A lezione di Federalismo, intervista raccolta da Enrico Porqueddu, Il Sassarese, 30 novembre 1994

L’onorevole Mario Melis, già presidente della Giunta regionale e eurodeputato del Partito Sardo d’Azione, ha cortesemente aderito all’invito de Il Sassarese di illustrare i criteri che informano il Federalismo alla luce della proposta recente della Lega di Umberto Bossi di dividere l’Italia in nove macroregioni.
L’onorevole Melis svolge un’autentica lezione di Federalismo ma, rispondendo alle nostre domande, si sofferma anche sui problemi che spaziano dalla Giunta regionale di Federico Palomba, allo stesso Partito Sardo d’Azione, al Governo Berlusconi.
Il Sassarese: Con la proposta della Lega di dividere l’Italia in 9 macroregioni, si vuole mettere la Sardegna sotto tutela? Non lo è già?
Melis: L’ipotesi di articolare la Repubblica Italiana in nove stati fra loro uniti da vincolo federale è da considerarsi, quantomeno sul piano dei principi, positiva. È nel concreto che la proposta non convince rivelandosi addirittura una minaccia di grave appesantimento della subalternità sarda e quindi della sua emarginazione. Le ragioni? Non v’è coerenza fra l’affermato federalismo e le scelte che ne dovrebbero conseguire.
D Federalismo. Non sono pochi coloro che non conoscono nemmeno il significato del termine. Come spiegarlo alla gente?
R Già spesso si usano parole che rimbalzano di dibattito in dibattito, ridiscorso in discorso senza alcun riferimento ai loro significati reali. È un male più diffuso fra quanti, anche in politica usano parole “alla moda” per dimostrarsi colti, aggiornati, moderni, ottenendo il solo risultato di aumentare la confusione. Il federalismo è una cosa molto seria, concettualmente semplice e, insieme, vigorosamente creativa. Nasce dal bisogno di comunità umane, di tradizione, esperienze storiche, attività, sviluppo economico e talvolta, lingua e cultura diversi, di mettere insieme le energie di cui dispongono per aiutarsi reciprocamente creando così una nuova entità statutale che riassume in sé e globalizza le energie dei singoli facendo ricadere su di essi i benefici dell’insieme:
Presupposti del federalismo sono quindi diversità e solidarietà. Qualche esempio: gli Stati Uniti d’America. Si va dall’Alaska, nel circolo polare, al Nuovo Messico in pieno equatore; dall’Atlantico al Pacifico. Siamo in presenza di situazioni di tale diversità per lo sviluppo economico, compatibilità ambientali, cultura ed anche lingue nazionali da rendere necessaria un’organizzazione del potere diffusa territorialmente, capace di rispondere, in modo corretto, adeguato e tempestivo ai problemi generati da situazioni specifiche ed irripetibili tra loro non comparabili.
Si dà così vita ad una serie di governi e parlamenti locali che, ambito dei rispettivi territori, gestiscono il potere, elaborano e promulgano leggi, aprono le vie del futuro promuovendo sviluppo, cultura e giustizia e quant’altro necessario all’evolversi della vita civile. Altro esempio significativo, a noi più vicino, è la Svizzera che degli Stati Uniti sembrerebbe l’antitesi per estensione territoriale come per numero di popolazione. Eppure… in Svizzera, con 6 milioni di abitanti (meno della Lombardia), convivono tre popolazioni diverse: tedesca, francese, italiana. Nessuna di queste etnie vuol essere subalterna alle altre per cui in pieno accordo, han dato vita a tanti piccoli stati chiamati “cantoni” (una ventina) nei quali è insediata la popolazione.
I cantoni svizzeri, come gli stati americani, sono fra loro reciprocamente indipendenti ma uniti da un vincolo di solidarietà che li obbliga ad aiutarsi reciprocamente. A garantirne l’operatività provvede lo Stato federale. Un esempio emblematico di potenziale stato federale è costituito dall’Italia. Non occorrono molte parole per dimostrare come sia un errore pretendere di governare con le stesse misure, criteri e mezzi e persone lo sviluppo della Lombardia e della Calabria o, della stessa Lombardia e della Sardegna. Sono realtà così profondamente diverse e lo squilibrio di forze fra loro è tanto marcato che le soluzioni buone per gli uni non si adattano ai secondi e viceversa.
Appare chiaro che in uno stato centralista le scelte premiano i più forti a danno dei deboli. Si da vita sostanzialmente ad un processo di colonizzazione interna nella quale i colonizzati forniscono manodopera e materie prime (di norma agricole e minerarie, e in tempi più recenti, industrie di base) mentre i colonizzatori riservano per sé il ruolo di produzione industriale tecnologicamente avanzata, organizzazione della cultura, dei grandi commerci, della ricerca, occupazione. Così nelle regioni ricche avremo scuole, strade, linee ferroviarie, ospedali, grandi e piccole infrastrutture per servizi generali e di alta specializzazione, mentre nelle aree povere lo spettacolo da campionario di opere incompiute e disoccupazione. Da un lato quindi efficenza, dinamismo, progresso, dall’altro: rassegnazione, sfiducia, litigiosità, sconfitta.
Ebbene nello stato federale i singoli enti autonomi diventano protagonisti di amministrazione e sviluppo nei rispettivi territori e partecipano, attraverso l’attività del governo federale, alla vita e allo sviluppo di tutti. Cioè le singole realtà territoriali sono coinvolte nelle grandi scelte politiche ed operative che interessano l’intera comunità federale. Ciò fanno attraverso il Parlamento che si articola di norma, su due Camere. La prima rappresentativa dei cittadini, eletta in proporzione al numero degli elettori residenti nei singoli stati; la seconda rappresentativa di questi, è costituita da senatori eletti in numero eguale per ciascuno degli stati. Tanto in America che in Svizzera ogni stato o cantone ha due rappresentanti nel Parlamento federale. PARI DIGNITÀ, PARI POTERI. La Corte Costituzionale, eletta per metà dagli stati federali e per l’altra metà dal Parlamento o governo federale, garantisce equanimità di giudizio nel conflitto di competenze e di interessi fra poteri centrali e periferici. Cessa così di essere giudice di parte, com’è attualmente in Italia, perché eletta da una sola delle parti: il potere centrale.
Nello stato federale il fisco garantisce la maggioranza delle entrate tributarie ai singoli stati federati che provvedono direttamente ad organizzare la spesa in rapporto alle rispettive esigenze. Una quota parte di tali entrate, di norma il 20 per cento, viene riservata allo Stato Federale perché provveda con essa alle poche spese di sua competenza e si faccia però carico del riequilibrio territoriale fra le regioni rimaste in ritardo nello sviluppo rispetto a quelle più avanzate.
Ecco perché negli stati federali raramente esistono squilibri comparabili a quello esistente fra le regioni del nord e sud Italia ove l’unità è garantita dall’autorità o, peggio, dall’autoritarismo che mette sotto tutela i deboli a vantaggio dei forti.
Ebbene il progetto della Lega proclama a parole il federalismo che nega però nella concretezza delle scelte istituzionali. Infatti: a) entrambe le Camere sono elette in proporzione ai cittadini residenti nei singoli Stati perpetuando così i circa 100 deputati per la Lombardia contro i 17 della Sardegna; nella stessa proporzione i senatori; b)la Corte Costituzionale per i 2/3 viene eletta dal Parlamento federale e per 1/3 da altre organizzazioni nazionali. Continua cioè ad essere giudice di parte; c) il fisco viene riscosso e, in larga misura, speso dai singoli stati mentre non si prevede la riserva di una quota parte delle risorse da destinare al riequilibrio fra aree ricche e povere. Quindi: i ricchi si tengono la ricchezza, i poveri, la povertà. In conseguenza avremo sviluppo a due velocità e la distanza fra aree ricche e povere andrà così ulteriormente aumentando. Si sa: alla ricchezza si accompagna il potere, alla povertà solo i mali del sottosviluppo.
Nel progetto della Lega allo stato federale è riservato solo il potere di dare, in via del tutto eccezionale e straordinaria, una mezza mano di aiuto (50 per cento della spesa occorrente) per correggere storture di mercato registrate in qualche stato a cui carico incombe, per altro, la spesa del restante 50 per cento; d) il progetto prevede altresì, in sostituzione del rappresentante del governo presso la regione, un commissario federale dotato del potere di visto sulle leggi approvate dal Parlamento dello stato federato. Potere che oggi il rappresentante del governo in Sardegna non ha.
Un grave peggioramento quindi rispetto alla stessa situazione attuale perché si consente ad un funzionario, per quanto di alto livello, di umiliare le decisioni di un Parlamento regionale cioè del più alto consenso democratico rappresentativo di quel popolo.
Sì, il progetto della Lega rende più pesati te ed inaccettabile la tutela oggi esercitatai dal governo dello stato centrale.
D II Partito Sardo d’Azione, dopo l’exploit del 1984 (congresso di Porto Torres), ha perso via via colpi. Perché?
R Per ragioni diverse: a) salvo le doverose eccezioni individuali, aveva un gruppo dirigente non adeguato, per preparazione ed esperienza politica, ai nuovi compiti cui è stato chiamato dal voto popolare. Troppi erano convinti che non fosse necessari cultura ed esperienza ma che bastasse (e continuano a crederlo) l’anzianità di tessera per avere diritto a ricoprire incarichi importanti; b) alcuni personaggi, delusi nei loro appetiti da precedenti esperienze hanno puntato sul Partito Sardo per il loro carrierismo; c) la miscela di queste due componenti ha fatto esplodere la pratica dei favori, del
clientelismo e quindi della corsa al potere a solo fine elettorale. Di qui le continue risse all’interno del Partito. I cittadini che avevano fatto la scelta sardista perché ci vedevano partito impegnato esclusivamente sul fronte delle battaglie politiche, della difesa rigorosa e generosa dei valori espressi dal nostro popolo, hanno vissuto un’amara delusione.
E con essa si è spenta la speranza.
D Come si può raggiungere l’autodeterminazione del popolo sardo?
R Convincendo i sardi che ne hanno diritto. Non è un regalo che viene concesso dal principe ma una conquista di popolo. L’autodeterminazione non è più solo valore ideale, ma è orami entrato nella grande categoria del “diritto delle genti”, recepito tanto nell’art. 1 della Carta dei diritti civili e politici che nel Trattato sui diritti economici, sociali e culturali sottoscritti dalla grande maggioranza degli Stati, Italia compresa. Ripeto: l’autodeterminazione non è oggetto di donazione ma di consapevole conquista di popolo. La debbono volere i sardi.
D Anche la “specificità” sarda viene variamente interpretata dalle diverse “anime” del PSd’Az.
R Nulla di male. È bene che all’interno del movimento sardista il dibattito sulla “specificità” sarda e sulla soluzione dei problemi che propone sia ricca e vivace. Purtroppo questo dibattito è sempre più debole e discontinuo sia nel Partito che al suo esterno.
D Esiste una ricetta di Mario Melis per aggregare le diverse “anime” di cui sopra?
R Sono anni che ne parlo e “predico”. I militanti del Partito Sardo debbono convincersi che non sono proprietari del grande valore ideale che si dispiega dal messaggio sardista. C’è tanto sardismo senza tessera e anche fra tanti che hanno tessera di altri partiti. Quasi tutti sardi sono -consapevoli o no – sardisti; pure anche molti non sardi che vivono in Sardegna e qui lavorano, creano e soffrono, amano e lottano, avvertono l’esaltante sentimento di sardità (che poi altro non è che una viva insopprimibile esigenza di giustizia).
Solo pochi si vergognano della sardità, ne disprezzano la lingua, l’arretratezza, i problemi e tendono a mascherarsi da continentali. Compito del Partito Sardo e di quanti credono nei suoi valori è di sostenere chi li professa sì da creare una vera e propria mobilitazione sui temi della sardità e trasformare questa da sentimento emotivo in coscienza delle sue implicazioni politiche. Sarà possibile così creare una nuova grande “alleanza” che potrà trasformarsi nella FEDERAZIONE DEI MOVIMENTI E PARTITI CHE SI RIFANNO AL TEMA SARDISTA. Daremo così al nostro popolo uno strumento di lotta di valore spirituale e politico che non si esaurisce nell’autocelebrazione, o peggio, nell’autocommiserazione, ma nell’assunzione responsabile del ruolo protagonista della propria storia.
D S’è fatto un’opinione della attuale Giunta regionale?
R Non molto chiara; conosco il Presidente e ne ho stima. Conosco e sono amico di alcuni assessori che stimo. Conosco meno la Giunta. Non parlo ovviamente di persone ma del suo spessore politico. Mi sembra una ripetizione scolorita del vecchio partitismo. La speranza che ne connotava la nascita e che ispirandosi ai principi propugnati dai partiti che l’hanno votata sfuggisse al loro condizionamento invasivo. Basta guardare le segreterie e gli uffici di gabinetto degli assessori per vedere che non è così. Sono popolate da funzionari di partito e da capi elettorali. Con tanti saluti ai valori della professionalità, della Giunta di tecnici con sensibilità politica. Speriamo bene.
D E s’è fatto un’opinione del Governo Berlusconi. Insomma, dove va il nostro Paese?
R Nonostante alcuni amici che stimo me ne dicano un gran bene, debbo, ahimè, confermare la mia totale sfiducia. Il presidente Berlusconi, al di là dei suoi intendimenti che ben possono essere sinceramente volti al bene comune, è prigioniero di alcuni condizionamenti personali che ne rendono sospetta l’attività. Comunque si muova si scontra o incontra suoi interessi. Nel settore finanziario opera una sua finanziaria che trae vantaggio o danno dall’attività di Governo; in quello delle assicurazioni non ne parliamo; così nell’edilizia ancor più nella grande distribuzione: Standa, supermercati, etc; è il più forte editore di libri, riviste, giornali d’Italia; nelle telecomunicazioni: Canale 5, Rete 4, Italia 1 e quant’altro.
Ma ciò che maggiormente preoccupa è la maggioranza che sostiene il suo Governo costituita da forze incoerenti in continuo contrasto fra di loro. Alleanza Nazionale è l’esatta antitesi della Lega Nord. Dove andiamo? La via è una sola: il federalismo che consente a ciascuno di utilizzare al meglio le proprie risorse e, restando se stesso, concorrere al realizzarsi di una forza comune che moltiplichi quella dei singoli e si riverberi beneficamente su ciascuno.