Desidero esprimere innanzitutto il ringraziamento mio e della giunta regionale al Comitato per la Rivista Giuridica Sarda per la qualificata iniziativa odierna. Un ringraziamento particolare alle autorità presenti, ai giudici costituzioni proff. Euro Cheli e Antonio Baldassarre, agli studiosi ed ai politici presenti. Siamo qui non per propagandare le iniziative legislative della giunta regionale approfittando del convegno di oggi e di domani, ma per acquisire le valutazioni anche critiche sul disegno organico complessivo e sui singoli progetti di legge che sono ormai tutti all’esame del Consiglio regionale ed alcuni tra i più rilevanti, anzi, in vista della definitiva discussione e votazione in aula.
Parlare di riforma della Regione significa entrare in un universo molto ampio e diversificato di problemi: da quello della distribuzione di poteri e funzioni fra Regione ed enti sub-regionali e locali alle procedure di partecipazione e di programmazione; dalla ridefinizione dei rapporti fra giunta e Consiglio alla riforma della struttura dell’esecutivo; dalla individuazione di normative più adeguate di responsabilizzazione delle strutture burocratiche alla introduzione di meccanismi certi e trasparenti nei procedimenti amministrativi; dalla attivazione e dallo sviluppo sempre più deciso dei concetti di produttività, professionalità, qualificazione alla creazione di un sistema di reclutamento rapido, moderno e diversificato in relazione ai profili e alle qualifiche. Ciascuno dei problemi necessita di approfondimenti e di valutazioni specifiche. Affrontarli e risolverli tutti in modo organico, senza rinviarne alcuno è però una esigenza fondamentale. La gradualità sarà nei risultati, nelle applicazioni operative, non nel proporsi di risolvere oggi alcuni problemi, rinviandone altri ad un futuro formalmente ravvicinato ma di fatto imprecisato. La ruggine accumulata, le disfunzioni, gli anacronismi sono ormai tanti: occorrono gli approfondimenti ma anche la decisione necessari.
Mi spaventa, e non concordo, sentir dire: lasciamo perdere le riforme troppo ambiziose, perché per prima cosa dobbiamo risolvere i problemi più urgenti magari quelli di una immediata disponibilità del personale esecutivo che è carente negli uffici. Si può anche partire subito con la approvazione del d.d.l. contenente le nuove procedure di reclutamento che possono evitare la paralisi degli uffici, ma non per questo avremmo risolto in modo significativo i problemi di funzionamento, di efficienza di produttività della macchina regionale e del rapporto cittadini-istituzioni autonomistiche. Del resto, e mi riferisco anche alle polemiche di questi giorni in coincidenza con l’annunciata discussione nell’assemblea regionale del d.d.l. sulla responsabilità della dirigenza, non stiamo introducendo, in linea generale, normative stravolgenti o utopistiche. Se è vero che in molti casi (penso agli articoli relativi alla delega alla dirigenza del potere di firma o alla nuova legge sui concorsi) ci stiamo semplicemente uniformando o a normative vigenti in altre Regioni o a normative ed esperienze esistenti nell’ordinamento statale. Certo possono apparire stravolgenti e quindi fonte di preoccupazione (altrimenti perché continuare a dire neppure a mezza voce che la legge sulla responsabilità e trasparenze dell’amministrazione va bocciata) norme fortemente innovative rispetto alla nostra Regione, rispetto alla realtà della nostra amministrazione: ma ciò dà la misura non della utopia di ciò che alcuni d.d.l. propongono ma della arretratezza della nostra organizzazione amministrativa. O, nel migliore dei casi, del distacco e quindi della disattenzione con cui si è guardato, da parte della classe dell’amministrazione, preferendo concentrare l’attenzione della politica alle alleanze e tutt’al più ai contenuti programmatici dell’azione politica e non anche agli strumenti per gestirla. Dimenticando che l’amministrazione è strumento fondamentale di progresso che è il veicolo indispensabile per costruire un rapporto nuovo cittadini-istituzioni.
In Sardegna vi è stata per esempio una importante elaborazione, sviluppatasi negli anni talvolta anche in anticipo rispetto ai modelli diffusisi poi su scala nazionale; elaborazione tutta però concentrata per così dire sui grandi temi istituzionali. La creatività sulle grandi questioni si è però scontrata e sovrapposta ad una struttura tradizionale sempre più vecchia e inadeguata ad agire come strumento operativo degli obiettivi programmatici che di volta in volta ci si dava. Non so se, e in quale misura, anche per la Regione Sardegna valgono i dati di una ricerca del FORMEZ sull’uso del personale nelle pubbliche amministrazioni da cui risulta che il 60% è dedicato a compiti di auto-amministrazione, il 14% ad attività di indirizzo, il 26% al contatto diretto con il pubblico. Forse i dati possono variare, ma la sostanza del problema non credo cambi di molto.
L’intento col quale, come Giunta ci siamo mossi, è stato in primo luogo quello di contribuire a trasformare la Regione in ente di governo: il che può avvenire attribuendo le funzioni di gestione, con risorse adeguate e personale, ai livelli sub-regionali e locali, rafforzando nel contempo sul piano regionale le funzioni di programmazione e legislazione. Già con la Giunta di sinistra della passata legislatura si era avviato un lavoro importante in questa direzione. In questi ultimi anni abbiamo cominciato a dare attuazione a quella impostazione approvando alcuni provvedimenti importanti di decentramento di funzioni, per esempio in materia di Lavori pubblici e di riordino dell’assistenza. Ma siamo ancora terribilmente indietro. Secondo una recente ricerca dell’UPI mentre la Lombardia e l’Emilia hanno finora trasferito funzioni in 52 materie, la Sardegna li ha effettuati in 8 materie: siamo, fra le Regioni italiane, al penultimo posto. La verità è che siamo più centralisti dello Stato.
Gli Assessorati regionali sono dei califfati, non degli strumenti che concorrono al governo collegiale. Certo non possiamo nasconderci, noi e i sindacati, che una forte remora ai trasferimenti di funzioni e personale è costituita dal fatto che in Sardegna, a differenza di gran parte delle altre Regioni, vi sono notevoli differenze contrattuali fra la Regione e gli enti locali, per cui non sono solo i sindaci e gli assessori comunali e provinciali che vedono spesso il loro ruolo come un passaggio per diventare assessori regionali, ma anche fra il personale delle pubbliche amministrazioni locali sono sempre di più coloro che cercano di trovare argomenti per poter rivendicare il passaggio alla Regione. Il rischio che abbiamo di fronte è che, contrariamente alla esigenza di spogliarsi di funzioni gestionali e di personale, la Regione sia sottoposta ad una spinta esattamente opposta. Proporsi di restringere, seppure con la necessaria gradualità, le distanze economiche esistenti deve diventare oggi un obiettivo comune di forze politiche di governo e di opposizione e dei sindacati. A meno che non si scelga la facile tentazione di sponsorizzare ogni richiesta corporativa che non può che portare, però, a fare della regione un mastodonte ancora più ingovernabile. Il secondo obiettivo che ci ha animato nella nostra proposta è quello di coniugare il rilancio della politica di programmazione come metodo ordinario di governo con nuove, più snelle e perciò più efficaci forme di partecipazione degli enti locali e delle forze sociali e produttive. Da un lato si individua una procedura che consente di superare l’attuale scissione esistente nella nostra legislazione (che è precedente alla legge 468 dello Stato) fra atti di programmazione e atti di contabilità. Dall’altro lato si individua nelle quattro province, ed eventualmente in tre circondari se venissero richiesti dai Comuni interessati, i soggetti fondamentali della partecipazione sub-regionale e locali alla programmazione regionale; sciogliendo i comprensori e riportando le comunità montane alle loro specifiche funzioni di organi dei Comuni montani.
Il terzo livello di intervento, che è per noi il più nuovo e forse il più impegnativo è quello relativo al funzionamento della macchina regionale. Ci siamo proposti intanto, attraverso una delicata indagine che sta svolgendo il FORMEZ, di conoscere ciò che la Regione deve fare oggi in termini di procedure e di funzioni, sulla base delle leggi, dei regolamenti e dei programmi vigenti. Abbiamo oltre 1200 leggi in vigore e forse altrettante procedure. Sappiamo quanto e quale personale abbiamo e dove lo abbiamo, ma non quello che ci serve come organico e come profili professionali perché non conosciamo quali sono tutte le funzioni che dobbiamo esercitare. Così ogni termine o scadenza attuativa prevista in un nuova legge diventa una pura astrazione. Non esiste se non nominalmente, perché non è stato finora messo in grado di operare se non come ufficio del personale tradizionale, un ufficio di organizzazione e metodo, che consenta di governare il personale in rapporto agli obiettivi programmatici e alle leggi e ai regolamenti operanti nella Regione. Un secondo aspetto che ci sembra non più dilazionabile è quello legato alla formazione e alla qualificazione del personale, alla produttività e alla professionalità. Nell’amministrazione il concetto di pubblico non può essere visto come garanzia superiore rispetto al privato o come migliore protezione di chi vi opera; pubblico è il servizio non chi vi opera, pubblico è la misura del rapporto con l’utente e con il cittadino . Diventa perciò finalità prioritaria. Valorizzare, allora, non la carriera o l’anzianità come tali, ma la produttività per progetti obiettivo, la professionalità dimostrata, la disponibilità a qualificarsi e ad aggiornarsi anche in connessione ad una sistematica e moderna automazione degli uffici. È quanto abbiamo proposto alcune settimane fa nella piattaforma presentata dalla giunta regionale per il rinnovo contrattuale dell’area regionale. Un terzo aspetto che occorre introdurre nella nostra regione è quello della responsabilità. Da qui nasce la proposta di distinguere, non di separare evidentemente, l’attività politica da quella di gestione, in modo da precisare le responsabilità di entrambi i livelli. La situazione che abbiamo è in fondo paradossale: chi ha responsabilità formale, cioè il politico, spesso non può valutare ciò che firma, mentre chi spesso decide nel merito non ha la responsabilità formale. Di fatto la concentrazione del potere nella mani del politico ha favorito la deresponsabilizzazione del funzionario. Il potere di firma dell’assessore non è un potere di controllo (tutti noi assessori sappiamo che se pretendessimo di leggere anche solo velocemente gli atti che firmiamo bloccheremmo l’amministrazione) ma solo di veto o di accelerazione delle pratiche che possono interessarlo. Da qui allora la necessità di distinguere con chiarezza funzioni, poteri e responsabilità. Rivendicare maggiori poteri senza assumersi responsabilità, da parte dei dirigenti, non è meno grave ed arretrato di chi, fra i politici, preferisce che la Sardegna continui a mantenere il primato fra coloro che hanno concesso la minore percentuale di deleghe ai funzionari oltre che, come abbiamo visto, agli enti locali. La responsabilità è anche il modo più efficace per valutare il merito, per valutare chi è capace e chi non lo è. oggi le valutazioni sono tutte uguali. Le comparazioni per le nomine, che per la prima volta dal 1978 abbiamo fatto come giunta regionale, sono spesso finzioni. Le schede dei singoli funzionari, sulle quali ci siamo basati per formulare le proposte, sono l’una fotocopia dell’altra. E ciò non è accaduto solo per pigrizia mentale, ma principalmente perché non vi sono parametri oggettivi di valutazione: responsabilità, produttività, formazione, valutazione del lavoro svolto, sulla base di parametri oggettivi. Un quarto aspetto è quello della trasparenza, della apertura del procedimento amministrativo, della certezza del compimento degli atti, della individuazione chiara, per l’amministrazione e per il cittadino-utente, dell’ufficio o della persona che è responsabile del procedimento e della emanazione dell’atto conclusivo. Non è scandaloso, come ho sentito dire più volta, pretendere che ogni cittadino sappia dove è e chi ha la responsabilità di seguire la sua pratica e perché essa va o non va avanti. Dobbiamo avere il coraggio di liberarci da una concezione borbonica della amministrazione, riportando al primo posto il concetto di servizio nei confronti dell’utente. Ciò è tanto più urgente ed importante quanto più si sono moltiplicate le funzioni degli organi pubblici, anche regionali. Io non credo che ciò che si è realizzato da altre parti o anche ciò che di innovativo in assoluto vi è in qualche parte delle proposte della giunta sia utopia. Credo più semplicemente, che gli obiettivi che ci proponiamo, siano cose giuste e sacrosante con le quali vogliamo contribuire a colmare il solco fra istituzioni e cittadini, fra tempi dell’amministrazione e tempi dell’economia e della produzione. In questa direzione assume particolare significato il rinnovo dei meccanismi di reclutamento e di formazione del personale, per i quali proponiamo due d.d.l. uno relativo alla istituzione di una scuola che predisponga, ma non gestisca direttamente, i programmi formativi da affidare alle Università, al FORMEZ, alla Scuola per la pubblica amministrazione; l’altro è il d.d.l. che semplifica e aggiorna il nostro farraginoso e costoso sistema concorsuale. Un concorso regionale in media dura tre-quattro anni, anche con 2-3-mila candidati. Ogni ente regionale fa i suoi concorsi, pur essendo identica l’area contrattuale. Non esiste alcun meccanismo programmatorio che consenta di alimentare graduatorie di idonei, cui accedere man mano che si creano nell’organico le necessità, per le fasce esecutive, mentre nel resto della pubblica amministrazione è già operante la legge 56, da noi si segue ancora il meccanismo concorsuale tradizionale di cui è emblema l’assurdo concorso per 700 guardie e sottufficiali del corpo forestale regionale per il quale vi sono 62 mila domande e la cui preselezione si svolgerà il 18 e il 25 settembre, in 60 scuole di 6 città dell’Isola con circa 5 mila persone reclutate per la sola vigilanza e con un onere di quasi un miliardo e mezzo: tutto per selezionare 5-6 mila persone fra le quali, con un regolare concorso che durerà almeno un altro anno, individuare mille candidati da inviare alla scuola forestale dello Stato. Il titolo richiesto è la scuola media inferiore. Se da noi fosse stata operante la legge 56 questo assurdo e costosissimo concorso non si sarebbe fatto! Come pure non esiste alcun meccanismo differenziato per il reclutamento della dirigenza, a parte i 35 posti riservati agli esterni dall’ultimo contratto. Quando, invece, occorre puntare ad avere una dirigenza sempre più manageriale e sempre meno “carriera”. Dei difetti siamo consapevoli noi per primi che da quattro anni governiamo una macchina che altri hanno via via modellato in oltre 30 anni. Non ci si può però fermare alla denuncia dei difetti se ci sono, ed oggi ci sono, le proposte per rinnovarli. Si deve ed anzi siamo qui per discutere nel merito i contenuti dei provvedimenti più significativi, perché vogliamo migliorarli, modificarli, adeguarli purché siano salvaguardati gli obiettivi riformatori di fondo. Non ci si può fermare alla denuncia dei difetti, dicevo, ma neppure in una eterna discussione dei progetti di riforma. A meno che non si ritenga assumendosene le responsabilità che le cose debbono restare come sono. Del resto quel che dobbiamo approvare avrà una ricaduta nella prossima legislatura, ma potrà averla solo se in questo fine legislatura predisporremo gli atti legislativi necessari. Come la giunta regionale riprendendo e sviluppando una elaborazione che ha visto impegnate negli anni tutte le forze autonomistiche e le forze sociali e sindacali con l’impegno di vari assessori che si sono succeduti nell’incarico e con il lavoro di illustri studiosi oggi presenti al Convegno, abbiamo lavorato in coerenza con gli obiettivi contenuti nel programma approvato dal Consiglio regionale,per predisporre un corpo organico di progetti di riforma. Non si può dire che tutto questo sia un lavoro compiuto senza confronto. Del resto è nella sede consiliare che può e deve essere ripreso e portato a conclusione il confronto di merito fra i gruppi politici democratici e autonomistici. L’importante è che le esigenze di approfondimento non diventino il pretesto per impedire che le riforme si facciano. Le resistenze al cambiamento, è inutile negarlo, ci sono, ma debbono essere battute. Gran parte dei disegni di legge non comportano grossi oneri finanziari (la legge sulla responsabilità e la trasparenza ha un onere di alcune centinaia di milioni), perché non sempre le riforme costano. La nostra rivendicazione di una nuova fase del regionalismo nel Paese che guardi ai nuovi confini economici e istituzionali aperti dalla prospettiva dell’integrazione europea del 1992, parte dal presupposto che le Regioni devono tornare ad essere o diventare il modo di realizzarsi dello Stato. Rilancio delle autonomie regionali, ordinarie e speciali, significa non solo potenziare gli Statuti regionali e i poteri autonomistici| nelle periferie regionali, ma introdurre il regionalismo negli organi centrali dello Stato al fine di realizzare compiutamente lo Stato regionalista prefigurato dalla nostra Costituzione. La riforma interna della Regione non è ne staccata né qualcosa di meno rilevante rispetto a questo disegno complessivo. È una parte di uno stesso progetto riformatore con una differenza rilevante però: la riforma regionalistica dello Stato non dipende soltanto da noi; la riforma interna della nostra Regione è principalmente nelle nostre mani. Sta a noi realizzarla, le resistenze e le paure sono tante. Ma vi sono anche molte spinte al rinnovamento, innanzi tutto fra i funzionari e il personale, spesso mortificati nelle loro capacità e professionalità da una macchina organizzativa invecchiata e arrugginita. Così come sono importanti i sostegni espressi, anche in modo formale, dai sindacati dei lavoratori e l’attenzione mai venuta meno degli organi dell’informazione e del mondo della cultura di cui anche l’iniziativa odierna è testimonianza per noi preziosa. Agli organi politici spetta l’onere delle decisioni. Decisioni che ora possono essere tutte assunte, consapevoli che quando si parla di riforme non ci si esprime su una giunta o su un assessore che hanno assunto delle iniziative, ma su meccanismi che tutti, al di là delle contingenze di schieramento, abbiano interesse urgente a rinnovare profondamente nell’interesse generale della collettività.
Convegno ”La Riforma della Regione” – Rivista Giuridica Sarda – 28 giugno 1988
20 Giugno 2016 by