REGIONE AUTONOMA DELLA SARDEGNA
Dichiarazioni Politiche e Programmatiche del Presidente on. avv. Mario Melis
LINEAMENTI PROGRAMMATICI PER LA SECONDA PARTE DELLA IX LEGISLATURA REGIONALE
luglio 1987
Signor Presidente, Colleghi Consiglieri,
Il programma per la seconda parte della legislatura che la Giunta di sinistra, sardista e laica, presenta al Consiglio regionale, alle forze sociali e alla società sarda nel suo complesso è caratterizzato da una duplice consapevolezza. L’imprescindibile esigenza, per un verso, di tener conto del limitato lasso di tempo ancora disponibile (un biennio scarso) e di presentare, conseguentemente, un programma agile, con l’indicazione di scelte prioritarie precise e la fissazione dei relativi termini di attuazione; e la necessità, peraltro, di inserire queste scelte prioritarie in una prospettiva a lungo termine che si intende quanto meno impostare nelle sue linee fondamentali. Raccordare le opzioni programmatiche per il prossimo biennio a un progetto di sviluppo di grande respiro, tale da suscitare una mobilitazione intellettuale e sociale generale, da fungere da polo di coesione delle energie e delle forze disponibili in larga misura nella nostra Regione; questo è il primo ed essenziale indirizzo al quale si deve ispirare l’azione della Giunta.
Per dare operatività concreta a questo obiettivo occorre, in primo luogo, centrare l’interazione programmatica attorno a un’idea guida chiara, nella quale si possano identificare (e attorno alla quale si possano, di conseguenza, mobilitare) le tante risorse umane e sociali, oggi disperse e demotivate,presenti e operanti nel tessuto sociale regionale. In secondo luogo, è necessario pensare e avviare un sistema di coordinamento sociale regionale caratterizzato da una chiara distinzione tra fini da conseguire e mezzi per raggiungerli e da una precisa attribuzione, a ciascuna componente istituzionale e sociale, del proprio specifico ruolo.
L’idea guida che caratterizzerà l’azione della Giunta è il rilancio, in una nuova dimensione culturale, dell’iniziativa autonomistica sul piano nazionale e internazionale. Ciò significa che il Governo della Regione, con la collaborazione del complesso delle forze politiche e sociali, propone una piattaforma autonomistica ad ampio respiro strategico in grado di costituire una risposta, che sia all’altezza della situazione, della crisi di qualità nuova che ha investito la Sardegna come conseguenza dei processi di divisione internazionale del lavoro.
Nessuna politica che voglia porsi l’obiettivo di orientare lo sviluppo della nostra isola può prescindere dal fatto che essa si trova oggi in una condizione di equilibrio precario e instabile, in bilico tra i paesi industriali avanzati e quelli in via di sviluppo. È necessario assumere consapevolezza del fatto che questa scomoda posizione è determinata da un complesso di fattori che possono essere sintetizzati in un concetto fondamentale: la carenza di modernità, che si esprime e si rende visibile nella mancanza di quelle che possono essere definite le tre accumulazioni basilari, vale a dire quella finanziaria, quella tecnologica e quella di managerialità, cioè di risorse umane altamente qualificate.
Ma, una volta compiuta questa diagnosi, è altresì necessario non crogiolarsi in essa e non trarne conclusioni paralizzanti,ispirate alla convinzione sconfortante che la forza dei processi in atto è tale da non lasciarci alcuna via d’uscita. È, al contrario, indispensabile rendersi conto che il destino della Sardegna è ancora nelle nostre mani, nel senso che dipende da noi, dalle misure che sapremo prendere, dalle politiche che saremo in grado di attivare, se nel futuro della nostra Regione ci sarà uno stabile ancoraggio all’area, dei paesi avanzati o se, al contrario, essa verrà, invece attratta, in modo irreversibile, nell’orbita del terzo mondo.
Bisogna allora saper uscire dalla situazione di crescente marginalità e perifericità che la Sardegna ha oggi nel quadro della divisione internazionale del lavoro: e lo si deve fare facendo assumere alla Regione il ruolo di soggetto attivo negli scenari internazionali e affrontando con coraggio e determinazione il problema delle tre accumulazioni sopra ricordate. Ciò significa impegnarsi nella modernizzazione dei processi economici, organizzativi e culturali del nostro sistema sociale, misurandosi con i seguenti problemi fondamentali:
– la necessità di una migliore utilizzazione delle risorse ambientali, umane e di materie prime;
– il ripensamento radicale della struttura della società dei servizi;
– l’adeguamento permanente della società sarda alla trasformazione culturale, scientifica e tecnologica;
– la riorganizzazione del processo produttivo sullo sfondo delle nuove tecnologie quale, fondamento essenziale della crescita;
– l’accumulazione e la capacità di attrazione dall’esterno delle risorse finanziarie necessarie per promuovere e attuare il rilancio dello sviluppo economico della Regione.
L’ordine di priorità seguito nel l’elencare i problemi da risolvere non è affatto casuale. Potrà forse sorprendere qualcuno che quella che appare come la precondizione fondamentale dello sviluppo, e cioè l’accumulazione finanziaria, sia stata qui citata per ultima. Il fatto è che questa accumulazione non è, come spesso si ritiene, una variabile indipendente rispetto a quelle di tecnologia e di managerialità, ma ha pari dignità e valore rispetto a queste ultime e in stretta connessione con esse costituisce il quadro complessivo dei presupposti imprescindibili della modernizzazione della struttura produttiva e del sistema sociale nel suo complesso.
Consapevole di questo nesso profondo, la Giunta propone un programma che si ispira ad un assunto fondamentale: che cioè la Regione possa e debba chiedere alla comunità nazionale, ed anzi esigere da questa, le risorse necessarie ad assicurare il proprio sviluppo economico in base a un rigoroso piano di interventi, che preveda l’immediato avvio di una politica tesa a realizzare, in tempi brevi, le condizioni per un processo di crescita non assistito.
Ciò comporta il rifiuto della logica degli interventi straordinari, qualora essi non risultino inseriti all’interno di un programma di azione ordinaria di governo finalizzato alla progressiva riduzione della forbice tra regioni più ricche e regioni più svantaggiate. È opportuno, a questa proposito, fare alcuni pochi esempi per illustrare questo punto che la Giunta ritiene fondamentale.
È pericoloso e ipocrita consentire alle Partecipazioni statali di seguire quotidianamente una politica che disattende, in modo plateale, gli obblighi nei confronti del Mezzogiorno e della Sardegna, sanciti da leggi vigenti per poi cercare di riparare, con l’intervento straordinario, ai guasti di questa politica. Così facendo, infatti, per un verso si tollera, o addirittura si promuove, di fatto, un indirizzo economico orientato verso l’ampliamento della divaricazione fra Nord e Sud, per l’altro ci si affanna, con strumenti come la 64, a cercare di attenuare questa divaricazione aggravata dalle politiche ordinarie. In questo modo si genera una rincorsa insensata tra interventi straordinari e misure ordinarie che, nella migliore delle ipotesi (ma non è mai stato così) lascerà intatta la distanza che si dice di voler eliminare. Ed è altrettanto inutile, per fare un altro esempio significativo, varare una legge, come appunto la 64, che dice di voler rilanciare le università e i centri di ricerca delle regioni meridionali, quando poi tutta la politica del Ministero della Pubblica Istruzione tende a istituire un sistema universitario e scientifico a due velocità, in cui le università di maggior “prestigio” accademico godono di vantaggi, in termini di ripartizione delle risorse e dei posti disponibili, tali da porle in condizione di distanziare ulteriormente gli Atenei del Centro-Sud.
Per evitare questa schizofrenia la Regione chiede allo Stato l’inserimento degli interventi straordinari in un quadro di politiche e di misure ordinarie che siano coerenti con essi e vadano nella stessa direzione. Ma per parte sua il Governo della Regione vuole rendere credibile questa rivendicazione muovendosi in una dimensione progettuale che lo ponga in condizione di esercitare non un ruolo di semplice destinatario passivo di risorse, ma un ruolo attivo di soggetto dotato di una forte capacità di elaborazione autonoma.
Questa Giunta ritiene che il progetto di sviluppo della Sardegna nel medio periodo debba imperniarsi su tre cardini fondamentali:
A) la proposta di fare della Sardegna un laboratorio ambientale, capace di perseguire questi due obiettivi:
l°) assumere l’ambiente come valore e, in conformità a ciò, operare seriamente in direzione di una massimizzazione dell’utilità e della razionalità di impiego del suolo, dell’acqua e delle risorse riutilizzabili;
2°) proporsi come centro di ricerca, di sperimentazione, di elaborazione e raccolta di tutte le tecnologie finalizzate alla salvaguardia e alla promozione dell’ambiente e alla sua trasformazione in risorsa economica. L’obiettivo è quello di fare della Sardegna il centro di raccordo dei grandi momenti di ricerca scientifica e tecnologica che assumono la questione ambientale come tema essenziale di sviluppo;
B) l’idea di fare della Sardegna un grande laboratorio sperimentale di ricerca scientifica e di promozione e sviluppo del fattore umano mediante l’uso di tecnologie innovative e la sperimentazione di nuove modalità di trasmissione del sapere (formazione a distanza: piano regionale di qualificazione e aggiornamento degli insegnanti, dei tecnici, dei funzionari e di tutti coloro che operano in settori strategici, realizzato in collaborazione e in collegamento con i più avanzati centri di formazione e di ricerca operanti sulla scena nazionale e internazionale); attivazione di strutture sperimentali di ricerca didattica. Si tratta, in definitiva, di prendere atto della debolezza, sul piano strutturale, del sistema formativo regionale per trasformarla in condizione di forza. L’esigenza di rinnovare, sia in estensione che in profondità, l’attuale sistema educativo, esigenza ampiamente diffusa tra gli stessi operatori del settore, consente di intervenire con misure di radicale ristrutturazione in questo ambito. Ciò può fornire l’occasione di adottare una impostazione sistemica, nell’ambito della quale siano ricercate l’elevazione in termini qualitativi del sistema formativo regionale e la promozione della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnologica a tutti i livelli e in tutti i settori. Tutto ciò dovrà essere attuato nel quadro di progetti di integrazione e di sinergia atti al raggiungimento di obiettivi di vasta portata, e di valore strategico per lo sviluppo, dell’intero ambito territoriale regionale;
C) prendere atto del fatto che oggi l’innovatività di processo e di prodotto è fortemente dipendente dall’attività di ricerca, anche di base, e realizzare, conseguentemente, in Sardegna strutture e meccanismi che, oltre a promuovere la ricerca, siano istituzionalmente (e non marginalmente) dedicati al trasferimento delle conoscenze scientifiche e delle innovazioni tecnologiche verso il sistema delle imprese, soprattutto quelle di piccole e medie dimensioni. In questo modo di darà pratica attuazione a quel collegamento fra ricerca pubblica e mondo della produzione che è oggi una delle precondizioni fondamentali dello sviluppo.
Prese nel loro insieme, queste tre proposte mirano a impostare un processo, “formazione, ricerca, sviluppo, applicazione”, che abbia caratteristiche di tipo progettuale e segua, di conseguenza, un’impostazione programmatica: per cui, in base alla definizione di specifiche funzioni-obiettivo e in relazione a certe esigenze del sistema economico e sociale, si vengano a individuare i fabbisogni in termini di ricerca e di innovazione che, all’interno di un quadro di risorse allocate e di compatibilità, possano portare ai risultati applicativi attesi e sperati. Si potrà così disporre di un quadro di riferimento ricco e articolato, in base al quale impostare un effettivo bilancio pluriennale fondato sulle politiche di lavoro, di impresa, di ambiente, di infrastrutture e di ricerca. Inoltre, attraverso questi tre “punti forti” del progetto di sviluppo, si potrà promuovere la crescita di un “ambiente” (economico, sociale, istituzionale, culturale) favorevole e ricettivo nei confronti della ricerca scientifica, dell’innovazione tecnologica e di forme avanzate di produzione. La dimensione progettuale entro la quale si intende inscrivere l’azione della Giunta appare la più idonea a dare alla questione sarda una corretta collocazione nel quadro europeo e nazionale. Essa infatti mira ad avviare un progetto di integrazione verso l’Europa non subalterno e passivo, ma mediato dagli opportuni interventi di carattere legislativo, strutturale e finanziario. Ciò è fondamentale in vista del cruciale traguardo del 1992 (dispiegamento completo degli effetti dell’Atto unico, con libera circolazione delle merci in tutta l’area della CEE) che si presenta come un appuntamento ad alto rischio per le economie più deboli. I pericoli insiti in questa ormai imminente scadenza non possono essere evitati chiedendo alla Comunità europea di farsi carico dei problemi della nostra Regione, in termini di assistenza, o sperando nell’improbabile miracolo di uno sviluppo totalmente endogeno. Occorre invece che la Regione mostri una capacità accelerata di accumulazione e di attrazione di risorse finanziarie dall’esterno stimolata e sostenuta da una elevata e forte tensione progettuale interna.
Sul piano nazionale la Regione dovrà trarre forza dal consolidamento dell’Istituto autonomistico e dal rafforzamento del comune sentire popolare dell’autonomia e dell’autogoverno come fattori forti di promozione dell’identità, per rivendicare in modo fermo la propria funzione nella determinazione dei programmi di sviluppo nazionale che in qualche modo interferiscono con la propria crescita economica è sociale o comunque la riguardano. La Regione deve cioè chiedere la partecipazione non fittizia e in un ruolo non marginale all’elaborazione della programmazione nazionale, soprattutto per quanto attiene alla allocazione e alla distribuzione delle risorse e agli interventi (ordinari e straordinari) per la Sardegna: deve riservarsi il diritto di decidere le modalità di attuazione delle politiche stabilite. Essa deve altresì, come si è detto, rifiutare in modo chiaro e inequivocabile la logica dell’intervento straordinario, che ghettizza la Sardegna e impedisce al Mezzogiorno di diventare grande questione nazionale, rendendolo schiavo dei condizionamenti sempre più pesanti del Ministero e dell’Agenzia di programma. La dice lunga, a questo proposito, la politica seguita in questi ultimi anni dal ministro De Vito, che ha privato le regioni meridionali di qualunque autonomia di proposta e di intervento operativo nei settori strategici previsti dalla legge 64, come la ricerca e la formazione qualificata, e ha altresì impedito, ed è un effetto, se possibile, ancora più grave, la concreta attuazione delle politiche di settore. Per porre rimedio a questa situazione, del tutto insoddisfacente, e invertire la rotta occorre istituire un quadro di certezze di poteri, di ruoli e di finanziamenti che pongano le regioni meridionali in condizione di promuovere il loro sviluppo.
Nella dimensione nazionale della questione sarda va anche inserita un’analisi del problema dei rapporti Stato-Regione basata sull’esigenza, per quest’ultima, di “rinegoziare”, per così dire, la propria collocazione all’interno del sistema istituzionale, esaltando l’autonomia e rafforzando, nel contempo, l’unità dello Stato. I due obiettivi non sono inconciliabili: basta ricordare, in primo luogo, che non tutte le potenzialità dello Statuto sono oggi utilizzate convenientemente e appieno e che, ad esempio, la legge per il Mezzogiorno prevede un accordo di programma che attribuisce alla Regione e al suo Presidente poteri nel coordinamento degli interventi che costituiscono un ampliamento di quelli previsti dallo stesso Statuto.
Tra le possibilità che lo Statuto contempla e che non sono state, finora, sfruttate nel modo dovuto va segnalato, in particolare, il comma a) dell’art. 5, che consente di utilizzare appieno le competenze regionali per una effettiva conoscenza e valorizzazione, anche nelle istituzioni educative, del patrimonio storico, culturale e linguistico dei sardi.
Ma oltre alla completa attuazione dello Statuto occorre puntare con decisione a una sua riforma e a un riordino delle norme di attuazione che tenga conto dell’inderogabile necessità di affrontare il problema dei mezzi di intervento e dei poteri della Regione in una chiave che non riduca l’autonomia speciale ad autonomia ordinaria, ma al contrario esalti il ruolo e la funzione dell’autonomia speciale e la riqualifichi.
A tal scopo la Giunta e la maggioranza si propongono di realizzare una Convenzione per la nuova autonomia e lo sviluppo, mirante a definire una piattaforma autonomistica che abbia un ampio respiro strategico. Tale iniziativa, pur nel rispetto dei ruoli di maggioranza e di opposizione, deve coinvolgere il complesso delle forze democratiche ed autonomistiche e il tessuto sociale regionale nella sua globalità. Si tratta di inquadrare, seguendo un’impostazione culturale rigorosa, il problema dell’autonomia regionale nella nuova dimensione costituita da un’integrazione nella comunità europea che ha profondamente modificato i termini della questione senza che a questo cambiamento sostanziale seguisse, com’era logico, un adeguamento e una riformulazione del nesso Stato-Regione. Questo mancato adeguamento ha comportato un impoverimento in termini relativi dell’autonomia speciale e una sua progressiva perdita di contenuti. Non solo, ma esso ha avuto anche pesanti conseguenze sul piano economico e sociale, con la scomparsa della grande industria dalla scena regionale e una crescente disoccupazione. 40 anni di governo basati su presupposti che si stanno oggi rivelando in tutta la loro drammatica insufficienza hanno portato a un grave depauperamento dell’economia sarda. A questo proposito è opportuno ricordare come l’analisi dei rapporti commerciali tra la Sardegna e l’Italia evidenzi con grande chiarezza due dati fondamentali:
1) lo stretto legame tra le due aree;
2) il sempre più grave squilibrio a danno della Sardegna.
Se si depurano i flussi commerciali dalla componente chimico-petrolifera, che esercita ancor oggi una massiccia influenza, si ottiene una percentuale superiore al 95% di prodotti provenienti in Sardegna dalla penisola, percentuale che è indicativa dello scarso grado di internazionalizzazione che caratterizza l’import della nostra Regione. Più consistente è l’apertura internazionale della variabile export, considerando le industrie manifatturiere con esclusione del comparto chimico. Il mercato nazionale assorbe infatti l’85% mentre quello internazionale il 15%. L’analisi qualitativa dei beni importati e di quelli esportati dimostra poi il ruolo della Sardegna, come produttrice di prodotti a scarso valore aggiunto destinati anche alle aree europee, ed avvalora l’ipotesi che la scelta di localizzare la chimica in Sardegna fosse dettata da necessità almeno in qualche misura estranee alle esigenze dell’Isola. Questo quadro dei flussi commerciali indica con estrema chiarezza la necessità, per la Sardegna, di impostare una politica economica e commerciale di diversificazione degli acquisti e delle vendite e di pervenire ad una maggiore internazionalizzazione sia dal lato delle importazioni, sia da quello delle esportazioni. Ciò ovviamente non deve significare una contrapposizione con l’area nazionale, con la quale viceversa devono essere trovati tutti gli elementi capaci di realizzare una maggiore integrazione in termini di interdipendenza. L’elemento che occorre invece seriamente combattere, innescando un processo di controtendenza, è la dominanza economica, che ha portato la Sardegna ad essere una regione totalmente dipendente. Una ridefinizione dell’autonomia deve, ovviamente, investire anche questo piano, prescindendo dal quale la rivendicazione di un livello, sia pure relativo, di autogoverno rischia di essere puramente nominalistica e sterile.
Un altro nodo importante che la Convenzione per la nuova autonomia dovrebbe affrontare senza reticenze è l’analisi delle conseguenze e dei costi sociali provocati, tra le altre cause, anche dallo stadio di autonomia perennemente incompiuta e irrisolta nel quale la Regione è stata lasciata. Non è certo esagerato, o frutto di un allarmismo ingiustificato affermare che la società sarda, nel suo complesso, si è depauperata, soprattutto sotto il profilo culturale. Questa situazione è, al contrario, sotto gli occhi di tutti: si è avuto un progressivo decadimento del ruolo e della funzione delle forze intellettuali, a cui ha corrisposto, come naturale conseguenza, una perdita di vivacità e, soprattutto, di interesse per la situazione complessiva della Regione. O perlomeno questo interesse da diverso tempo non si manifesta più in interventi concreti e in un’opera di collaborazione con le forze politiche e gli altri soggetti sociali tesa alla definizione di un progetto organico e articolato di sviluppo.
Non c’è da meravigliarsi che le cose siano giunte a questo punto: la linea di non sviluppo,di interventi a spizzico, casuali, improvvisati e disordinati, che è stata portata avanti dai governi centrali nei confronti della Sardegna e che, per troppo tempo, è stata passivamente subita anche dalle Giunte regionali, egemonizzate dalla D.C, che si sono via via succedute, non ha incentivato la crescita e il rafforzamento di energie culturali nuove e ha immiserito il ruolo e la funzione degli intellettuali e delle forze sociali più aperte e consapevoli. Ciò ha finito col privare il sistema politico di quel nutrimento essenziale costituito dall’interscambio, continuo e fecondo, con il sociale. Il gioco politico ha finito col ridursi a un mero fatto di formule, di alleanze, di rapporti di collaborazione o di conflittualità tra i partiti, smarrendo il senso profondo della progettualità sociale. Ciò risulta tanto più grave in un momento, come l’attuale, nel quale la politica ha progressivamente dilatato i suoi confini, acquisendo un sempre più saldo e ampio posto di comando nell’ambito del sistema sociale. In questa dilatazione si esprime tutta la forza della politica nell’influenzare profondamente la dinamica delle altre sfere sociali: essa è ormai divenuta un centro attivo all’interno del sistema sociale, un insieme di concetti, di regole, di elementi e fattori che costituisce il sistema privilegiato con il quale osservare la concreta realtà delle relazioni tra le varie parti del tessuto sociale. Ciò significa, come ormai è facile per tutti verificare concretamente, che all’interno delle società complesse, come la nostra, è sempre più spesso la politica a dispensare i valori ai quali la società è tenuta a conformarsi e ad attenersi e a dettare e a imporre le regole del gioco sociale.
Un impoverimento e un isterilimento della politica è allora, necessariamente, un depauperamento dell’intera società. Occorre allora recuperare una nuova più elevata dimensione della politica, ricominciando a guardare, con crescente attenzione, alla realtà sociale nel suo complesso, riprendendo a considerare anche quegli aspetti e quelle componenti che l’ordinamento vigente e la logica a cui si ispira hanno sospinto in un cono d’ombra, in una zona non illuminata dai valori, dagli ideali e dalle finalità dominanti.
Ma per far questo è necessario allargare il gioco politico, aprirsi in modo non fittizio al sociale,chiarire,con l’aiuto degli intellettuali,dei ricercatori, di chiunque abbia idee che si dimostrino valide per condurre un’analisi approfondita della nostra società, che tipo di sviluppo sia necessario per la nostra Regione e a quali forze ci si debba riferire per attuarlo, a chi cioè ci si debba legare, quali sistemi di alleanze non tra i partiti, ma tra il governo della Regione e gli strati sociali, occorra attivare.
Tutto questo significa che bisogna passare da una concezione ristretta del sistema politico come centro propulsivo, che irradia i valori all’interno del sociale e impone i criteri di scelta e le norme di comportamento, all’idea di una società governante, nell’ambito della quale le forze politiche si nutrono con assiduità e continuità degli stimoli provenienti dal corpo sociale, stabilendo con esso un proficuo rapporto di interscambio.
La Convenzione per la nuova autonomia, proposta da questa Giunta, dovrebbe costituire un primo ma importante passo in direzione di questo coinvolgimento, nella progettazione dello sviluppo della Regione, delle forze sociali e culturali più vive presenti nel nostro territorio. Oltre ad affrontare un vitale problema concreto essa fa quindi parte del processo di mobilitazione culturale e sociale, di cui si parlava ali inizio, e che la Giunta di sinistra, sardista e laica intende promuovere e favorire in tutti i modi.
È un quadro che fa della tensione ideale, della capacità progettuale, dell’innalzamento della qualità della politica, del coinvolgimento delle forze sociali e di tutti i cittadini i cardini dell’azione di governo.
Ne discende che quest’ultima può risultare efficace e conseguire gli obiettivi prescelti soltanto a condizione di potersi giovare dell’effettiva collaborazione delle forze sociali, dei ceti produttivi, della gente che crede nel presente e nel futuro della Sardegna e opera ogni giorno con dedizione per migliorare l’ambiente e la qualità della vita e rafforzare la struttura produttiva della nostra regione.
La Giunta di sinistra, sardista e laica intende operare per combattere l’impoverimento della politica, per arricchire la politica e, attraverso il miglioramento di quest’ultima, potenziare e rendere più viva e consapevole l’intera società.
Non è un’impresa di poco conto: è un obiettivo che richiede l’attenzione, ma soprattutto la collaborazione, di tutti i sardi.
Questo chiediamo oggi, con umiltà ma anche con determinazione, consci che i prossimi due anni saranno di importanza cruciale per decidere il futuro della nostra Isola.
Quello che abbiamo delineato è dunque il quadro generale al quale intende ispirarsi il governo regionale. In conformità a questo quadro di riferimento, che delinea i contorni della prospettiva a lungo termine di cui la Giunta vuole tracciare il sentiero, cominciando a porre i capisaldi essenziali di essa, vengono ora indicati gli specifici obiettivi prioritari, da realizzare nel prossimo biennio.
PRIORITÀ PROGRAMMATICHE
1) Piano straordinario per il lavoro
La prima emergenza da affrontare per dare credibilità all’azione della Giunta e fare del governo regionale il polo di attrazione di una vasta mobilitazione sociale è quella del lavoro.
Per far fronte a questo problema la Giunta intende varare un piano di interventi straordinari per il lavoro che coniughi la necessita di produrre effetti operativi apprezzabili nell’arco di un anno con la capacità di approntare strumenti efficaci per lo sviluppo. Si punterà, per questo, a dotare gli Enti locali di strutture tecnico-operative efficaci e a potenziare l’operatività della Regione con l’organizzazione di servizi reali sul territorio e la creazione di supporti tecnico-progettuali alle imprese.
Per quanto riguarda il primo aspetto, si tratta di dar vita a servizi che risultino, nel loro complesso, perfettamente coordinati con il progetto generale di riforma della Regione e siano in linea con la prefigurazione degli strumenti operativi da fornire agli Enti locali. La strada da seguire deve pertanto essere quella dell’assunzione, da parte degli Enti territoriali, di giovani tecnici e amministrativi formati o da formare, in funzione del ruolo che l’ordinamento autonomistico deve assumere per lo sviluppo. Per quanto riguarda il secondo aspetto, si punterà ad attivare servizi in convenzione o diretti presso le imprese che presentino programmi di sviluppo a di assestamento. Questi servizi possono, in particolare, venire garantiti attraverso le associazioni di impresa e di produttori e le cooperative. I settori sui quali intervenire devono essere tutti i comparti produttivi per i quali siano previste incentivazioni della Regione. In tutta questa parte dell’intervento deve essere garantito uno sforzo rilevante e immediato per la formazione professionale che coinvolga, come soggetti operativi, la Regione e i suoi enti, gli Enti locali, le Associazioni di imprese, le Associazioni di produttori, le Cooperative e loro consorzi, le Università sarde alle quali potrebbe essere affidato, per la parte di loro competenza, l’attività di formazione.
È possibile, per esemplificare, indicare alcune linee di intervento:
a) dirigenti di imprese cooperative nei vari settori della produzione e dei servizi;
b) dirigenti di imprese;
c) quadri per il piano delle acque e per lo sviluppo di reti di servizio tele multimediali nei quali cogliere, oltre i vantaggi della modernizzazione dell’apparato produttivo sardo e delle sue integrazioni nelle economie avanzate, tutte le opportunità di formazione connesse a questi servizi;
d) quadri per l’assistenza tecnica e la promozione dello sviluppo in agricoltura e forestazione;
e) quadri per l’artigianato e per la piccola e media impresa;
f) quadri per la pubblica, amministrazione, sia per la carriera esecutiva che per le nuove professionalità necessarie.
Per la copertura di questa prima parte degli interventi si può ricorrere ai fondi comunitari (fondo sociale, FESR, Reg.797), ai fondi della legge 64 sia nei servizi a sportello che nelle azioni organiche, al bilancio della Regione. La parte numericamente più consistente del piano straordinario per il lavoro non può che essere quella della occupazione assistita, intendendo con essa contratti a termine, lavori socialmente utili non legati esclusivamente a momenti produttivi, straordinari e/o formativi.
A titolo meramente esemplificativo si possono citare:
– pulizia delle città e dei paesi, canali, strade di campagna, boschi, ricerche d’acqua, cantieri archeologici, interventi di restauro urbano e monumentale; pulizia spiagge; antincendio, pulizia canali di bonifica, forestazione con cantieri locali, sia nei vecchi che nei nuovi perimetri; interventi di consolidamento e prevenzione sulle aree sensibili dal punto di vista idrogeologico e ambientale.
I soggetti operativi sono gli stessi indicati per la prima parte dell’intervento. La copertura finanziaria dovrà essere assicurata mediante l’autorizzazione a contrarre un mutuo di rilevante entità da utilizzare progressivamente e nel tempo. Le assunzioni saranno effettuate dagli Uffici di collocamento.
2) Ripresa del confronto Stato – Regione
a) La Giunta e la maggioranza si propongono di svolgere un ruolo molto determinato di rivendicazione nei confronti dello Stato in ordine ai seguenti temi:
Approvazione della nuova legge di attuazione dell’articolo 13 che contenga oltre che risorse finanziarie aggiuntive adeguate anche la previsione di strumenti operativi e la determinazione di poteri che garantiscano la effettiva e costante aggiuntività, nonché il ruolo di concorso della Regione sulla programmazione nazionale e l’autonomia della gestione.
b) rilancio del movimento autonomistico e dell’autonomia speciale. La Regione si propone di svolgere un ruolo attivo nei confronti del governo facendosi, in primo luogo, promotrice di un progetto culturale ad ampio respiro volto a fare il punto sul significato dell’autonomia regionale oggi. Di questo progetto è parte essenziale la definizione della funzione che la Sardegna può assolvere nel contesto delle relazioni internazionali, ovviamente non nel senso di una rivendicazione di politica estera, ma nel senso di un suo crescente inserimento all’interno delle iniziative di politica estera prese dal parlamento nazionale per quel che riguarda i campi di propria specifica e riconosciuta competenza.
A tal fine va ricordato che una tale possibilità viene ora riconosciuta alla Sardegna dal contenuto di alcuni articoli della nuova legge che disciplinerà il contributo italiano al sostegno dello sviluppo dei paesi arretrati. In questo provvedimento è infatti previsto che le attività di cooperazione possano essere attuate anche attraverso le strutture pubbliche non solo delle regioni, ma anche delle province e degli Enti locali.
Nello spirito della rivendicazione e difesa della propria autonomia la Giunta opererà altresì per la richiesta allo Stato di precise garanzie contro l’utilizzo delle basi militari isolane per fini estranei agli scopi difensivi Nato (a cominciare dalla base di La Maddalena) e per la progressiva riduzione delle attività e dei gravami militari sull’Isola e sui suoi spazi, marittimi ed aerei.
c) La Giunta al fine di concorrere a promuovere una diffusa consapevolezza delle necessità che il Mediterraneo diventi un mare di pace e per promuovere la collaborazione, tra i popoli rivieraschi si propone d’organizzare una conferenza delle isole e delle regioni meridionali e delle città del meridione d’Europa.
d) Devono essere ricontrattate e messe rapidamente a regime tutte le entrate previste dal Tit. III dello Statuto, in modo da porre fine alla consistente perdita attuale, che la Regione deve registrare e ha ripetutamente denunciato, delle quote IVA ed IRPEF spettanti.
A) modalità di gestione della legge 64. Si dovrà assegnare valore prioritario alla creazione di un clima di mobilitazione sociale idoneo ad annientare i processi innovativi e a stimolare la modernizzazione dei processi organizzati gestionali e tecnici. A tal scopo si procederà a varare un insieme di proposte tese ad accelerare il protagonismo dei soggetti operanti nel tessuto regionale (ordinamento autonomistico, Enti locali, Università, imprese, artigiani, commercianti) sul piano tecnologico, industriale ed economico in generale e a costruire un tessuto articolato diffuso con relativa uniformità su tutto il territorio.
L’obiettivo da conseguire è quello di stimolare la partecipazione di tutti i soggetti interessati, nell’ovvio rispetto dei singoli ruoli, all’attività di progettazione dello sviluppo e di rendere compatibile la necessità e l’opportunità del decentramento con l’esigenza di assicurare organicità e controllo alla politica di stimolo dell’innovazione e di sviluppo con fasi attuative efficaci ed uniformi in tutto il territorio regionale. Gli strumenti da attivare per conseguire questo risultato sono la nuova legge sulla programmazione, una nuova disciplina, orientata ai servizi reali, del sistema degli incentivi industriali e artigiani, un confronto sistematico fra Regione e forze sociali.
Il coordinamento delle risorse e la loro utilizzazione secondo programmi finalizzati anzi tutto all’occupazione e allo sviluppo dovrà essere il principio cardine al quale ispirare la stesura del programma e del bilancio pluriennale, da predisporre contestualmente. Per dare valore non fittizio alla partecipazione, all’elaborazione del programma di sviluppo, dei soggetti regionali, delle istituzioni locali e delle forze sociali occorre però ribaltare la logica a cui si è fino ad oggi ispirato il governo nazionale nel dare attuazione all’intervento straordinario. La gestione attuale della 64, ispirata a una logica centralistica, burocratica e clientelare è l’esatto contrario di ciò che la Regione deve chiedere e ottenere al fine di conseguire gli obiettivi strategici proposti.
Costante sarà l’attenzione della Giunta per vigilare affinché il sistema dell’intervento pubblico, IRI, PP.SS. finanziarie meridionali e aziende autonome assolvano pienamente i compiti e le funzioni loro precipue.
Non va sottaciuta in questo momento la tendenza sempre più marcata delle grandi imprese pubbliche al disimpegno dalla Sardegna.
Questa tendenza deve essere combattuta con decisione: e bisogna pretendere un impegno rilevante, da contrattare e verificare nella conferenza annuale delle PP.SS., che si dispieghi non soltanto nei settori tradizionali della petrolchimica, ma investa anche il comparto agro -alimentare, quello turistico, i servizi.
Ancora una volta va sottolineata la necessità di non consentire che le grandi imprese pubbliche utilizzino i fondi dell’intervento straordinario a favore del Mezzogiorno per l’attività ordinaria e per gli interventi di istituto, drenando colpevolmente risorse che vanno riservate alla modernizzazione dell’apparato produttivo, all’innalzamento della qualità della ricerca scientifica e della formazione.
Va infine richiamata la consolidata posizione dell’esecutivo uscente sulla questione della ricaduta sul sistema produttivo, sulla politica delle commesse e sulla partecipazione delle imprese sarde ai piani e alle attività di sviluppo della Regione.
3) Rapporti con l’Europa
Nella prospettiva del grande mercato, la Regione solleciterà interventi di sostegno per le aree deboli (con particolare riferimento alla riforma agricola, alle politiche comuni energetiche, tecnologiche, ambientali e infrastrutturali) orientate, nel loro complesso, a minimizzare l’attività di assistenza e a massimizzare lo sviluppo.
A tal fine, come si è detto, la Giunta si preoccuperà di predisporre le condizioni di attuazione di tutti i prerequisiti e i presupposti necessari per avviare una effettiva politica di sviluppo, basata sulla modernizzazione culturale e sull’espansione di nuove linee di attività produttive. Gli strumenti che verranno introdotti e la tipologia degli interventi organici da attuare terranno nel debito conto le condizioni per un equilibrato “incontro sul mercato” della domanda – offerta di innovazione.
4) La Riforma della Regione
La Riforma della Regione è una delle condizioni basilari per lo sviluppo. Essa, in coerenza con i lineamenti programmatici enunciati, va concepita e costruita in funzione delle esigenze della società, dando vita a una Regione-ordinamento che garantisca in primo luogo la trasparenza e poi la partecipazione.
Occorre, pertanto, puntare non soltanto a dare maggiore efficienza all’ordinamento autonomistico, a renderlo più snello e attivo (obiettivo già di per sé della massima importanza): ciò che occorre fare in via prioritaria è modellare questo ordinamento in modo da renderlo funzionale ai bisogni di una società complessa come la nostra e da coinvolgere nelle scelte e negli indirizzi di lavoro delle istituzioni le grandi masse, i ceti produttivi, le forze sociali.
In quest’ottica saranno predisposti disegni di legge da presentare al Consiglio in ordine a:
– decentramento di gran parte dei compiti gestionali alle comunità locali, cominciando dalle deleghe ex 348, dalla riforma dell’assistenza, dalla riforma in agricoltura, dalla riforma della formazione professionale;
– presentazione al Consiglio dei ddl di riforma della Legge 33, anche come condizione per l’approvazione entro tempi brevi del bilancio triennale, e della Legge n.l per puntare a realizzare una effettiva collegialità della Giunta a concentrare la sua attività sulle questioni di rilevanza generale e per riordinare in modo organico le competenze oggi: frammentate fra i diversi assessorati;
– finalizzazione e rigorosa funzionalizzazione della contrattazione tra Regione e parti sociali agli obiettivi di sviluppo;
impostazione di una coerente politica del personale, tesa a non appesantire l’organico con nuovi inquadramenti e alla ripartizione del personale in relazione alle effettive esigenze e all’attribuzione delle funzioni;
– piena attuazione dell’articolo 5 dello Statuto, con la presentazione di un disegno di legge per l’esercizio delle competenze integrative in materia scolastica;
5) Predisposizione del bilancio pluriennale
L’attuazione dei lineamenti programmatici presentati comporta un rilancio della programmazione basato sulla stesura e l’approvazione di un bilancio pluriennale. La Giunta si impegna pertanto a presentare per la prima volta nei termini di legge il bilancio pluriennale e annuale quali effettivi strumenti di programmazione. Il bilancio sarà per questo accompagnato da proposte programmatiche operative per l’ambiente, per l’agro alimentare, per il piano delle acque.
Saranno inoltre con atti autonomi predisposti e inviati al Consiglio il piano telematico, il progetto per la metanizzazione, il progetto per la urbanizzazione delle aree interne, il progetto per la riqualificazione delle aree urbane, la dorsale ferroviaria con estensione della rete ferroviaria alle province non collegate, l’ultimazione del primo lotto funzionale del porto canale, gli interventi per la realizzazione dell’autosufficienza energetica, il piano territoriale regionale e un progetto ambiente.
In conformità agli orientamenti programmatici generali esposti il bilancio curerà con particolare attenzione il finanziamento di programmi di formazione e ricerca finalizzati, concordati con le Università sarde, in modo da dare piena attuazione al protocollo d’intesa tra la Regione e gli Atenei della Sardegna e da potenzia re questi ultimi. Un particolare sostegno verrà dato all’ipotizzato e progettato decentramento delle Università sul territorio regionale, nel quadro della realizzazione di un sistema Universitario regionale integrato.
Propongo al Consiglio la nomina dei seguenti Assessori
- BARRANU BENEDETTO Assessore degli Affari Generali, Personale e Riforma della Regione
- MANNONI FRANCO Assessore della Programmazione Bilancio ed Assetto del Territorio
- MERELLA GIOVANNI Assessore degli Enti Locali, Finanze ed Urbanistica
- CARTA GIORGIO Assessore della Difesa dell’Ambiente
- MULEDDA GESUINO Assessore dell’Agricoltura e Riforma Agro Pastorale
- CASULA EMIDIO Assessore del Turismo Artigianato e Commercio
- MORITTU BACHISIO Assessore dei Lavori Pubblici
- SATTA GABRIELE Assessore dell’Industria
- COGODI LUIGI Assessore del Lavoro Formazione Professionale Cooperazione e Sicurezza Sociale
- FADDA FAUSTO Assessore della Pubblica Istruzione Beni Culturali Informazione Sport e Spettacolo
- LADU GIORGIO Assessore della Sanità
- FERRARI ITALO Assessore del Trasporti