Un ricordo per onorare l’impegno di Luigi Oggiano – Giornata di Studi – 21 dicembre 1996- Posada

Luigi Oggiano – Un Mito

Di lui si diceva: “la santità senza fede” (religiosa). Sbaglierebbe però il lettore ad immaginare una figura ispirata, contemplativa, severa con i peccatori, asciutta con i buoni. Una sorta di burbero benefico.
Ben altro! Amava la gente, ci stava in mezzo gioiosamente, pronto a cogliere con stile, benevola ironia ogni esaltazione del reale, ma capace come pochi di immaginarsi con profonda umanità nel dolore altrui per alleviare la sofferenza, riparare i torti e realizzare gli umili, sognanti, difficili traguardi.
Spronava (non sembri eccessiva la parola) i deboli alla legittima difesa dei propri diritti, preoccupato di esaltare ancor prima degli interessi economici, i valori umani, la dignità, la coscienza di sé. Si spronava alla resistenza attiva contro prevaricatori, sistemi e pensare, tanto sul piano politico che morale.
Scoraggiava la litigiosità fra poveri, frutto di emulazione paesana, fonte di rovina economica e contrapposizioni rancorose che si trascinavano (e si trascinano) per anni, ramificandosi diffusamente nei parentadi sino ad esplodere in veri e propri atti di violenza non di rado omicida.
Ricordo il tempo che dedicava alla discussione di clienti psicologicamente armati allo scontro. Posti dinanzi alla sterilità della possibile vittoria giudiziaria, falciata da spese, tempo, serenità irrecuperabili, reagivano con il classico “andate tutto in fumo”, patrimoni, rapporti, famiglie. Quando la povertà supera certe soglie non resta che il “puntiglio” a salvare un’apparente dignità paesana. Ebbene Oggiano era il “missionario”,l’apostolo che predicava con fervida donazione di sé la pacificazione degli animi e la composizione degli interessi.
“Non che bocca crassa” soleva spiegare a “fratello” litigioso (tradotto: ci perdi anche le calze).
Queste conversazioni si svolgevano, di norma, dopo l’udienza civile o penale (che inizia alle nove), dalle dodici in poi; e si protraevano sino a che l’ultimo “cliente” non era stato sentito e aveva ottenuto esauriente risposta agli spinosi temi proposti. Il che significava concludere la mattinata intorno alle tre, tre e mezza del pomeriggio.
Ma, cadesse il mondo, alle quattro era nuovamente al suo tavolo di lavoro a studiare nuovi o vecchi fascicoli giudiziarie, poderosi volumi della letteratura giuridica classica, neoclassica o positivista o le più recenti pubblicazioni nei diversi campi del diritto (civile, penale, amministrativo, tributario).
In pieno inverno era difficile che la giornata di lavoro si concludesse prima delle dieci e mezza di notte.
A questi orari aveva abituato noi praticanti insegnandoci che la professione è prima di ogni altra cosa, scelta di vita che ha senso se ancorata a valori morali molto precisi, concreti, non derogabili. Missione da svolgere sul discreto riserbo dei rapporti con clienti e avversari visti quali protagonisti di vicende umane dolorose, di aspettative deluse, talora ingenue, più spesso legittime, fallite per ragioni diverse, non sempre dipendenti dalla perversa ingordigia dell’avversario, ma da leggi svuotate dalla dinamica sociale, o da situazioni ed eventi che sfuggono alla volontà e governo dei singoli.
Ci ha guidato, nel leggere attraverso le cause giudiziarie il più ampio travaglio della comunità, condizionata da fasi di sviluppo, emarginazione, livelli culturali squilibrati in conflitto con processi evolutivi ben più dinamici e gratificanti di altre comunità italiane e straniere conosciute attraverso l’emigrazione di massa, la stampa scritta ed i messaggi radiofonici e televisivi.
La passerella luminosa del dibattimento era considerata breve fase operativa – per altro carica di tensione emotiva – affidando all’arte oratoria il caso umano nel quale far rivivere con rigorose argomentazioni logico-giuridiche, il dramma di vicende fosche o passionali, con protagonisti emblematici di una comunità malata.
Da queste premesse facile dedurre che Luigi Oggiano era povero. Simbolo di tale condizione il non essere riuscito a costruirsi o comunque disporre di una casa a Nuoro di sua proprietà.
Per certi versi era duramente severo con se stesso quanto era generoso con gli altri.
Eletto senatore rifiutò di presentare – alla cessazione del mandato – domanda di pensione, rifiutando di avvalersi dell’auto messagli a disposizione dalla Prefettura quando doveva recarsi in località lontane a rappresentare il Presidente del Senato da questi a ciò espressamente delegato. Preferiva noleggiare un taxi.
Durante il fascismo negò la sua adesione al regime negandosi alla vita pubblica, senza però rinunziare ai comportamenti rigorosamente coerenti ai suoi valori ideali.
Rifiutò di associarsi alle celebrazioni in memoria del defunto duca d’Aosta subendo la sospensione di un anno dalla professione e la revoca delle decorazioni al valore meritate in guerra, la degradazione a soldato semplice e la cancellazione di una modesta pensione conseguente ad una ferita di guerra che lo tormentò, con le sue riacutizzazioni piuttosto frequenti, per tutta la vita.
Questi era Luigi Oggiano. Ma non solo questo.
Ripeto: amava la vita e la gente. Sapeva gioire, ridere, scherzare, cogliendo con sensibilità le più remote vibrazioni dell’animo.
Si racconta che da giovane fosse un amatore impenitente, generoso e amato, mai condizionato se non nel suo ultimo rapporto con la compagna che con discrezione e dedizione totale gli fu vicina sino alla morte.
Certo la sua vita fu segnata da grandi rinunzie: ad una famiglia, al facile successo, alla ricchezza, al potere.
Talvolta si avvertiva la fatica del dire ed i suoi discorsi denunziavano una difficoltà concettuale che incespicava in strane disarticolazioni lessicali (comunemente dette “papere”) che progressivamente andavano dissolvendosi nel calore di un fuoco interiore che diventava forza, trasfigurazione di sentimenti ed immagini in un orizzonte oratorio luminoso e coinvolgente.
Sapeva elevarsi alla limpida purezza della poesia. E la sua vita è una bella poesia che esalta e commuove.