Il tema che sembra dominare nei discorsi dei politici in questa fase di transizione tra la vecchia partitocrazia spartitoria e la prefigurazione di una nuova democrazia che restituisca dignità allo Stato e certezze ai cittadini, ripropone pari pari contrapposizioni sclerotizzate che di nuovo hanno soltanto le denominazioni prese a prestito da un antico trasformismo.”Sinistra”, “destra” e naturalmente “centro”.
Un dibattito che si trascina per oltre 130 anni, in un confronto sterile ormai che ha inaridito le fonti vive dell’impegno civile con processi degenerativi che hanno sempre favorito i detentori reali del potere -di norma estranei alle istituzioni partitiche e di governo ridotte ad un ruolo sostanzialmente subalterno e funzionale agli interessi dominanti di urna ristretta società elitaria.
Certo vi sono stati scossoni vigorosi suscettibili di modificare il corso degli eventi ma sono stati riassorbiti e metabolizzati nel ventre molle del trasformismo italico.
Esempi illuminanti in Sardegna nel primo decennio di questo secolo il movimento liberista capeggiato da Attilio Deffenu e, negli anni ’20, l’irrompere innovatore del Partito Sardo d’Azione; in Italia il Sindacalismo di Filippo Corridoni ed il decentramento amministrativo di don Sturzo, sembravano proporre nuovi orizzonti di libertà e giustizia sociale ma, soprattutto chiamavano il popolo ad un’assunzione più diretta e protagonista del potere.
Non meno deludente il tentativo e le speranze suscitate da quella minoranza ardimentosa che nel secondo dopoguerra ha dato vita alla Resistenza.
Brevi stagioni che hanno lasciato intravvedere la luce di orizzonti democratici rapidamente sommersi dalla palude di un Trasformismo che si proponeva con i consueti temi di sinistra, destra, centro.
Certo non sarà un sardista a negare l’essenziale ruolo che in una società democratica sono chiamate ad assolvere le componenti politico-ideologiche nelle quali si articola e si organizza una società viva, operosa, creativamente feconda.
Ma chiunque voglia esercitare questa forza potenzialmente innovativa deve averne il potere. Altrimenti resta al mugugno protestatario e verboso.
Ma il potere sa bene come tenere a bada le popolazioni delle aree della povertà, perché la protesta non diventi rivolta e la rivolta ribellione; le sprofonda nell’assistenzialismo che costa meno dello sviluppo, non crea nuovi operatori competitivi sul mercato e consolida la subalternità di un colonialismo dissimulato da generosità. Allora si cerca l’alleato potente o l’uomo o il partito che conta a Roma: sede apparente del potere. Ma è solo illusione.
Napoleone ha internazionalizzato la Francia e colonizzato la Corsica; prima di lui il politico Traiano e il filosofo Seneca hanno esaltato Roma ed umiliato l’Andalusia: la loro Patria.
Il problema non è quindi sinistra o destra, e men che mai di uomini. Il problema vero per un popolo è avere potere per decidere di sé o essere all’altrui mercé.
Ecco perché, da sardista, affermo che il punto di aggregazione politica per noi, emarginati ieri dal miracolo economico e oggi dalla crisi, è quello di conquistarci il necessario potere decisionale che ci renda sostanzialmente autonomi e responsabili delle grandi decisioni che segnano il cammino del nostro popolo. Solo quando avremo questo potere sarà possibile attivare un confronto liberamente creativo fra ipotesi di sinistra, di centro o di destra. Il problema è quindi conquistare questo potere.
Condizione essenziale è però l’unità dei Sardi; della grande maggioranza dei Sardi.
Un’unità che attraversi le diversi correnti ideologiche e si proponga come momento di riscatto di tutto il popolo consapevoli che la libertà, la giustizia sociale, il progresso economico non sono benevola concessione di potenti ma travagliate quanto esaltanti conquiste di popolo.
Se sinistra è forza di cambiamento l’unità dei Sardi sarà la risposta più valida, se liberalismo è antitesi di subalternità nell’unità dei Sardi si leggerà la pagina più vibrante di libertà.
Libertà e potere che i Sardi devono conquistare non per vocazione secessionista ma per l’esatto contrario: per esercitare il diritto a dialogare in pari dignità con le altre realtà territoriali dello Stato, e concorrere con esse all’elaborazione di scelte indirizzi e prospettive che dischiudano ai popoli le vie della storia, della loro storia di quella che, non in virtù di capi, ma in coralità di popolo sono chiamati a scrivere.
Ma il vero il grande obiettivo di questa rivoluzionaria visione dello Stato è costituito dal rapporto di mutua solidarietà che dovrà vivificare e nobilitare il processo di reciproco arricchimento fra le nuove Istituzioni territoriali. Una nuova civiltà, la civiltà del federalismo.
Ecco in tutto l’articolo non mi sono servito del vocabolo sardismo perché, essendo un valore universale, è presente e si esprime nei traguardi ideali della democrazia.
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Conquista del potere decisionale da parte del Popolo Sardo – fine anni ’90
13 Dicembre 2016 by rocamadour
Filed Under: Politica, Sardismo Tagged With: aggregazione, dibattito, giustizia sociale, partitocrazia, povertà, società elitaria, transizione, trasformismo