Carnevale in Sardegna – Mamoiada Biblioteca comunale – 18 gennaio 1986

È facilmente comprensibile ed altamente apprezzabile che un dibattito sul tema del Carnevale in Sardegna, sulle sue origini e sul suo attuale significato sociale e culturale, abbia in Mamoiada uno dei “luoghi eletti”, in quanto proprio qui si celebra una delle più originali ed altre espressioni del Carnevale sardo.
L’iniziativa dell’Amministrazione Comunale, dell’Associazione Pro-Loco e dell’Istituto Superiore Regionale Etnografico merita altresì il più vivo apprezzamento come esempio di collaborazione culturale fra un Istituto di alta specializzazione e gli enti locali.
Il Carnevale è una delle più antiche e caratteristiche manifestazioni della cultura popolare, diffusa in tutta l’Europa cristiana, a partire soprattutto dalla fine del Medio Evo, fino ai nostri giorni.
Una tradizione plurisecolare ha elaborato precise norme sociali, tanto più valide quanto più la società era retta da forme organizzative elementari, su base produttiva agricola e pastorale, per disciplinare le occasioni e i tempi da dedicare al lavoro, al serio, al produttivo; accanto a queste ha previsto particolari circostanze, ben specificate, da dedicare all’allegria, al riso, al riposo, alla festa.
E questo per ricordare agli uomini che nell’arco dell’esistenza, più o meno breve, più o meno tormentata, ognuno vive come attratto dai poli di una stessa realtà: la serietà e l’allegria, la tristezza e il riso, il momento di lavoro e quello della festa, le regole e la loro infrazione, la saggezza e la follia. Semel in anno licet insanire.
La vita quotidiana, i rapporti di lavoro, l’ineguaglianza sociale, la lotta per la vita impongono agli uomini una “maschera” di impegno, di sacrificio, di rinunzie; la parentesi del Carnevale è invece un’occasione, unica nell’anno di naturalezza, di spontaneità, di libertà, di riposo, di gustosa sregolatezza.
La comunità ritrova se stessa come gruppo fuori dall’ambito della produzione e dei rapporti di classe quotidiani; contemporaneamente essa istituzionalizza, a livello simbolico e solamente per il breve periodo della festa, il capovolgimento delle classi, delle norme e dei comportamenti sociali che sussistono nei giorni normali. Il ricco si travesta da povero, il povero da ricco, il sano imita lo storpio, il saggio si atteggia a sciocco, e così via.
In altre parole, il Carnevale si configura come uno spettacolo di tipo rituale, governato dal principio fondamentale dell’inversione dei ruoli e delle gerarchie; non è errato affermare che, soprattutto in passato, esso ha svolto una rilevante funzione sociale di controllo e di canalizzazione delle istanze critiche e contestative dei ceti sociali subalterni.
Il Carnevale viene celebrato in diverse località della Sardegna: in Barbagia, a Bosa, a Tempio, a Oristano; tra le manifestazioni attualmente più vitali e più rappresentative sono certamente da annoverare, oltre alla mamoiadina, quelle che si tengono a Ottana, a Ovodda, a Orotelli.
Mamuthones e Issokadores, Boes, Mèrdules, Thurpos sono le maschere tradizionali che in Barbagia si sono conservate lungo un itinerario temporale di secoli, secondo un rituale formalizzato nell’abbigliamento e nel comportamento; esse costituiscono il fulcro delle manifestazioni carnevalesche nei rispettivi paesi.
Se si pensa alla struttura sociale ed economica tipica della Barbagia, che è stata per secoli la pastorizia, e al Carnevale come momento di rovesciamento del quotidiano, non è infondato vedere queste manifestazioni quasi come un rovesciamento del rapporto uomo-animale; la vita quotidiana del pastore e del contadino è strettamente legata a quella degli animali da lui addomesticati; dagli animali dipende la sopravvivenza del contadino-pastore ed essi, a loro volta, sopravvivono in funzione dell’utilità che l’uomo ne trae.
L’analisi più acuta di questi suggestivi aspetti della cultura barbaricina resta, ancora oggi, quella fatta più di trent’anni orsono da Raffaello Marchi; lo studioso nuorese ce ne ha fornito il più organico e convincente modello interpretativo in uno studio apparso sulla rivista “Il Ponte” nel 1951.
Il problema che oggi si pone alla più consapevole cultura sarda è, anche in questo campo, quello di valorizzare e di promuovere la conoscenza di questo peculiare aspetto della cultura sarda, evitando nel contempo la sua degradazione a livello folklorico, a merce di basso consumo turistico.
In questo contesto, sono quanto mai valide l parole di Michelangelo Pira ne “La rivolta dell’oggetto”; per lui “molto di quel che per altri è folklore… non è niente di meno che cultura, differenziata e specifica quanto si vuole, ma pur sempre cultura. Definire “folkoloristici” elementi importanti della cultura sarda (costumi, balli, canti, riti funebri, poesie, norme giuridiche, proverbi) indigna per il distacco, la distanza che si sottintende tra i valori degli osservatori superficiali e valori della nostra cultura”.
Manifestazioni come quella odierna debbono costituire preziose occasioni di riflessione e di studio, per dare a buste specifiche espressioni della cultura popolare sarda un ruolo sempre più definito nel processo di valorizzazione del nostro patrimonio storico e culturale.