Documento di Lavoro sulla Costituzione dell’Unione europea e le regioni – Commissione per gli affari istituzionali – Parlamento Europeo – 17 marzo 1993

I°     L’Unione non può ignorare il ruolo peculiare delle regioni nella costruzione europea
I due motivi principali sono i seguenti:
le regioni esprimono ancora più profondamente che non gli Stati membri le diversità culturali dell’Europa;
e
esse esprimono altresì una struttura costituzionale spesso fortemente radicata nel sistema politico di taluni Stati membri.
Le principali difficoltà che emergono quando riflettiamo sul problema del ruolo delle regioni nella costruzione europea riguardano tre elementi:
il carattere spesso emotivo degli argomenti presentati;
la diversità delle strutture costituzionali degli Stati;
le preoccupazioni riguardanti l’unità e la sovranità degli Stati.
II°  La riflessione su questo problema deve permettere di individuare soluzioni puramente costituzionali
A. Il primo aspetto è quello delle diversità culturali all’interno della Comunità e degli Stati membri, che non possono essere trascurate in quanto costituiscono una delle ricchezze fondamentali della Comunità. La Costituzione deve riconoscere questo valore a livello dei principi. Invece, essa non può affrontare il problema sotto il profilo delle competenze in quanto si limiterebbe a dare indicazioni di carattere generale, rinviando alla legge o ai trattati vigenti.
B. . La seconda questione da affrontare è quella della partecipazione delle regioni al processo costituzionale. Attualmente, la partecipazione degli enti regionali al processo costituzionale degli Stati membri, cioè alla preparazione e alla ratifica dei trattati comunitari, è assai diversa nei vari Stati.
La Germania e il Belgio sono Stati più o meno federali. La Costituzione nazionale ammette una certa partecipazione delle regioni al processo di ratifica di questi accordi. In Germania, ad esempio, il dibattito al Bundesrat è stato assai animato in quanto i Lànder esigono garanzie quanto alle conseguenze costituzionali dell’Unione europea. In altri Stati, il ruolo delle regioni in questo settore è molto più limitato.
La definizione di una regola comune in questo settore è praticamente impossibile, segnatamente in quanto l’espressione degli Stati membri non è una procedura comunitaria ma un’espressione di volontà individuale di ciascuno Stato. Infatti, ciò che entra in gioco per ogni Stato membro è la sua stessa struttura costituzionale. Non è necessario ricorrere al principio di sussidiarietà per rendersi conto che si tratta di un tema assai delicato, da riservare ad ogni singolo sistema costituzionale.
Ciò però non impedisce di riflettere sull’importanza che potrebbe avere una maggiore partecipazione degli enti regionali, dove esistono, in quanto assai spesso i temi che formano l’oggetto delle azioni comunitarie sono riservati, a livello interno, alla competenza regionale.
C. La terza questione riguarda la partecipazione delle regioni alle procedure legislative. In realtà, si tratta di due problemi distinti.
In primo luogo, vi è la partecipazione delle regioni a livello comunitario. Evidentemente, le procedure decisionali possono coinvolgere solo le istituzioni comunitarie; è per questo motivo che il Trattato di Maastricht propone un “Comitato delle regioni” con funzioni consultive.
Sono previste competenze alquanto vaste, ma senza alcuna partecipazione alla decisione in quanto tale. Questo problema emerge per taluni Stati membri come la Germania e il Belgio, e ha dato luogo alla modifica dell’articolo 146 del trattato CEE. Infatti, secondo un’interpretazione pressoché autentica, il nuovo testo dell’articolo 146 dovrebbe permettere agli Stati membri di far partecipare a pieno titolo alle riunioni del Consiglio un rappresentante regionale quando la materia rientra nelle competenze regionali in uno Stato membro.
In secondo luogo, il problema si pone all’interno di ogni Stato, e soprattutto sotto il profilo della Costituzione nazionale. Infatti, si tratta delle modalità secondo le quali ogni Stato prepara la propria posizione in vista di una decisione comunitaria. Senza poter intervenire in questo settore con una disposizione costituzionale a livello di Unione, occorre constatare che nella maggior parte degli Stati membri la decisione spetta esclusivamente ai governi nazionali. È evidente che l’emarginazione del Parlamento nazionale e degli enti autonomi regionali compromette assai spesso la “accettabilità” delle norme comunitarie. Certo, in alcuni Stati membri – ad esempio in Italia – esistono forme di consultazione delle regioni, che però non sempre sono soddisfacenti o puntuali per ciascuna decisione di interesse regionale.
In terzo luogo, si pone il problema della consultazione specifica delle regioni particolarmente interessate da una data decisione. Benché si tratti di un problema fondamentale, i trattati non prevedono alcuna disposizione. La Commissione, con carattere unilaterale e totalmente facoltativo, aveva creato un comitato delle regioni, equiparato agli altri comitati tecnici di natura consultiva. Questa iniziativa, generosa da parte della Commissione, non può risolvere il problema né è peraltro adeguata al livello costituzionale delle regioni in vari Stati membri.
Sorge così il problema di verificare se non sarebbe possibile definire, sulla base di orientamenti generali fissati da una legge, lo sviluppo di un sistema contrattuale fra l’Unione e la regione interessata allo scopo di tenere maggiormente conto delle peculiarità di ogni regione. Sotto questo profilo, la norma figurante nel regolamento sui PIM (e parzialmente abbandonata nelle successive riforme dei fondi) che poneva direttamente in contatto la Commissione e la regione interessata nel contesto di un accordo di programma, può essere considerata come un metodo interessante anche a livello “costituzionale”. Tramite questo strumento, le regioni diventano, nell’ambito del contratto, soggetti comunitari. L’accordo può anche essere un metodo efficace per risolvere il problema della responsabilità giuridica delle regioni.
D. L’applicazione delle leggi dell’Unione solleva altri due problemi:
– il recepimento delle direttive o l’applicazione delle norme quadro. Attualmente, ai sensi dei trattati, gli Stati membri sono i soli responsabili del recepimento delle direttive; l’articolo 169 del trattato CEE riconosce solo la responsabilità dello Stato nei confronti della Comunità. Di conseguenza, in generale gli Stati membri approvano le disposizioni necessarie a livello nazionale, anche quando la Costituzione nazionale attribuisce loro la competenza in materia;
– l’esecuzione concreta delle disposizioni comunitarie pone problemi diversi. La Comunità utilizza già il metodo del “partenariato” con le regioni interessate a talune disposizioni, segnatamente in materia di aiuti di carattere regionale. Permane tuttavia la “tutela” dei governi i quali, in ultima analisi, rimangono responsabili dell’esecuzione.
E.. Segue il problema dei ricorsi giurisdizionali. Nella situazione attuale le regioni possono ricorrere, così come i cittadini, contro atti comunitari che le riguardino direttamente. Tuttavia esse non possono, a differenza degli Stati membri, ricorrere nell’interesse generale o per violazione delle loro competenze definite dalle rispettive Costituzioni nazionali.
Sotto questo profilo, il problema consiste nel fatto che le regioni non possono difendersi efficacemente a livello interno in quanto il trasferimento di talune competenze a livello comunitario trasferisce anche la relativa competenza esecutiva alle autorità nazionali.
Nell’ambito dei negoziati sul trattato sull’Unione europea, taluni Stati membri avevano proposto di attribuire al Comitato delle regioni un potere di ricorso nell’interesse generale, segnatamente quando sia in discussione il rispetto del principio di sussidiarietà per competenze di natura regionale. Questa ipotesi è stata bocciata, data l’estrema difficoltà di definire i settori oggetto di un ricorso di questo tipo. Il Comitato delle regioni conserva tuttavia un potere di ricorso, ma solo per difendere le proprie prerogative, conformemente ai principi generali elaborati dalla Corte di giustizia in occasione di taluni ricorsi del Parlamento europeo.
F.     Evidentemente, le presenti riflessioni presuppongono che il Parlamento intenda elaborare una Costituzione di un’Unione degli Stati e dei cittadini, nella quale quindi le regioni siano considerate elementi essenziali del sistema politico, culturale e costituzionale di ciascuno Stato membro e non membri “primari” dell’Unione.

Costituzione dell’Unione Europea
Il mancato obiettivo del riequilibrio fra le regioni svantaggiate e regioni ricche ripropone il ruolo dei fondi strutturali. Di qui le riforma.
In questa spirito apprezziamo positivamente il consistente aumento dei fondi, il più incisivo impegno degli Stati al rispetto dell’addizionalità, il coinvolgimento delle Regioni nel Comitato consultivo, nell’elaborazione dei Q.C.S., dei programmi transnazionali e delle sovvenzioni globali.
Valutiamo con favore il più incisivo ruolo di controllo riservato al Parlamento anche in sede di parere ex ante, oltre che degli stessi parlamentari chiamati a partecipare ai Comitati del Seguito nelle rispettive regioni.
Ma a ben guardare gli spazi di democrazia aperti dalle innovazioni sono più apparenti che reali. All’aumento dei Fondi corrisponde l’ampliarsi dell’area di intervento, già di per sé
rilevante, ma, di fatto indeterminata e dilatabile oltre i confini della stessa Comunità in nome di una flessibilità che contraddice e vanifica l’obiettivo essenziale della concentrazione territoriale e programmatica degli interventi.
Ciò che crea maggiore preoccupazione è il perpetuarsi della visione assistenzialistica della manovra globale. Lo stesso coinvolgimento delle parti sociali – di per sé positivo- si inserisce in forme così ambigue da apparire finalizzato a sminuire e bilanciare il ruolo delle regioni chiaramente risospinte dalla rinazionalizzazione dei poteri alla subalternità nei confronti del blocco politico-burocratico della consociazione statalcomunitaria, parafrasando lo scrittore mio conterraneo Michele Columbu, debbo constatare che l’Europa è ancora lontana.