Cari Amici,
ho accettato, non senza emozione, l’invito a presentare il lavoro giornalistico svolto da Giovanni Lilliu in questi ultimi cinquant’anni, onorato ed intimidito ad un tempo dalla prestigiosa personalità di questo amico divenuto un autentico protagonista del nostro tempo.
È abbastanza raro che un uomo di cultura, il cui sapere nel campo scientifico diventa punto di riferimento di valore assoluto a livello mondiale, goda altresì di una popolarità che va oltre i confini della stima per diventare affetto dell’intera comunità dei Sardi.
La verità è che Giovanni Lilliu nell’interpretare gli eventi di cui è testimone, o nel ripercorrere i sentieri misteriosi dei millenni, nell’ascoltare un canto, come nel rapito incantesimo di un paesaggio, nella trasfigurazione poetica o in quella pittorica, ha sempre un punto di riferimento al quale raccordarsi in forma diretta, semplice, immediata: la Sardegna e la sua gente.
È abbastanza curioso, ma pensando a lui è del tutto naturale, fantasticare di un Giovanni Lilliu conquistato dal fascino dei suggestivi paesaggi dolomitici, popolati da valligiani operosamente impegnati nella vasta, capillare organizzazione di volontariato volta a proteggere il ricco manto che da – con la policromia dei verdi teneri e luminosi dei prati, forti e intensi delle abetaie ravvivate qua e là dalla delicata eleganza delle betulle o dal rosso acceso degli aceri – armonia e suggestione di immagini all’ampio schiudersi di valli incastonate fra contrafforti dirupati, pareti vertiginose, cime incoronate d’azzurro.
E mentre il suo sguardo vaga lieve su tanta possente bellezza il pensiero torna alla Sardegna, alle boscaglie di leccio annientate dal fuoco devastatore, dinnanzi ad un popolo che sembra impotente a contrastare tanta rovina. Ma il suo pensiero non è mai sconsolatamente critico: pur nelle circostanze più difficili riesce ad essere fervidamente propositivo.
E la ragione c’è.
La sua intelligenza creativa è vivificata da forte motivazione politica o, se si preferisce, etica; un bisogno di verità animata da insopprimibile vocazione di giustizia ed, in ultima analisi, di libertà. A ben guardare “verità, libertà, e giustizia” in Lilliu, più che patrimonio individuale, sono i naturali connotati della Comunità; valori che si realizzano superando il concetto di minoranza etnica o culturale per rendere ogni comunità, ogni popolo, qualunque ne sia l’entità numerica, soggetto politico unico, irripetibile, protagonista autonomo e responsabile delle proprie determinazioni; libero da vincoli e subalternità, ma non per questo prigioniero di una innaturale solitudine ma attivamente partecipe al fecondo operare degli altri in virtù di solidarietà che diventa perciò stesso forza della Comunità.
Ogni tema ha per lui una chiave di lettura che prende alimento spirituale e luce di razionalità da un sentimento dominante: amore di Sardegna, che, a ben guardare, è amore di verità, di giustizia, di libertà.
La Sardegna è per lui una realtà emblematica che si realizza entro i confini del “locale che diventa parte essenziale ed integrante dell’universale”.
L’approccio culturale ai diversi argomenti non è mai – pur nel lucido ed essenziale linguaggio dell’archeologo – solo informazione scientifica, ma palpitante racconto dell’umana vicenda del popolo sardo nello sfondo ora oscuro e travagliato, ora forte ed esaltante della sua storia plurimillenaria.
Anche una battuta di caccia – ricordandogli l’adolescenza accanto al padre che lo coinvolgeva quale battitore che costringe i selvatici verso i fucili disposti dalla indiscussa autorità del capocaccia – è momento di riflessione sulla capacità del popolo di darsi strutture organizzative efficienti accettate e rispettate perché espressione di un’autonomia decisionale, di “quando l’Isola era padrona del suo destino”.
Così si comprende come le pietre sparse attorno a un nuraghe semidiroccato evocano in lui l’immagine di “antichi invasori che uccisero la libertà”; ovvio riferimento alla libertà di un popolo che ha saputo esprimere una grande civiltà scritta attraverso i millenni nel territorio con le possenti torri nuragiche che ancor oggi testimoniano della passata grandezza.
E Lui, ricercatore paziente, tenace, scientificamente rigoroso, intellettualmente severo nella lettura dei reperti archeologici, si sente offeso quando scopre che, con l’ambiguo avvallo di un archeologo tedesco, si organizzano, fra Monaco e New York, mostre di bronzetti nuragici tra i quali sono numerosi i falsi rispetto agli autentici provenienti dal Museo di Cagliari.
Falsi che una sapiente regia espositiva, certifica come autentici al solo ed unico fine di organizzare una speculazione miliardaria che Lilliu, con grande fermezza e coraggio, pubblicamente denunzia, non solo per l’ignobile operazione criminosa ma per il discredito che può derivare al patrimonio archeologico sardo.
Né meno severa è la sua denunzia di banalizzazione del complesso nuragico di Barumini le cui architetture, tanto poderose quanto suggestive nella complessa ed elegante armonia dei volumi, vengono offese dalla realizzazione di un’edicola destinata a rifornire i turisti di bibite e quant’altro può soddisfare le esigenze dell’effimero procacciando nel contempo denaro al suo edicolante.
Ma sbaglierebbe chi ritenesse di cogliere in questo passionale rivivere la storia dei sardi, l’espressione emotiva di una trepida sensibilità affettiva e non la lettura politica, intensamente sofferta e fervidamente propositiva, di un presente che ancora imprigiona la civile crescita della sardità.
Il suo fare politica nella realtà viva ed attiva del nostro tempo trova nella ricerca storica le cause lontane ed attuali dell’emarginazione economica, della subalternità politica, dell’alienazione culturale.
Si avverte in lui imperiosa l’esigenza di diffondere il sapere – Brigaglia dice “il farsi maestro” – perché il popolo prenda coscienza di sé, della sua soggettività politica sopraffatta ed inaridita da una plurimillenaria subalternità, alla cui origine sono le invasioni susseguitesi nel tempo in terra di Sardegna.
Il sapere di Lilliu è alimento spirituale per chi soffre ingiustizia, ma è soprattutto messaggio politico perché l’ingiustizia può essere vinta quando un popolo, reso consapevole dei diritti conculcati, si compatta in forza unitaria per la riconquista della perduta libertà.
E Lilliu coglie nel diffuso sentire popolare dei Sardi una “costante resistenziale” che ha consentito alla nostra gente di conservare, nonostante l’azione disintegrante dell’oppressione esterna, sia la cultura che la lingua ed i relativi valori sociali e spirituali della civiltà contadina e pastorale.
Una costante resistenziale tradita dalla classe dirigente prona nel subalterno ingraziarsi il favore del principe di turno.
Non può quindi considerarsi puro riferimento formale la denunzia dei grossolani errori commessi dai cartografi che nel secolo scorso hanno storpiato le denominazioni originali di località diverse della nostra Isola, chiamando Isola dei Cavoli quella che i Sardi definiscono l’Isola dei Granchi solo perché il vocabolo sardo cavuru ha un suono che per un italiano evoca i cavoli anziché i granchi o il caso di Malubentu diventato “Mal di Ventre” anziché “cattivo vento” e aggiungo io, Gennargentu (che in sardo non vuol dire assolutamente nulla) anziché Genna entu, cioè la “porta del vento”.
Questi precedenti offrono a Lilliu l’opportunità di denunziare all’opinione pubblica sarda il pericolo della corruzione del nostro idioma con l’introduzione di vocaboli spuri falsamente moderni ma che in effetti si traducono in una sostanziale polluzione inquinante, fatta di banali italianismi, quando non anche di americanismi, introdotti dall’onda torbida dei consumi.
Ma queste denunzie dischiudono un orizzonte di tematiche ben più ampie del fastidio procurato dall’uso improprio di vocaboli esotici o dalla corruzione dei nostri.
Il pericolo è la perdita dell’identità. Il diffondersi di un’alienazione culturale che ci precipita nel piatto conformismo di chi rinunzia a se stesso ed accetta di mimetizzarsi con i panni dei colonizzatori, diventando così, colonizzato e complice .
Ed in Sardegna, come è sempre accaduto nella storia dei colonizzati, abbiamo vissuto la netta divaricazione tra la classe solo apparentemente dirigente, ma sostanzialmente subalterna, ed un popolo che pur nel perpetuarsi dell’iniqua sofferenza dell’emarginazione, difende la propria identità conservando ed esercitando, nel concreto del vivere quotidiano, cultura, valori e spiritualità che lo confermano soggetto politico attivamente resistente al regime oppressivo di cui avverte la profonda ingiustizia.
Lilliu coglie con grande efficacia il nesso causale fra subalternità culturale, perdita dell’identità e sfruttamento coloniale. Le sue intuizioni spaziano negli orizzonti mediterranei non abbandonandosi alla frustrazione dei ricordi né ai sogni di una Sardegna trionfante sui mari; intuizioni che si definiscono in concrete indicazioni politiche sulle quali costruire finalmente l’economia marittima sarda. Sa perfettamente che per millenni i sardi sono stati cacciati dalle loro coste e che hanno visto provenire dal mare predoni e dominatori che li hanno spogliati dei loro averi e della stessa libertà, ma é altrettanto lucidamente consapevole che il futuro della Sardegna passa attraverso il governo del mare che la circonda e dei trasporti che la collegano al mondo.
Nella centralità mediterranea, nel suo farsi momento d’incontro e snodo di civiltà, culture, commerci ed economie dei popoli mediterranei e di questi con le realtà d’oltre oceano sta, come nel lontano passato, il punto di forza dei sardi. Di questo Lilliu è tanto consapevole che nel suo “Ritratto di Cagliari” cita il rapporto inviato al Re dal Conte Baudi di Vesme nell’ottobre 1847; rapporto dal quale estrapola il seguente passo: “Cagliari (ma io dico la Sardegna) porto franco immediatamente trarrebbe a sé gli sguardi ed i capitali degli speculatori di ogni parte: essa diverrebbe, in breve spaziosi magazzino universale del Mediterraneo; oltre le mercanzie sarde destinate all’esportazione, verrebbero a riporsi grande parte di quelle del Levante, nonché dell’America e dell’Inghilterra destinate al consumo dei vari paesi che circondano il Mediterraneo”.
In piena coerenza con questa visione internazionale della Sardegna avverte l’indissolubile legame culturale ed economico che fa dei sardi cittadini europei; ne propugna l’integrazione non già come ipotesi ma come scelta necessaria per un futuro di pace, di progresso e di sereno, diffuso benessere sotto i cieli del Vecchio Continente. Avverte però il profilarsi di due pericoli: 1°- che la Comunità Europea, influenzata dalle logiche che hanno dominato le politiche degli Stati che la compongono, esasperi al suo interno gli squilibri economico-sociali fra le diverse aree territoriali consolidando le vecchie ed ormai inaccettabili forme di colonizzazione interna e che:
2°- la Sardegna perpetui la sua condizione di area marginale europea lasciandosi, ancora una volta, spogliare della vocazione mediterranea volta al dialogo fecondo e costruttivo con i popoli d’Europa, del Magreb, del vicino oriente e quindi del mondo.
In questa sintesi credo sia l’insegnamento di Lilliu; un popolo di sardi non più queruli protestatari di ingiuste sconfitte ma protagonisti consapevoli di una riscatto politico che ne fa cittadini del Mondo. Di questa testimonianza, di questo insegnamento, di questo traguardo siamo debitori a Giovanni Lilliu.
Grazie di tanto nobile impegno profuso per aprire ai Sardi, nella luce di un significativo passato, le grandi vie del futuro.
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Storia sui problemi della Sardegna negli scritti giornalistici di Giovanni Lilliu – Cagliari – C.I.S. – 26 aprile 1996
4 Maggio 2017 by rocamadour
Filed Under: convegni, Cultura, Cultura sarda Tagged With: approccio, Barumini, costante resistenziale, Giovanni Lilliu, intelligenza, politica, ricercatore