roma. Il prestigio del giornale e del giornalista era di tale rilievo, da determinare conseguenze immediate nella gestione del governo del paese. Certo, però, che la stampa ha un ruolo fondamentale nella formazione e nell’orientamento dell’opinione pubblica. Nel creare linee di tendenza, nel suscitare reazioni etiche nella massa dei cittadini, nei settori più diversi della vita pubblica. Per cui si impone, in termini di assoluta chiarezza, la fonte, la genesi, di certa informazione, non tanto come notizia quanto come fucina nella raccolta e formulazione dell’informazione. Cioè, la genesi delle testate e come le testate vanno concentrandosi. Io so, che nel breve volgere di pochi anni, i due giornali della stampa scritta in Sardegna hanno cambiato proprietario. Io ho dovuto, nella mia responsabilità di presidente della Regione, dialogare a lungo con i potenziali editori, per rendermi conto che non vi fosse una manovra tendente a concentrare l’informazione, perché nei decenni trascorsi l’azionista di un giornale era azionista anche dell’altro. Quando, finalmente, un paio di anni fa, le azioni, credo in Svizzera, sono state cedute all’attuale azionista di maggioranza di un certo giornale, a cederle è stata una finanziaria, di cui era titolare colui che, invece, in modo apparente, era titolare dell’altro giornale. Avevamo due giornali, apparentemente in competizione tra loro, ma che appartenevano allo stesso editore. La concentrazione delle testate era un fatto compiuto, l’informazione
era a senso unico, gli interessi serviti erano i medesimi, l’alterazione nel tessuto sodale, nell’opinione pubblica, aveva prodotto le stesse esigenze. Fare della Sardegna un grande emporio chimico, meglio ancora se petrolchimico, e metterci in fondo a quel tunnel, dal quale non siamo ancora usciti, perché la crisi, che poco dopo è seguita in questo settore, ci ha confinato nell’ambito delle regioni più sottosviluppate d’Italia, che vivono, oggi, in termini veramente angosciosi e drammatici la crisi della chimica, della petrolchimica, delle industrie di base che operano in quel settore. Sì, l’operatore economico è scomparso, ma la nostra crisi no La stampa l’aveva celebrata come l’era della grande tecnologia, la rinascita sarda: parola, che talvolta politici in vena di fantasia inventano, si è appesantita di molto olio e di molto petrolio e non ha più volato. È così, in condizione di difficoltà. Certo, la colpa non è della stampa. In ultima analisi, erano gli interessi economici a comandare gli stessi operatori politici conformavano i loro comportamenti in correlazione agli interessi economici; ma, certo, la stampa un suo ruolo importante l’ha svolto. Noi ci preoccupiamo, quindi, di una stampa che sia capace di informazione diversificata, di informazione,quindi, perciò stesso, corretta. Oggi, voi, vero, parlate di informazione scritta, ma per noi “utenti” è importante l’informazione visiva: quella della televisione; l’informazione parlata: quella della radio; l’informazione globale. È un’informazione che ha suscitato energie enormi. Non è vero affatto, che la televisione tende a sostituire l’informazione scritta, semmai, suscita interesse alla verifica, al controllo, all’approfondimento, all’arricchimento della notizia, per cui, oggi lo leggevo proprio nei giorni scorsi, si va verso il traguardo dei sei milioni di lettori nella stampa quotidiana, un risultato eccezionale e impensabile appena alcuni anni fa Io ricordo nel ‘76 Repubblica pubblicava 130000 copie al giorno, adesso ne pubblica oltre 700000. E sono passati meno di dieci anni. Forse, altri giornali non hanno avuto la stessa evoluzione, ma la linea di tendenza è all’aumento. Quanto più aumenta l’informazione televisiva, tanto più aumenta l’informazione scritta. Debbo dire, anche, che la Sardegna ha in percentuale il più alto numero di lettori di quotidiani di tutta Italia. È un fatto particolare, che mi fa piacere dire, sottolineare. Stiamo parlando di percentuali, evidentemente, ma forse è la nostra insularità che ci porta a questa fame di informazione, a questo bisogno di collegarci. Quei collegamenti, che non riusciamo a stabilire fisicamente con una continuità territoriale, che non è impedita solo dalla geografia, ma, troppo spesso, è impedita dalla politica. Per cui, insularità ed isolamento spesso vanno a coincidere. Forse, saranno questi le spinte e gli stimoli che ci portano a proiettarci all’esterno, a voler partecipare alla vita delle grandi collettività, di cui ci sentiamo parte e protagonisti partecipi. Certo è che abbiamo in percentuale un alto numero di lettori di quotidiani. Oggi nessuno può più considerarsi un isolato. Oggi partecipiamo tutti, nei tempi reali, viviamo insieme l’evolversi dei fatti, le ansie, le preoccupazioni, le vicende amare, di un candidato alla Casa Bianca, che, nel lontano mondo di Miami, viene “lapidato” per un po’ di fantasia e di sentimenti, che non camminano con le carte bollate e, quindi, vengono rifiutati da una società, che io avevo sempre considerato molto morale, di grande rigore etico, ma non così, come dire, farisaica. Visto che questo episodio, sinceramente, non meritava il grande frastuono, che ha scatenato nel mondo. Non so quanto vi sia di etico e quanto vi sia di artificioso in tutta questa operazione.
Apprezzo molto che voi vi interroghiate, che in tutta la stampa italiana, nella stampa inglese, nella stampa di tutto il mondo, appunto, si diceva: Americani, per carità, decidetevi a crescere; perché sono forme di infantilismo quelle che hanno visto distruggere un personaggio di interesse mondiale. Perché un Presidente degli Stati Uniti d’America non esaurisce, certo, all’interno dei confini di quello stato, la sua capacità di incidere sui destini del mondo. Se nessuno è isolato, e tutti siamo oggi partecipi. Di qui, la necessità di essere coinvolti e di avere la più limpida delle trasparenze nell’editoria, per via di quegli interessi, che possono in qualche modo influenzare la presentazione delle notizie. C’è anche un modo molto più surrettizio, molto più subdolo, più insinuante, di dare l’informazione. Sono quelle informazioni, quei messaggi occulti, che trasformano l’informazione in persuasione occulta. Non è, solo, un fatto commerciale, è anche un fatto culturale ed etico. Ora, io ho ascoltato con grande interesse, come sempre d’altronde mi accade, quando ho la fortuna d’ascoltare Mons. Meloni, al quale va tutta la mia stima, il mio apprezzamento, e anche, se mi consente, la mia amicizia. Nelle sue riflessioni sul valore non teologico dei valori deontologici della professione giornalistica. Ed ho chiesto che tra il suo discorso e il mio vi fosse un intervento, la cui atmosfera fosse un po’ meno rarefatta. Perché, non mi sono sentito di seguirlo nei raffinati distinguo, che, ripercorrendo la storia dell’informazione e della comunicazione, egli ci ha proposto. Ma io credo che, in fondo, la deontologia professionale giornalistica sia uguale a quella di tutte le altre professioni. Sia sempre la verità l’elemento predominante in tutti i settori dell’impegno umano. Chiunque si sottrae alla verità: la altera, la mistifica, naviga nel falso. Io avvocato non lo posso fare, ma non lo posso fare neppure come politico, e non lo posso fare come medico, se non pietatis causali. Quando quella pietà è finalizzata alla terapia, perché quella verità potrebbe essere dannosa alla salute del malato. Perché potrei emozionarlo, scoraggiarlo, demotivarlo, fargli perdere ogni capacità di resistenza; ma, altrimenti, la verità è l’elemento che fa premio su tutte le altre ipotesi di modello di comportamento.
Che significato ha la filosofia morale, se il precetto giuridico non deve coincidere con il precetto etico? Un precetto giuridico, che non abbia piena coincidenza con il precetto etico, è qualcosa di innaturale, di contrario al comune sentire diventa una prevaricazione, diventa una sopraffazione, e ci allontana da quel valore fondamentale, che è la verità. Vi è la sfera pubblica in tutto questo, nell’informazione. Ma vi è la sfera privata. Io vedo, come talvolta è stato richiamato dall’intervento della rappresentante della stampa estera, credo che voi lo abbiate sottolineato, lo ha sottolineato il giornalista che parlava mentre io arrivavo, un tipo di stampa che vive di incoerenza pur nella emotività delle notizie, tutte date con grande clangore, con grande emotività, con grandi titoli, presentati con il crisma dell’assoluta certezza, per essere smentiti qualche settimana dopo con la stessa sicurezza, con la stessa certezza, che afferma, però, esattamente il contrario. Mi pare che la rappresentante estera chiamasse questo genere di informazione: disinvolta. È una disinvoltura, però.
Questi scoop, che spesso sono soltanto nella formulazione, nella sintesi del titolo poi, ad andare a leggere l’articolo, si prova un senso di vuoto e di delusione, perché le cose promesse dal titolo non ci sono proprio, addirittura a volte, sono di segno opposto. Ecco, io vedo e ne soffro, perché mi piacerebbe tanto, che in una regione come la nostra, che deve impegnarsi fino allo spasimo per combattere le sue difficilissime battaglie, per portare un messaggio, che sia di speranza, di fiducia, che infonda coraggio nei cittadini, che proponga obiettivi realizzabili, che dia il senso dell’impegno, di cui vi è assoluta necessità perché determinati traguardi possano essere conquistati, in una regione, che deve ancora percorrere un travagliatissimo sentiero per realizzare non chissà quale sviluppo, ma un riequilibrio con le altre regioni del nostro paese. Perché tutti ci sentiamo cittadini di una comune patria. Perché non ci sentiamo degli emarginati. Perché si superino certi, (non che vi siano) complessi di inferiorità, ma certe condizioni, come dire, rivendicative che vanno oltre il proponibile, in termini politicamente corretti.

Ecco, io talvolta trovo che i giornali, nel proporre le notizie, per fare premio sulla emotività del lettore, possono diffondere un senso di scoramento, di smarrimento e di sfiducia e, quindi, far mancare una parte dell’impegno, di cui la società ha bisogno per stimolare, prima di tutto, il potere politico locale: dal Comune alla Provincia, alla Regione, i politici a livello nazionale deputati, senatori e tutti coloro i quali, insomma, sono chiamati da un mandato ad assolverlo e, tutto sommato, finiscono col non essere promozionali.
L’informazione è un bene prezioso, perché ci mette tutti in condizione di partecipare ad una grande vicenda e ad una grande avventura comune, che è l’avventura dell’umanità. È un bene irrinunziabile, che deve condurre ad un porto, che è il bene comune.
Ecco, io credo che, quando il giornalismo assolve a questi compiti, il decalogo, che i giornalisti si sono dati, certo, ha molta importanza leggerlo, rileggerlo, ma basta questo obiettivo: è un ago della bussola, che non può sbagliare.