Ritratto di Don Bisi – anni ’90

Conoscevo il rev. Bisi sin da quando, bambino venivo condotto dai miei genitori saltuariamente ad Oliena. Non ebbi con lui alcuna consuetudine di rapporti neppure quando, giovane avvocato, frequentavo più spesso Oliena per ragioni familiari, in visita ai non pochi parenti, ma altresì per ragioni professionali e da ultimo, politiche.
Del rev. Bisi sentii parlare con particolare calore quando esplose in Oliena, unico caso in Sardegna, un duro contrasto fra la locale sezione sardista e lo stesso don Bisi.
Si trattò di uno scontro duro, frontale motivato dalla reazione sardista non tanto al sostegno che il sacerdote accordava – anche nell’assolvimento del suo magistero – al partito della Democrazia Cristiana (lo facevano tutti o quasi i Sacerdoti in Sardegna) quanto perché combatteva i sardisti giungendo a negare i sacramenti ai fedeli che tali si dichiaravano. Fu uno scontro devastante che divise la popolazione e determinò addirittura alcune pratiche religiose (funerali) senza la partecipazione del prete. Era uno scontro che non coinvolgeva la fede ma solo le persone e potè perciò essere superato con la paziente mediazione del Vescovo Mons. Melas e dei dirigenti sardisti desiderosi di superare questa singolare anomalia.
Senza entrare nel merito di torti e ragioni che difficilmente possono comprendersi senza rivivere il clima che si era formato in quegli anni, mi resi però conto che don Bisi doveva essere dotato di una forte personalità, abituato a decidere in solitudine e quindi a comandare. In effetti è stato per oltre mezzo secolo il parrocco di Oliena, assistito, non sempre, da qualche giovane vice parroco, per cui era, di fatto, costretto ad assumere da solo responsabilità di decisioni ed iniziative che, uscendo dal quotidiano si proponevano rilevanti per complessità, impatto sociale e difficoltà soggettive ed oggettive.
Era inevitabile che questa consuetudine lo avesse trasformato, anche psicologicamente, in un organo monocratico (per sua natura non democratico…).
Una volta assunta la decisione maturata, credo in buona fede, la realizzava e, se ostacolata, la difendeva combattendo chi la combatteva.
Con questa immagine di don Bisi ho affrontato le campagne elettorali da candidato al Consiglio Comunale uscendone talvolta battuto ed altre vittorioso.
Per quanto la D.C. contasse in Oliena numerosi e qualificati esponenti, il più forte ed autorevole era sicuramente lui. Nello spoglio delle schede elettorali ricordo che si aspettava con ansia quelle della prima messa, votate all’apertura dei seggi e quindi scrutinate per ultime. Erano quelle che decidevano il successo dell’una o l’altra lista. Già; allora le liste erano di norma due: Democristiana e Sardista.
Quando nel 1956 vincemmo le elezioni e fui eletto sindaco in campo D.C. si diffuse costernazione, quasi fossero arrivati in Comune i Lanzichenecchi.
L’epiteto più gentile che i partitanti attribuivano agli avversari era “pudesciu” : puzzolente.
Incontrai in una cerimonia ufficiale il rev. Bisi qualche giorno dopo il mio insediamento nella carica di Sindaco. In fondo il vero sconfitto era lui, ma solo quel giorno ebbi modo di capire che l’uomo aveva classe e che la sua forza non stava nella tonaca o solo in quella, ma nell’intelligenza dei problemi, nella sua umanità, nell’amare – a suo modo – la popolazione olianese e nel rispettare le istituzioni e chi le rappresentava. Fece un breve discorso, forse antiquato nella forma, ma limpido, equilibrato e costruttivo nella sostanza.
Altro che guardare indietro e sterilmente rammaricarsi della sconfitta! Capii subito che era interessato a tutte le possibili iniziative che potevano giovare al paese e non aveva alcuna intenzione di contrastarmi in tale impegno.
E fu così. In tutte le battaglie elettorali lo ebbi contro, inflessibilmente ma all’indomani delle elezioni lo invitavo a benedire l’inizio dei lavori per il miglioramento fondiario di “Lanaitto”, o la valorizzazione turistica del “Gologone” o, il nuovo edificio scolastico, o la strada interna al paese, o la nuova colonia montana, e così via; don Bisi non mancava mai di testimoniare con la sua presenza, con la parola sempre aperta al futuro ed alla speranza, con il valore mistico dell’autorità spirituale, il preciso dovere di tutti ed ancor di più, la gioia di concorrere al progresso del paese ed al benessere dei cittadini.
Avevo imparato a tener nella massima considerazione l’autorità morale che esercitava sulla popolazione. Qualunque importante iniziativa andava maturando in Comune, lo informavo trovando in lui sempre incoraggiamento e sostegno.
Non abbiamo mai mancato di solennizzare insieme anche le ricorrenze tradizionali e fra queste, in particolare, il 4 Novembre: il ricordo dei Caduti di tutte le guerre. Mi colpiva sempre la sua commozione quando ricordava che al parroco spettava l’amaro, struggente dovere di comunicare alla famiglia la notizia che un altro giovane Olianese era stato sacrificato nelle lontane misteriose montagne dolomitiche o carsiche. Lo ripeteva ogni anno ed ogni anno la sua commozione si comunicava alla grande folla che non dimenticava ed onorava anche col pianto i suoi caduti.
Non ho mai capito se si è vocato al sacerdozio quando era già avanti negli studi o meno. Nei suoi discorsi pubblici e privati parlava spesso di amicizie maturate nei banchi della scuola ginnasiale con personalità affermatesi poi nel mondo professionale quali avvocati medici, etc. E li aveva cari. Fra questi il mio maestro di professione e di vita: l’on. avv. Luigi Oggiano.
Che dire ancora? Era uomo di cultura; ed in questa veste riusciva a salvare reperti archeologici preziosi quali bronzetti nuragici che, così mi raccontava, i contadini tendevano a distruggere senza osare toccarli perché li ritenevano espressione demoniaca, apportatrice di sventura.
Conservava gelosamente la documentazione della comunità “Locoe”, annientata e dispersa intorno al XV o XVI secolo dalla peste; i superstiti si rifugiarono in parte ad Orgosolo in parte ad Oliena formando il rione di “Sa Tiria”.
Ha vissuta formando famiglia con quella di una sorella sposata in Oliena. È del tutto naturale che si sentisse legato affettivamente ai nipoti che aiutò in tutti i modi, penso negli studi e, per quel che ne so, anche politicamente. Ma va detto ad onor del vero che aiutò politicamente quello che la pensava come lui: Antonio che si professò sempre democristiano, mentre questo non fece con Giovanni che pure gli era affettivamente vicino, perché di fede missina. Era in qualche modo accusato di nepotismo, ma non mi pare che l’accusa meriti particolare rilievo. I nipoti Gardu erano delle persone per bene, meritevoli di apprezzamento sia sul piano umano che professionale.
Aveva i suoi limiti. Ma cercò di operare per il bene della gente. Così creò un asilo infantile nella conduzione del quale le suorine, che pure lo gestivano con totale dedizione di sé, per l’estrema povertà dei mezzi si trovavano ad affrontare quotidianamente molte difficoltà. Per ovviare a ciò almeno in parte, ricordo che di tempo in tempo, quale Sindaco del paese, disponevo degli aiuti in favore dell’asilo versandoli direttamente alle Religiose. (Se questo documento sarà letto dai giudici della Corte dei Conti mi trascineranno magari in giudizio. Ma credo che mi salverò in virtù del tempo decorso…).
Sì! aveva i suoi limiti. Per esempio, ha contrastato per anni, definendolo sconveniente e fonte di peccato, il tradizionale “Ballu tundu” che la gente eseguiva da secoli in piazza la sera della domenica. Era una danza casta, di origine certamente religiosa che ragazzi e ragazze, vestiti dei loro costumi più belli (specie le ragazze), animavano tenendosi per mano e formando così un circolo che al canto di una “voce” che stava al centro della piazza ritmava i passi della danza.
Aveva un rapporto geloso col denaro. Ma non credo per avidità di lucro quanto perché voleva fare troppe cose. Oggi si direbbe che interveniva “a pioggia”. Poco su tutto. Ma quel poco era un seme di piante buone. Almeno queste erano sicuramente le sue intenzioni.