Temo davvero che resterete piuttosto delusi se in una serata così dotta, così elevata per gli interventi che si sono susseguiti, a concludere sarà uno che non conosceva Fancello, che ha scoperto con viva emozione le sue opere attraverso la mostra che ho avuto la fortuna di poter ammirare nei locali del Comune e che ha potuto ascoltare tanti dotti critici, studiosi, esperti, l’editore che ha pubblicato questo catalogo, e si è arricchito di osservazioni, di indicazioni, di riflessioni così stimolanti per capire un artista, il suo mondo, le sue intuizioni, le sue certezze, ma anche tutta quella ricchezza interiore che si esprime in questi disegni incredibili, così diversi, così evocativi, quasi di sogno. Si è detto: immagini di lutto, trasfigurazioni di fiabe che vivono nella sua fantasia e che si trasfondono nei segni con una immediatezza che non so quanto sia frutto di elaborazione, di mediazione e di cultura e di sintesi, così come ci diceva Delogu, o quanto vi sia invece di prorompente, di spontaneo, di reale e sincero, in un artista che parla il linguaggio della propria gente, della propria terra, delle proprie campagne, delle persone che vivono nella campagna e dalla campagna, che nella campagna trovano i motivi della loro stessa vita.
Si è ricordato Nivola. Io vorrei ricordare un altro grande artista che era compagno di studi e di vita nella esperienza continentale di Fancello: Pintori che ha fatto parlare di sé, nuorese, come designer insieme a Nivola, insieme a Fancello, quando vincono una borsa di studio messa in palio dall’Amministrazione provinciale di Nuoro e tutti e tre si trasferiscono in Continente e in un modo o nell’altro hanno a che fare con la Olivetti e vi lavorano. Me ne ha parlato Costantino Nivola, me ne ha raccontato commosso con quel suo fare gioioso, fantasioso, direi candido e pur sempre ironico. E mi ha parlato di Salvatore Fancello. Questa mostra, in gran parte, la si deve a lui, a questo sentimento profondo che lo legava a Fancello. Noi abbiamo dato l’incarico a Nivola di arricchire della sua arte il nuovo palazzo del Consiglio regionale di Cagliari. E sapete come lo ha arricchito? Disegnando un graffino su un’immensa parete con un disegno di Fancello. Lui conservava questo disegno e lo ha riprodotto sulla parete del Consiglio regionale, della massima espressione della democrazia sarda che si ispira a Fancello.
Voi avete, dorgalesi, espresso questo messaggio che ha valenza regionale ma che proprio per questo ha valenza universale. Ecco, questo mi pare il significato di questa mostra e del ricordo di questo personaggio. Che, ragazzo di vent’anni, poco più, di ventitrè ventiquattro anni, riuscisse a trovare in sé parlando il linguaggio della sua gente la forza dell’universale, la forza di un linguaggio che è capito dovunque e in tutti i tempi in questa sintesi piena di cordialità, di simpatia, di semplicità eppure di grande interiorità e spiritualità.
Io credo, senza avere la pretesa di dare un’interpretazione critica dell’artista, perché non è nella mia professionalità specifica, che dobbiamo cogliere come coloro che hanno responsabilità di governo i messaggi che ci vengono dall’arte, quando esprimono i valori di un popolo, quando l’arte diventa trasfigurazione di una realtà sofferta da tutto un popolo, di tutte le ansie che un popolo esprime, di tutte le mete ed i traguardi che un popolo si propone. Ebbene, sta all’artista, esaltare tutto questo, trasfigurarlo nella poesia del suo linguaggio, nelle armonie, nelle vibrazioni, nei suoi segni, nei suoi colori, il riuscire a suscitare nell’animo di chi guarda commozione e partecipazione.
Ebbene, Fancello ha la magia di questo linguaggio. Noi abbiamo seguito con una forza di suggestione che non ci consentiva, direi, di staccarci da un’opera che già eravamo riconquistati da un’altra, questa successione di immagini, e ci siamo riconosciuti, e abbiamo sentito quanta ricerca della propria identità vi è in quelle opere, quanta forza delle radici della sua sardità in questa valenza di universalità. Noi stiamo vivendo un secolo importante perché questo secolo ha espresso la Deledda che parlava di pastori, parlava di contadini, parlava di gente che viveva nella sofferenza di un’antica emarginazione ed il dolore di quel popolo è diventato il dolore dell’umanità, capito dai norvegesi, dagli australiani, capito il linguaggio dei nostri pastori dalla più alta letteratura del mondo: il premio Nobel. Il secondo premio Nobel conquistato dall’Italia, lo ha conquistato chi ha saputo esprimere il linguaggio della nostra gente, nella nobiltà in cui questo linguaggio il popolo sa vivere e parlare.
C’è Sebastiano Satta, grandissimo poeta, presentato dai più grandi critici letterari italiani non dalla letteratura consumistica ma certamente dal De Santis, dal Momigliano, dai grandi critici italiani considerato fra i maggiori poeti post-carducciani, ed ha avuto i suoi natali qui fra queste montagne, tra mare ed Ortobene. Abbiamo Francesco Ciusa, l’autore della «Madre dell’ucciso»; ha espresso il dolore di una madre. È alla Galleria d’Arte Moderna a Roma: una delle opere più insigni del ‘900 italiano. Ma abbiamo un Costantino Nivola, che è stato compagno dei più grandi artisti del nostro tempo.
Questo ragazzo che è morto poco più che ventenne e che oggi viene riscoperto per tutta la ricchezza che ha saputo trasfondere nelle sue opere e che hanno ancora oggi una validità, un’attualità palpitante. Il direttore del Museo della Ceramica di Faenza chiede di poter trasferire questa mostra nella sua terra perché vuole mostrarlo ai suoi ragazzi, ai suoi bambini. Ecco, è un linguaggio che ha una sua attualità, che può rivolgersi ancora alle giovani generazioni. Vi è creatività, dinamismo, freschezza, giovinezza, vi è speranza in questo autore e noi abbiamo il dovere di riscoprire, di esaltare questi valori. È compito dell’Amministrazione regionale incoraggiare tutte le iniziative che valgano a restituire questa forza interiore che è nel nostro popolo, a riproporla, perché noi nella nostra individualità, nella nostra soggettività di popolo possiamo dialogare con gli altri, possiamo integrarci con gli altri, possiamo avere un rapporto di reciproco arricchimento. Non siamo subalterni di una cultura esterna, ma siamo con questa in un dialogo creativo e fecondo, possiamo esprimerci con uomini quali Fancello, con uomini e artisti sommi che dimostrano che la cultura, l’intelligenza, la creatività, la sensibilità, l’umanità non è solo potenza e ricchezza.
Ebbene, questa sera, questo incontro di popolo, lo rilevavo parlando con i miei vicini, poc’anzi, non è una conferenza nella quale si adunano i dotti, gli addetti ai lavori, ma qui c’è il popolo di Dorgali, in tutta la sua complessità, in tutta la sua multiforme ricca composizione e vi è partecipe, convinto, entusiasta, direi orgoglioso di questa sua capacità di esprimersi ai livelli più alti. Io ho seguito con estremo interesse anche il progetto di dare vita ad una fondazione che perpetui i valori, non certo la creatività di un Fancello: sono combinazioni stellari che avvengono nel firmamento non come fatto di routine, sono fatti eccezionali, ma che coltivi però una cultura che possa dare e creare le opportunità e le occasioni perché altri Fancello possano esprimersi e possano cogliere tutte le opportunità per emergere.
La Regione è stata vicina all’Amministrazione comunale in questa circostanza, insieme alla Banca Popolare di Sassari le ha fornito i mezzi finanziari perché tutto questo si potesse realizzare. Non certo il Presidente della Regione, come si è detto, ma l’Amministrazione regionale, che di queste iniziative ne incoraggia non moltissime ma quelle più significative certamente e questa è una di quelle.
Noi continueremo a seguire con estrema disponibilità, con grande attenzione perché il popolo progredisce perché ha mezzi, perché ha risorse economiche, finanziarie, tecnologiche, ma progredisce soprattutto quando è illuminato dalla cultura.
La luce della cultura – Mostra su Salvatore Fancello – Dorgali – 30 luglio 1988
11 Maggio 2016 by