Ricordo di Bruno Visentini e Giovanni Spadolini – fine anni ’90

La conoscenza con Bruno Visentini sprofonda nei ricordi lontani di quando, trascorso qualche anno dalla caduta del fascismo, ero portato a mitizzare i personaggi che lo avevano contrastato…. Lussu, Cesare Pintus, Fancello, Siglienti li avevo conosciuti ed ascoltati in congressi, o riunioni di partito quando ancora il Partito Italiano d’Azione era la grande speranza di un’aurora federalista dello Stato. Visentini lo conobbi a Roma negli anni Cinquanta, in casa di Ugo La Malfa e già per questo entrava di diritto fra i miti: mi colpì perché parlò di Siglienti con il calore di un amico e la deferenza dovuta ad un maestro.
Giovanni Spadolini lo leggevo settimanalmente su Epoca, credo negli anni ’50-’60, quando ne era direttore Enzo Biagi. Curava la rubrica di politica interna.
Per quanto personalmente fossi avvantaggiato dall’aver vissuto in famiglia il clima dell’opposizione al regime va sottolineato che la nostra generazione si era culturalmente formata nella scuola e nelle organizzazioni fasciste. Ci era di fatto sconosciuta la pratica del confronto critico fra Governo ed opposizione. Leggendo i giornali scoprivamo interessi sostanzialmente inesplorati e spiragli sempre più ampi sugli orizzonti della democrazia.
Percorrevamo un itinerario ideologico emotivamente nuovo, più intuito che conosciuto, fortemente fideistico, spesso astratto, sempre passionale.
Gli articoli di Spadolini si ponevano quindi come scuola di democrazia, capaci di riproporre il dubbio e quindi il ripensamento critico come valore positivo e non disgregante e dispersivo. Erano formativi.
Spadolini e Visentini li ho poi rincontrati in Senato fra il 1976 ed il 1979. Non ebbi con loro consuetudine di rapporti che intrattenni invece con il repubblicano Cifarelli. Ciò non vuol dire che non ne seguissi l’impegno e la forte testimonianza politica resa in sede parlamentare specie in aula non avendone seguito i lavori nelle rispettive commissioni perché personalmente impegnato in altre delle quali loro non facevano parte.
Mi colpiva la disarmante semplicità di linguaggio di Bruno Visentini nel rendere chiari ed accessibili anche ai non esperti i complessi temi della politica economica, mentre il fascino di Giovanni Spadolini emergeva nel discorso fluente, elegante (sino al compiacimento), esente da pesantezze erudite, ma ricco di sprazzi di luce ora introdotti con vigore ideologico, ora con l’umanità dell’aneddoto.
La vita mi ha offerto altre rilevanti occasioni d’incontro con loro.
Con Spadolini, allora Presidente del Consiglio dei Ministri, ho vissuto la celebrazione Garibaldina a La Maddalena, nel 1983, alla presenza del Presidente della Repubblica Pertini. Tenemmo entrambi un discorso ai cittadini di La Maddalena, ma di fatto rivolto agli italiani. Mi pare di poter dire che ci siamo reciprocamente apprezzati tanto che mi volle regalare un libro con sua dedica che suona testualmente:
“Al Presidente Mario Melis nel ricordo del giorno garibaldino sacro a tutta la Sardegna. Con affetto Giovanni Spadolini”.
Successivamente, nell’estate dell’84, rieletto Presidente della Regione ebbi con lui una civilissima polemica sulle pagine del Corriere della Sera. Mi rimproverava un’intervista con la quale auspicavo il superamento degli attuali Stati nella prospettiva di un’Europa delle Regioni; senza ipotizzarne la soppressione auspicavo un forte ridimensionamento del ruolo degli Stati e relativi poteri d’imperio. Disse che ne evocavo un’immagine cimiteriale e si appellò all’autorità di Mazzini nel legittimarne l’attualità politica. Inutile dire che il contrasto era più sulle parole che nei concetti cui entrambi ispiravamo il rispettivo credo. Dopo una mia replica lui concluse prendendo atto della dignità e della serietà del diverso approccio culturale e politico a temi ed istituzioni che fanno parte della nostra storia e sui quali si fonda il futuro dei popoli.
Altro momento di rilevante incontro-scontro-incontro lo ebbi con Giovanni Spadolini Ministro della Difesa. Alla Maddalena le Autorità Militari avevano intrapreso lavori che modificavano in modo sostanziale il governo del territorio senza preventivo parere della Regione, per altro neppure richiesto.
Quale Presidente della Regione gli telegrafai la nostra protesta e, soprattutto, la richiesta d’immediata sospensione dei lavori. Non mi rispose. Forse il mio messaggio non giunse sino a lui, cestinato dai soliti onnipotenti burocrati. I tempi stringevano.
Lo convenni perciò in giudizio avanti al Tribunale Amministrativo Regionale. Successe il finimondo! Rappresentanti del Partito Repubblicano in Sardegna mi accusarono di lesa maestà dello Stato; non parliamo poi dei missini! Per loro l’aver messo in discussione il potere del ministro nel realizzare opere finalizzate alla difesa dello Stato significativa metterlo in pericolo dando mano alla sua disgregazione. Non capivano che la stessa Regione è Stato ed è quindi preciso dovere dei suoi governanti concorrere alla corretta gestione denunziando e contrastando azioni ed iniziative di segno contrario.
Grande fu perciò la meraviglia dei contraddittori sardi quando il Ministro Spadolini, per nulla offeso dalla mia iniziativa, dette atto che questa era non solo giusta e legittima ma ispirata a consapevole senso dello Stato per cui riteneva doveroso riparare all’errore dei dipendenti organi militari sospendendo i lavori e venendo a Cagliari (non convocandoci a Roma!) per aprire con la Giunta un più ampio discorso sulla presenza militare in Sardegna.
In breve: dispose la restituzione di ben 2.500 ettari di demanio militare non più necessari ai fini della difesa; per inerzia dei poteri militari queste continuavano a detenerli del tutto inutilizzati.
Con Bruno Visentini i rapporti sono stati meno numerosi ma, soprattutto negli ultimi anni di sua vita, divennero cordialmente amichevoli. Ho avuto anche con lui un duro confronto da Presidente della Regione a Ministro delle Finanze.
Si verteva sul contestato diritto della Regione alla percentuale dei 9/10 sull’imposta di fabbricazione da estendere ai periodici aumenti del prezzo della benzina. I soliti burocrati, confondendo lo Stato con il Governo centrale rifiutavano il pluralismo istituzionale considerando così la Regione un ente subalterno allo Stato (!); affermavano che gli aumenti di prezzo erano disposti a favore dell’erario dello Stato con conseguente esclusione della Regione.
Quando ormai eravamo alle soglie della causa di cui avevano dato notizia le agenzie giornalistiche nazionali ed alcuni giornali editi a Milano, Visentini riaprì le trattative che si conclusero in favore della Regione con il Ministro Gava succeduto a Visentini. Recuperammo quasi 400 miliardi di arretrati stabilendo il diritto della Regione ai nuovi parametri.
I rapporti con Visentini s’intensificarono durante la comune esperienza parlamentare europea nel quinquennio ’89-’94. Parlavamo prevalentemente di politica e dei rispettivi partiti verso i quali eravamo entrambi piuttosto critici. Lui, per la verità, non ne faceva mistero neppure sui giornali. E lo faceva con severità e durezza.   Talvolta mi parlava di sé, del padre al cui ricordo era particolarmente legato da sentimenti intensamente affettivi, ma altresì di ammirazione.
Non amava soffermarsi sui meriti acquisiti da uomo di governo o manager industriale e finanziario mentre faceva più frequente riferimento alla sua attività professionale di avvocato.
Aveva il gusto sottile dell’ironia. Ricordo che parlando di Lussu definiva la sua posizione di Leader dei partiti Sardo ed Italiano d’Azione un’istituzione regnante in regime di unione personale. Non c’era veleno critico ma affetto e rispetto.
Lo vidi l’ultima volta nel luglio ’94 a Strasburgo appena rieletto deputato nazionale nella lista dei progressisti. Nel giro d’orizzonte che mi tracciò dello scenario politico italiano con il suo conversare sempre lucido ed essenziale, ho colto la preoccupazione di un futuro oscuro, contraddittorio, privo di fermenti ideali, bottegaio e violento.
Personaggi e linee politiche erano investiti dalla luce cruda ed impietosa della sua analisi, intellettualmente onesta, scarna ed essenziale; ma non si avvertiva scoramento.
Nelle sue parole si coglieva anzi l’impegno severo e fermo, coerentemente ancorato ai valori che hanno costituito la forza del suo concreto operare. Eravamo diventati amici.
Negli ultimi mesi della loro vita un comune umano destino ha allontanato entrambi, in modi diversi, dalle rispettive trincee: la Presidenza del P.r.i. per Visentini, la Presidenza del Senato per Spadolini.
Ma nessuna forza li ha mai potuti allontanare da se stessi, dalla fedeltà gelosa e limpida alla propria coscienza ed intelligenza che sono poi coscienza ed intelligenza di un’umanità che pensa, ama e realizza il futuro. Non hanno conosciuto abbandono. Sono morti sul campo.