Antonio Monni – Una vita al servizio della Sardegna – Un tempo un uomo – Nuoro – Monte Ortobene – 2 agosto 1995

Accostarsi ai personaggio Antonio Monni per coglierne i valori che hanno dato senso, spiritualità e vigore alla concretezza del suo operare, è compito difficile ma, certo, affascinante.
Nato ad Orgosolo nel 1895 conserva di quel secolo la ricchezza culturale, il garbo affabulante del dialogare, il rapporto intenso, direi carnale, con l’ambiente dell’infanzia, l’amore per le cose in un quadro di sentimenti nei quali spontaneità e tenacia si fondono nella quotidiana costruzione del futuro (di cui coglie, con lucida razionale intuizione linee di tendenza e processi evolutivi che danno il senso della storia).
Figura complessa, interiormente tormentata, scettica e pur fervida di speranza e di fede; complessa ed insieme lineare nei molteplici aspetti in cui va a definirsi la sua personalità.
Oratore disadorno, scabro, riesce nondimeno a catturare l’interesse dell’ascoltatore coinvolgendolo con la forza e la solidità del suo argomentare sommesso e discorsivo.
Entrando nel suo orizzonte umano si avvertono tensioni, discontinuità, antitesi e contraddizioni che, per altro, ad un esame più attento e ravvicinato, si ricompongono, al di là del momento formale, in continuità logica e spirituale umanità.
Laureato in legge esercita la professione forense a Nuoro ed in Sardegna affermandosi giovanissimo tra i più valenti penalisti dell’Isola; il che, è di per sé, uno straordinario titolo di merito quando si pensi alla pleiade di grandi oratori forensi che hanno reso celebre Nuoro nella prima metà di questo secolo.
In questa Nuoro che contava, agli albori del secolo, non più di 7.000 abitanti e che esprimeva personalità della forza narrativa di Grazia Deledda nella cui prosa palpita vitalità, sofferenza, sogni e fierezza della Sardegna e di tutta l’umanità; della forza progettualmente innovativa di Attilio Deffenu, della scienza giuridica del senatore Chironi e, quasi contemporaneo, Salvatore Satta, dell’ispirazione poetica di Sebastiano Satta e narrativa dello stesso Salvatore Satta, della ricchezza cromatica e delle suggestioni pittoriche di Antonio Ballero e Giovanni Ciusa, delle trasfigurazioni plastiche dello scultore Francesco Ciusa.
Antonio Monni si inserisce in una società così ricca di fermenti e bagliori intellettuali affermandosi in virtù delle sue doti materiate di convincimenti profondi, impegno determinato e fedeltà coerente ai valori del proprio mondo spirituale.
È testimone fedele del suo tempo ma ne è anche protagonista.
Fervido democratico, negli anni giovanili, si batte con generoso impegno raccogliendo fondi necessari al finanziamento della battaglia contro gli assassini di Giacomo Matteotti, notoriamente armati dalla violenza fascista.
Peccato di origine che i fascisti non gli perdoneranno e che, pochi anni dopo, gli costerà l’espulsione dal partito fascista nelle cui file, superata la fase torbida e burrascosa della conquista del potere, era entrato, come peraltro avevano fatto in gran numero, onesti cittadini che credevano nei programmi del capo del fascismo.
Ma a ben guardare l’apparente contraddizione fra il suo mondo democratico e quello fascista è, di fatto, superata da una continuità di comportamenti coerenti ed inflessibili nella difesa dei reali valori nei quali si incardina la vita comunitaria.
Così Antonio Monni folgora e ridicolizza un inviato speciale del regime – certo De Vita – che, con enfasi retorica, descrive su un giornale romano, mirabolanti impegni del governo per recuperare alla civiltà Sardi e Sardegna (descritta dal De Vita come la Terra del Fuoco).
La reazione fascista non tarda; appena poche settimane dopo questa polemica Antonio Monni è espulso dal partito.
Questo non gli impedirà comunque di mandare in galera un alto gerarca del Partito resosi responsabile, quale economo dell’ospedale di Nuoro, di cui Monni era presidente, di gravi ammanchi di denaro e falsi nelle scritture contabili (fatto allora abbastanza raro).
Fu un episodio clamoroso che suscitò nel piccolo ambiente cittadino grande tensione ma anche fiducia e, direi, sicurezza nella forza morale del diritto che supera, sconfigge ed umilia la corruzione ed il malaffare anche se ammantati dagli orpelli gerarchici del potere.
Un nesso di grande significato etico da senso unificante ai comportamenti sui quali Antonio Monni impegna il suo quotidiano operare, prima, durante, dopo l’esperienza fascista. Lavora e si batte per una società giusta, rispettosa del fecondo convivere dei cittadini fra loro e di questi con il pubblico potere avendo come ago della bussola il benessere collettivo e, all’interno di questo, quello individuale.
Valori universali, come si vede, che Antonio Monni si sforza di realizzare nell’ambito territoriale ed umano nel quale è chiamato ad operare.
La Sardegna nel contesto italiano e, all’interno di questa, le Barbagie da lui vissute come gemme preziose di uno splendido, fascinoso diadema.
Lo troviamo sempre schierato dalla parte del più debole, più esattamente della vittima, contro chi vuole imbavagliare la libertà uccidendo Matteotti, contro chi vuole svilire la Sardegna mistificando l’arretratezza economica come arretratezza civile; contro chi, usando della fiducia e del potere, sottrae al popolo le sue poche risorse speculando sui soldi della sanità (niente di nuovo sotto il sole!).
Sì! nel suo concreto operare e nel profondo sentimento che lo lega alla terra natia ed alla sua gente vi è una continuità che non lascia spazio ad incertezze o sbandamenti.
Lui schivo e pudico nel mettere a nudo il proprio mondo spirituale si lascia vincere dalla suggestione dei paesaggi rupestri delle sue montagne di cui, in una relazione indirizzata nel ‘935 all’allora Prefetto di Nuoro sull’istituendo Parco del Gennargentu, descrive i profumi dei “diffusi serpilli, dei mentastri, dei rosmarini” fra i quali domina possente e rasserenante l’elce.
Bisogna leggere la pur lucida razionale, puntuale descrizione dei luoghi, della fauna della flora, delle forre e delle nurre misteriose e profonde, delle grotte suggestive e grandiose, dell’incomparabile bellezza delle loro stalattiti e stalagmiti, per cogliere nella sua scarna prosa la trepida suggestione che si avverte dinnanzi alla solenne e delicata bellezza della natura, alla folta foresta di lecci del Supramonte, o il senso di rilassato abbandono “nelle valli fresche ed accoglienti” ove, “con l’ontano è  frequente l’agrifoglio, da Funtana Bona a Biriddi”.
Antonio Monni amava la sua terra, si identificava con essa sentendosene parte, vivendo, respirando all’ombra protettrice dei suoi alberi plurisecolari, con la forza silente e quieta delle giogaie, nello spalancarsi dei vasti orizzonti che ancor oggi è possibile rivivere attraverso le sue descrizioni nel delimitare, di cima in cima, i confini del costituendo parco. Una suggestione che diventa poesia.
Un poeta che non si perde nei sogni della fantasia ma a questa sa elevarsi senza mai perdere il senso fervido ed attivo della realtà.
Incontriamo così un Antonio Monni difensore di un valore di cui intuisce il pericolo di degrado ambientale e, unico fra i politici sardi, intuisce le grandi potenzialità di un moderno parco naturale visto, non solo in funzione di salvaguardia di tanta complessa, multiforme, plurimillenaria bellezza, ma quale strumento capace di suscitare, con lo sviluppo civile, quello economico e sociale della Sardegna attirando su di essa l’interesse nazionale ed internazionale, il turismo (stiamo parlando del 1935 e non dell’Aga Khan!) ma – soprattutto intuisce la profonda trasformazione della pastorizia ancora dipendente dall’aleatorio susseguirsi delle stagioni ora buone ora implacabili ed avare mentre intravvede un verdeggiante fiorire di prati, di colture foraggere realizzati da pastori che da nomadi transumanti diventano moderni allevatori; dei protagonisti.
Accanto alla natia Orgosolo Monni vive un legame non meno intenso e profondo con la città di Nuoro che lo ricambierà eleggendolo Senatore per tre legislature. Di Nuoro fu anche sindaco per designazione del Comitato di Liberazione e, come già detto, amministratore dell’ospedale di Nuoro, allora unico nella provincia.
Nell’assolvimento di questi compiti sono emerse le qualità peculiari della personalità di Antonio Monni. Rigore severo, direi monastico nella gestione degli Enti; ricchezza fervida di iniziative per adeguarle alle complesse e difficili finalità istituzionali.
Contabilità e fantasia non sono evidentemente doti inconciliabili ma appartengono alla sfera politica di chi sa guardare oltre gli orizzonti, per dischiudere l’animo alla conquista del futuro.
Antonio Monni fu essenzialmente uomo politico. La qualità emergente che caratterizza il Monni politico è la molteplicità dei temi sui quali, con ferma determinazione, si attesta per esaltarne i valori, liberarne le potenzialità, realizzarne gli obiettivi.
E ogni tema sembra essere il centro del suo impegno, tanta è la puntigliosa ricerca che profonde per penetrare sino in fondo la complessità dei problemi che propone.
Lo vediamo spaziare dalla sanità all’agricoltura, dalla giustizia alle architetture istituzionali; dal meridionalismo alla gelosa difesa dell’autonomia regionale, avendo in mente una comunità fondata sul rigoroso rispetto dei ruoli assolti dalle parti sociali, in uno spirito di reciproca collaborazione ed integrazione che acquista senso, calore e luce, in virtù di comune solidarietà.
Ciò che colpisce nel leggere i suoi interventi parlamentari è la straordinaria capacità di affrontare ogni tema nel contesto di una visione organica della materia, avendo ben chiaro l’insieme dei fattori dominanti che interagiscono, in termini positivi o negativi, nel processo di crescita globale della Comunità.
Mai episodico, né prigioniero del particolare, riesce sempre a dare respiro e interesse generale anche a problemi che esauriscono la loro portata in ambienti territoriali od umani limitati.
Nelle sue parole la Sardegna e i Sardi, nel loro difficile travagliato impegno di riscatto civile, sono protagonisti di pagine di storia che arricchiscono cultura e progresso dell’intera comunità nazionale.
Non vi è complesso d’inferiorità, né querula protesta nel suo dire, ma consapevolezza di rappresentare un popolo che non accetta subalternità e, senza chiudersi nella solitudine delle sue coste, dialoga creativamente con gli altri soggetti dello Stato di cui si sente componente viva ed essenziale.
I suoi discorsi conservano, a quasi mezzo secolo di distanza, una grande attualità perché egli possedeva la magia di antivedere il futuro cogliendone con acuta e spesso dolorosa intuizione le proiezioni storiche.
Parlando di agricoltura è fra i primi a riconoscere l’opportunità di abbandonare produzioni che la competizione internazionale ha reso antieconomiche.
Si fa però carico di sollecitare specifiche iniziative, per colmare i conseguenti vuoti economici e sociali con produzioni sostitutive in grado di ridare forza espansiva sia al momento economico che a quello occupativo.
È straordinario in proposito constatare come nel ’55 affermasse concetti che la politica agricola comunitaria annunzierà come grande rivoluzione, negli anni ’90, con il libro bianco di J.Delors a proposito della necessità di recuperare alla produzione le terre marginali di collina e di montagna, per scongiurarne, altrimenti, l’ineluttabile desertificazione.
Ancora: in un’epoca nella quale l’emigrazione falcidiava, nelle terre meridionali, il bracciantato agricolo Antonio Monni intuiva come, accanto a questa, bisognasse farsi carico della disoccupazione intellettuale di cui, contro ogni apparenza, intuiva il pericolo.
Per capire quanto eccezionale sia una tale intuizione bastano due dati: Nuoro contava allora meno di 30 ingegneri – oggi ne ha oltre 400.
Severo e sostanziale era in Antonio Monni il senso dello Stato; estremamente significative sono in proposito le pagine che egli dedica all’Amministrazione della Giustizia.
Guidati dalle sue parole abbiamo la sensazione di entrare in un tempio solenne ed austero nel quale sono chiamati ad operare sacerdoti ascetici, alieni e lontani da interessi che non siano quelli di rendere o fare giustizia in un trepido rapporto di umanità con le vittime ed i giudicabili.
Una giustizia che scende nel cuore degli uomini non tanto e non solo con la ruvida asprezza della pena, ma quale rugiada vivificante per far rifiorire fiducia e speranza che la livida bruttura del crimine ha inaridito nel cuore della vittima come del reo.
Sembra di leggere le luminose parole di Papa Giovanni nel suo distinguere fra l’errore e l’errante; capire l’uomo colpendo senza incertezze il male.
Ma Antonio Monni non era uomo di facili illusioni, né di astrazioni inconcludenti. Denunziava sin da allora tendenze che oggi sono diventate costume, quali la vocazione protagonista di molti magistrati in cerca di facile pubblicità.
Sì Antonio Monni, pur nel clima riservato e schivo di allora, individuò, in alcuni isolati sintomi, il pericolo che i magistrati, uscendo dal loro riserbo svilissero il ruolo austero e distaccato che li rendeva credibili, abbandonandosi a dichiarazioni, interviste e polemiche che rischiavano di far perdere alle loro sentenze la certezza dell’imparzialità. Egli arriverà a dire che negli ambienti giudiziari si arriva a “vendere” notizie.
La sua frusta calò bruciante e ammonitrice contro una legge che trasformò la carriera dei magistrati da meritocratica in pura e semplice progressione di anzianità.
Appassionanti sono anche i suoi interventi sulla sanità nei quali si esprime il forte impegno per contrastare i danni devastanti che alla salute pubblica erano inferti da alcuni mali endemici, tipici della Sardegna: tubercolosi, talassemia, echinococcosi.
Potremmo continuare a soffermarci sul tema dei trasporti marittimi, su quelli dell’ordine pubblico, dei sequestri di persona, degli squilibri causati dalla politica del Governo centrale che nega alle Regioni povere l’essenziale, mentre è generoso con le ricche; sui temi istituzionali, quali conflitti di competenza fra Corte Costituzionale e Corte di Cassazione, sulla giungla scatenata dagli enti del Parastato nella corsa ad ampliare le rispettive competenze occupando spazi lasciati vuoti, per mancanza di fondi, dagli enti istituzionali competenti. Scollegamenti e disordine nei quali il cittadino si smarrisce e diventa vittima di una burocrazia cartolare, inconcludente e repressiva.
La parola di Antonio Monni si eleva sempre severa ed ammonitrice, ma creativamente propositiva in tutti i campi dell’umano operare.Il suo dire è essenziale, ricco, stimolante, problematico; suscita sempre interesse, coinvolgimento, discussione.
In un Parlamento nel quale molti parlano ma ben pochi ascoltano, Antonio Monni aveva la capacità di calamitare l’attenzione dell’Aula stimolando interesse e coinvolgimento per cui tutti i suoi discorsi sono onorati da frequenti interruzioni di colleghi, amici e avversari. Ora dissenzienti, ora consenzienti, mai indifferenti.
Ricca, appassionata, brillante, ma sempre sul filo di una severità di fondo che da continuità e coerenza al suo pensiero, è la notevole attività svolta da pubblicista.
Emblematico lo pseudonimo con cui spesso firmava i suoi articoli: “A. Rubu”. Spinoso, pungente spaziava sui temi più diversi, rifuggendo dalle digressioni generiche ed astratte, per concentrare la sua forza polemica – sempre propositiva – su temi e problemi concreti. Temi e problemi spesso complessi ed intrigati che nella sua penna riacquistavano vitalità dialettica di tesi ed antitesi.
Ma al fondo di questo multiforme esprimersi, forte e duttile ad un tempo, incline ad umana comprensione ed inflessibilmente coerente sui principi cardine del suo universo morale, sarebbe gravemente sbagliato non cogliere il valore unificante che da forza rocciosa ad uno spirito capace però di struggenti abbandoni nei quali dolore e speranza diventano luce di Fede. Ecco la vera forza di Antonio Monni: la Fede che trasfigura nell’immateriale il grande mistero della vita, della morte e dell’umano soffrire e gioire.
Antonio Monni è un credente; non ha dubbi a procedere nel suo difficile, contrastato cammino senza sbandamenti o incertezze. Forse si lega proprio a questa concezione ed educazione religiosa la visione che ha del ruolo della donna nella società del nostro tempo. Un ruolo che oggi definiremmo decisamente maschilista e che lo stesso Pontefice Giovanni Paolo considera superato. Ruolo che si esaurisce all’interno delle pareti domestiche. Ma quale ricchezza di sentimenti, quale delicata, trepida, affettuosa dedizione si avvertono verso le donne della famiglia che hanno segnato e riscaldato il cuore di Antonio Monni. Due esempi: la madre cui, ragazzo tredicenne scrive: “Vi ringrazio cara madre di tutto quello che fate per me; se Voi mi mancate cosa farò io solo al mondo? No! io non dispero; se i parenti mi aiuteranno continuerò gli studi. Se Dio vuole, quando sarò grande ricompenserò Voi, Aurelio e tutti”. E continua, questo ragazzo reso maturo e sicuro dalla Fede: “cara madre, mi farete un gran piacere se mi farete mandare dall’Editore questi bellissimi libri”.
Altro che visione subalterna della donna. La madre campeggia forte, amorevole ma determinante nel compiersi del suo futuro destino ed a lei deferisce con fiducia e totale dedizione affettiva che affida nel concludere a “due milioni di baci”.
Ed alla figlia neonata dedica sul filo dei sentimenti una splendida ninna nanna che così si conclude:
Ses rubinu e brillante
ses linu preziosa!
Amigu su reposu
benzat a ti chircare.
Fino de ti ninnare
pro ite como as pasu
dandoti unu vasu
o fizza mea!

Che di più?
Senso, dicevo, religioso della vita. Ma sbaglierebbe chi pensasse ad un Antonio Monni prigioniero di una concezione teocratica dello Stato. Si coglie anzi il fastidio che avvertiva quando si confondevano il mondo trascendente dello spirito con le responsabilità istituzionali del potere pubblico; tutti nello Stato – credenti e non – avevano per lui gli stessi doveri, gli stessi diritti. Quella che oggi chiameremmo una concezione laica, libertaria dello Stato.
Ho finito. Mi scuso se nella pur non breve rievocazione non ho saputo offrire a voi un’immagine degna ed esaustiva della grande, complessa personalità di Antonio Monni. La verità è che egli, nella sua umana testimonianza ha molto seminato, nei campi più diversi. Consapevoli o no, ne stiamo, tutti noi, cogliendo i frutti.
Penso sarà nostro dovere studiarne l’insegnamento che, più che nelle parole, ci ha lasciato con l’esempio. Una sicura guida per il futuro.