L’autonomia è conquista dello spirito – Convegno sul barracellato – Bolotana, 16 luglio 1988

Amministratori comunali, barracelli, colleghi consiglieri, cittadini. Ho ascoltato con grande interesse tutti gli interventi, quelli critici con interesse ancora più particolare, perché volti ad arricchire la conoscenza, la proposta, l’aggiornamento, il miglioramento della normativa, creando condizioni di gestione ancora più positive. Ho preso buone note delle indicazioni che sono emerse. Credo che con questo disegno di legge abbiamo iniziato a dare qualche risposta, certo molto parziale, e non poteva essere che così, e non potrà essere che così, credo, per lungo tempo, perché la Regione non ha poteri, non ha competenze, non ha nel suo Statuto di autonomia sfere di iniziativa in materia così delicata, così importante, così incidente nel nostro vivere quotidiano, nel nostro guardare al domani.
Non ha competenze perché tutto ciò che riguarda l’ordine pubblico è riservato in modo esclusivo ai poteri dello Stato, che li gestisce direi gelosamente, puntigliosamente, e senza molta fortuna, perché dobbiamo dare atto, purtroppo, che nonostante la dedizione, lo spirito di sacrificio, la professionalità e le molte vite umane che sono state sacrificate nell’adempimento di un dovere ingrato, polizia e carabinieri non hanno potuto stanare dalle carni sofferenti del nostro corpo sociale, forme di criminalità che erano presenti un secolo fa e sono presenti oggi, e che attentano alla salute sociale della nostra comunità, ne danno un’immagine distorta, creano situazioni di precarietà, di insicurezza, di incertezza, e quindi deprimono lo slancio creativo di chi nelle campagne con sicurezza vorrebbe operare.
Sì, noi avevamo questo marchio atroce, questa sorta di lebbra del sequestro di persona, che nella nostra comunità ogni tanto riemerge con violenza dirompente e che crea un’immagine distorta della Sardegna, che pure è amata, che pure è guardata con affetto, con simpatia, in Italia, in Europa, perché sardi ce n’è in tutta Europa. Io che oggi vivo un’esperienza eccezionale come presidente della comunità dei sardi e che spesso vado a vivere con i sardi in Germania, in Svizzera e così via nelle diverse località, a Cinisello Balsamo, in Lombardia, o nei paesi della Toscana, dove i nostri sardi si raccolgono, si organizzano nei nostri circoli, nelle nostre leghe, e riflettono sulla propria condizione e si pongono problemi non tanto dell’impossibile ritorno che diventa sempre più problematico e difficile, attesa la difficile condizione che vive oggi la Sardegna per i suoi residenti quanto di un ruolo che giustamente reclamano nell’ambito delle Regioni e dei Comuni di residenza e vogliono avere un ruolo non come popolazioni assorbite ed inghiottite nel conformismo dei paesi di emigrazione ma come sardi, io che vivo queste esperienze vi posso testimoniare che i sardi sono stimati ovunque, sono guardati con simpatia, sono tenuti nella massima considerazione. Ai loro convegni intervengono i sindaci dei Comuni più prestigiosi, intervengono le personalità del mondo sanitario, i rappresentanti del mondo industriale, del mondo sindacale, i rappresentanti di quelle comunità che hanno l’orgoglio di avere questa comunità dei sardi piena di fascino, di simpatia, di grande bellezza. È la nostra terra che viene scelta come luogo di residenza per le vacanze da popolazioni di tutta Europa. La Sardegna gode di una bella immagine, però vi è la consapevolezza che c’è qualche malattia profonda, che tende ad avvelenare l’organismo sociale di questo popolo di generosi che vivono una vita sacrificata ed umile ma piena di fervore, di dignità. Una malattia dalla quale ci dobbiamo liberare, che dobbiamo riuscire a strappare dalla nostra comunità. E non è certo colpa né dei Carabinieri né della Polizia né della Guardia di Finanza se in un secolo dall’Unità d’Italia non sono riusciti perché il problema non è solo un problema di militari: è un problema economico, è un problema sociale, è un problema di cultura, è un problema di sviluppo, è un problema dell’organizzazione della vita civile, ma è anche un problema di conoscenza profonda del nostro essere sardi, della nostra sardità, della nostra terra, del modo di esprimersi. La nostra capacità di produrre, di organizzare il nostro tempo libero, di creare prospettiva e sviluppo.
È un modo particolare, specifico, peculiare, irripetibile che non è quello dei lombardi che vivono nelle catene di montaggio, nell’attività industriale, nella piena occupazione, dell’alto reddito, della forte esportazione dei loro prodotti; né quello emiliano, la nostra realtà
è specifica, particolare, irripetibile e vissuta solo da noi e da noi solo sofferta e conosciuta ed amata.
L’autonomia, cari amici di Bolotana e di Sardegna da ovunque voi veniate, non è solo una parola vuota, scritta nei documenti, è una conquista dello spirito, è una conquista che ciascuno deve ritrovare in se stesso nella dignità del suo essere sardo, nella forza di volere essere qualcosa che crede e che diventa protagonista nella sua terrà, nel suo Comune, nella sua famiglia. Questo è autonomia, il resto è chiacchiera, il resto è un po’ di soldi in più o in meno, qualche incentivazione in più o in meno. Autonomia è prima di tutto coscienza di sé, del proprio ruolo, delle proprie responsabilità, del proprio essere operante non da subalterno, ma da protagonista.
E allora, quando si parla di barracelli, si chiamano cittadini che vivono nelle campagne, che vivono nel territorio, che vivono da quel territorio, da quelle campagne, che in quelle solitudini spendono le loro lunghe giornate a volere non solo utilizzare il territorio ma a volerlo salvaguardare, questo territorio. Parliamoci chiaro, con la forza militare si possono vincere momenti di scontro e allora tutta la professionalità, la dignità, la forza morale dei suoi operatori emerge. Però cento anni fa avevamo i sequestri di persona e li abbiamo ancora oggi, forse aggravati, così come i siciliani avevano la mafia, cento anni fa: ce l’hanno ancora oggi, aggravata. A Napoli avevano la camorra: ce l’hanno ancora oggi, sono diventati multinazionali, fatturano più della FIAT, operano a livello planetario, dal Brasile agli Stati Uniti, all’Italia, ovunque. E allora il problema è di riappropriarsi della propria terra. Noi non abbiamo, per fortuna, questa spaventosa malattia che è la criminalità organizzata, della struttura permanente, questo parassitismo sociale, incuneato dentro le strutture dello Stato e della comunità, inserito direi quasi istituzionalmente nell’insieme delle istituzioni, degli organismi, attraverso i quali passa la vita della comunità.
La nostra è una criminalità del tipo episodico. I rapporti di complicità sono del tutto occasionali, finalizzati a quel reato, ma chi ha commesso quel reato, finito quell’episodio si discioglie e chi ha la vocazione del male troverà per successive avventure altre comitive, altre compagnie, ma ben difficilmente darà vita ad un’organizzazione gerarchizzata, con ruoli specializzati e specifici quali vediamo nella ‘ndrangheta, nella mafia, nella camorra ed in altri tipi di criminalità, tant’è vero che la provincia di Nuoro ha uno degli indici più bassi di criminalità di tutta Italia. Sono reati gravi che allarmano, che suscitano orrore e ripulsa nei cittadini, ma non sono i più, non sono numerosi, il che significa che la popolazione è sana, che nella popolazione esiste una minoranza pericolosa che va isolata. Ma diciamolo francamente, si certo, io non vivo in campagna ma tutta la mia vita l’ho trascorsa nel mio lavoro, a contatto quotidiano con chi vive nelle campagne. Io l’ho trascorsa dialogando con voi, pastori, contadini, che mi hanno onorato della loro fiducia, che mi hanno affidato la loro libertà, che mi hanno onorato mandandomi in Consiglio regionale o quando sono stato in Parlamento. Non è che mi hanno eletto i finlandesi, mi hanno eletto i cittadini della nostra contrada ed io ho avuto le loro confidenze, le loro preoccupazioni, le loro ansie. Nelle campagne si è insicuri, però ciò che accade nelle campagne chi ci vive lo sa. Sa però anche un’altra cosa: che non deve sapere, che non deve vedere, che non deve sentire, (né bidu né fattu né consizadu né intesu mai), sa che se vuole sopravvivere in quelle solitudini non deve vedere, non deve sentire, non deve assistere a tragedie. Ma i millenni gli hanno insegnato che deve resistere. Ebbene, non è più possibile, questo non è più possibile, noi dobbiamo riuscire a trovare nel nostro stesso corpo sociale la forza per reagire e le compagnie barracellari non è vero che le hanno istituite un secolo fa: nel 1500 c’erano, c’erano nel 1600, nel 1700. Cocco Ortu ha raccolto un’esperienza, una tradizione, una cultura, che voleva i sardi difensori, perché i corpi di polizia spagnoli, aragonesi, o piemontesi, non è che cercassero chi sa quali protezioni. Si preoccupavano di avere la colonia sarda saldamente nelle mani del re e se ne infischiavano. Si difendevano, le popolazioni, per conto proprio.
Noi dobbiamo ritrovare questo filone e badate delle due l’una: o costituiamo un corpo di polizia sarda, ma il Governo non ce lo permette e dobbiamo essere molto chiari in proposito: il Governo non lo consente perché il corpo di polizia se lo riserva per se stesso; o dobbiamo rivolgerci ad un corpo di volontari. Ma allora non è un corpo di polizia professionale, deve poggiare sul volontariato, un volontariato che non può essere stipendiato, perché nel momento in cui lo stipendiamo diventa professionalizzato, con tanto di assunzione e di selezione, di.scelta, tant’è che noi un corpo di polizia lo stiamo già costituendo come Regione Sarda e si chiama Corpo di Vigilanza territoriale. Ed è un corpo che sarà di vigilanza territoriale e forestale, consterà di oltre 800 uomini, avrà le prerogative degli agenti di pubblica sicurezza, degli ufficiali di pubblica sicurezza, potrà circolare armato, così come gli altri corpi di polizia di Stato, ma questo sarà regionale. In tutto il resto d’Italia sarà quello dello Stato, il Corpo forestale dello Stato. In Sardegna no. In Sardegna sarà alle dipendenze della Regione Sarda. Creare un secondo corpo di polizia nel barracellato è al di fuori della realtà, non è praticabile.
Dobbiamo allora recuperare quel diffuso senso di volontariato che c’è nella società. Quando si parla di volontariato, io penso a tutte quelle associazioni della difesa dell’ambiente, prima, che l’altra vi fosse o no non vi era una grande sensibilità. Adesso c’è una grande sensibilità. Ci sono vere e proprie associazioni che vigilano su questi problemi, che diventano momento di controllo, di critica, di impulso nei confronti della pubblica amministrazione, che ci sottopongono a giuste, legittime critiche nel momento in cui siamo disimpegnati da queste cose. Girano le golette verdi che controllano l’inquinamento dei mari, che controllano il degrado delle coste. Ecco, vi è diffuso questo senso di volontariato per la difesa dell’ambiente, dei valori ambientali, della qualità della vita; come vi è tanto volontariato per la protezione civile. Vi sono organizzazioni che scattano con una generosità, con una partecipazione, con una professionalità che veramente commuove perché si sottopongono a sacrifici, a costi, a spese per poter governare mezzi, strumenti e tecnologie che nella vita privata non conoscono e che invece acquisiscono per poter aiutare gente rimasta isolata durante un’alluvione, per partecipare in qualsivoglia modo alla salvaguardia della vita di persone che corrono pericolo per effetto di calamità naturali.
Quanti sardi sono andati nelle terre devastate dai terremoti negli anni scorsi. Migliaia di sardi hanno lasciato la Sardegna per aiutare gente infelice che avevano perduto casa e beni familiari. C’è un diffuso senso di solidarismo e quindi di volontarismo. Quanta gente va silenziosamente per le case ad assistere lebbrosi. Sì, sembra una frase fatta presa dalla Bibbia e invece ci sono i lebbrosi anche in Sardegna e ci sono le persone che vanno ad assisterle, a curarle. Ci sono persone che vanno ad assistere gli handicappati, ed io, Presidente della Regione, silenziosamente, perché silenziosamente faccio queste cose, insomma, erogo dei contributi perché si comprino l’autoambulanza, perché si attrezzino, si organizzino, ce ne sono a Nuoro, ce ne sono a Cagliari, ce ne sono dappertutto in Sardegna. È un alto esempio di partecipazione alla vita degli altri, alla sofferenza degli altri, ai problemi degli altri. Non è vero che la società resta indifferente di fronte alla violenza, di fronte ai sequestri di persona. Vi è uno sdegno nella Oliena che qualcuno ha ricordato non so bene perché, un uomo è stato sequestrato, meno di sei ore dopo era stato restituito alla famiglia, ai suoi paesani che hanno seguito le tracce dei malviventi, li hanno raggiunti, non hanno sparato un colpo ma li hanno circondati e costretti a rilasciare l’ostaggio. A Bitti, qualche anno fa, è successa la stessa cosa e così in diversi altri Comuni. Voi bolotanesi siete corsi in aiuto di un ostaggio che era stato catturato e portato nelle campagne non lontano da qui. Vi è un fervore, una partecipazione, una sensibilità umana che veramente fa onore alla nostra gente. Non è vero che qui si può aggredire una persona, violentarla in mezzo alla gente, come può essere avvenuto a Roma, a Montesacro o altrove. In Sardegna è inconcepibile un fatto di questo genere perché vi è una comunità che sente questi legami profondi, ne sente tutto il valore morale ed io ne sono orgoglioso in veste di Presidente di un popolo che è depositario di una forma così primigenia e di sentimenti che hanno questa forza. Ecco perché io credo che il rifiorire spontaneo delle compagnie barracellari sia un bisogno delle popolazioni di restituire sicurezza al mondo delle campagne, a un mondo delle campagne che si stava desertificando, che si stava disimpegnando perché le compagnie barracellari erano finite o sembravano finite, perché sembrava finita la vita nelle campagne, perché il mito dell’industrializzazione, dei poli di sviluppo aveva creato un abbandono progressivo delle nostre campagne e tanti pastori lasciavano il gregge, tanti contadini lasciavano il campo per andare ad affollare la città nella speranza di trovare un posto sicuro, nella speranza di trovare lo stipendio, nella speranza di trovare certezze meno precarie e meno sacrificate e meno insicure che nella campagna. Ma oggi tutto questo sta finendo, vi è un ritorno ai valori della campagna. Sono i nuclei di emigrati quando possono ritornare che danno vita a cooperative che vengono incoraggiate, sostenute, finanziate. Noi l’anno scorso, nell’87, abbiamo registrato un incremento della produzione agricola pari al 30% della produzione registrata nel 1986. C’è stato un aumento del 30%. Il 30% significa centinaia e centinaia di miliardi. Posso dirvi addirittura di quanto abbiamo aumentato l’esportazione del vino in bottiglia: 8 milioni di bottiglie in più, abbiamo venduto nel 1987 rispetto al 1986, cioè vi è un crescere del valore aggiunto nell’agricoltura e si stanno riducendo le importazioni, cioè sta migliorando l’indebitamento sardo, cioè il sistema economico sardo sta riducendo l’indebitamento e migliorando il suo rapporto di credito nell’export-import. Vi è la capacità di un popolo di creare consumi inferiori alle produzioni perché così si crea ricchezza, si crea accumulazione di capitale, si creano investimenti, si creano posti di lavoro, si crea prospettiva.
Ma il punto di forza di questa ripresa è il mondo delle campagne. Ecco perché oggi vi è un rifiorire del bisogno delle compagnie barracellari, perché stanno crescendo nuovamente gli interessi nell’agricoltura, nell’allevamento del bestiame. Certo, i pastori sono forse diminuiti. Ma il bestiame è aumentato, ma soprattutto è aumentata in termini straordinari la produzione lattiero-casearia e si sta diversificando. Sino a qualche anno fa il 70% della produzione era rappresentata dal pecorino romano. Oggi non raggiunge il 50%, il pecorino romano, perché si sta diversificando con i formaggi molli, con i formaggi di rapido consumo a capitale quindi che gira più rapidamente, che compensa più tempestivamente il lavoro, il sacrificio e le attese dell’allevatore e stiamo aprendo mercati nuovi alla nostra produzione. Certo, abbiamo bisogno di mettere insieme tutte le opportunità: dalla Comunità Economica Europea, lo Stato, la Regione. Ma abbiamo bisogno soprattutto di farci i conti noi anziché polverizzare le nostre produzioni, cercare di aggregarle per risparmiare, per creare prodotti standardizzati, prodotti che il mercato acquisti, mettendoci in testa che non dobbiamo produrre le cose che sappiamo produrre, ma le cose che la gente compra. Dobbiamo produrre per il mercato, per un mercato internazionale. Oggi noi siamo legati ad un insieme di fattori che prima ignoravamo, che sembrava non esistessero, invece esistevano e ci condizionavano. Ma oggi ci condizionano nel giro di ore, perché (un esempio che porto spesso) se stamane alle dieci il prezzo del dollaro fosse crollato alla borsa di New York, molti pastori in Sardegna avrebbero visto le loro cantine di formaggio deprezzarsi perché il nostro formaggio vale tutto nell’area del dollaro e se perde valore il dollaro perde di valore il formaggio. Quello che accade a New York la mattina alle nove ha importanza due ore dopo a Bolotana come a Ortueri. Ecco perché dobbiamo essere cittadini di un più vasto mondo, partecipi dei grandi temi e problemi, aggregare le forze, mettere insieme tutte le energie. Non si vive più in solitudine; dobbiamo vivere in un rapporto di collaborazione strettissima se vogliamo creare prospettiva reale alla nostra gente. E questo la Regione lo va facendo, e l’orientamento per tutti gli incentivi, per il sostegno è in questa direzione, ma in questa direzione e anche verso la sicurezza abbiamo fatto quello che potevamo fare in questo momento.
Certo che è perfettibile anche questa legge ma il pensare come qualcuno diceva: ma se mi capita una disgrazia mentre sto assolvendo al mio compito di barracello? Se cado, mi fratturo una gamba mentre sto inseguendo un ladro di bestiame, che cosa succede? Alla mia famiglia chi provvede? Ma provvede la società di assicurazione, perché la Regione ai sensi dell’art. 28 sopporta gli oneri per l’assicurazione dei componenti delle compagnie barracellari contro gli infortuni subiti nell’esercizio delle funzioni barracellari. È la legge che lo dice, così come i contributi che vengono concessi. La Regione non è che va a dire: questo lo puoi comprare e questo non lo puoi comprare. Dice: questo è l’equipaggiamento. Ma nell’equipaggiamento non possiamo mica dire: la radio ricetrasmittente che qualcuno necessariamente reclamava perché la compagnia barracellare è in giro e non può chiedere un aiuto o ai Carabinieri con i quali può tenersi in contatto o al suo comando o all’ufficio del Sindaco col quale si può tenere in rapporto continuo, ci deve essere un punto di ascolto che deve garantire a questa compagnia barracellare che non è sola, per cui se c’è un momento di allarme, la pattuglia che è in giro può comunicare: ho avvistato questo, mi trovo in questa zona, in questo punto, fate convergere forze di polizia. E da quel momento la compagnia barracellare può seguire con prudenza, con calma, senza esporsi, lo sviluppo della situazione e facendo affluire le forze di polizia opera con tutte le energie possibili e disponibili.
Noi non stiamo chiudendoci, isolandoci ma stiamo entrando per esaltare tutte le energie, tutte le forze, e nessuno meglio della compagnia barracellare conosce il territorio, conosce i passaggi, conosce i punti obbligati, conosce le provenienze, conosce le direzioni di tutte le destinazioni. Una compagnia barracellare che sia composta di pastori, non di disoccupati, cari amici, a ciascuno il suo mestiere perché se il barbiere è disoccupato non è che si improvvisa un’esperienza nel mondo delle campagne.
Chi lo ricordava, questo? Qualcuno mi ha preceduto. Il mondo delle campagne è governato da chi vive nelle campagne, da chi dalle campagne trae la sussistenza, da chi nelle campagne conosce ogni pietra e se la trova spostata capisce perché è stata spostata, da chi è stata spostata. Questo è il rapporto. Le risorse; trenta milioni. Certo non sono grandi cose, ma la compagnia barracellare si può comprare un camioncino, si può comprare coi soldi che le dà la Regione, la campagnola, si può comprare il mezzo antincendio. Si organizza secondo le sue vocazioni professionali. Ma la compagnia barracellare, Sindaco di Bolotana, io che tanto apprezzo questa sua, vostra iniziativa, nel dare vita a questo convegno, e che tanto ho apprezzato le molte e interessanti cose che Ella ha detto, mi consenta di dissentire, almeno in parte, sulla preoccupazione che ampliare i compiti della compagnia barracellare rischi di disperderne le capacità operative. Io ritengo che invece dobbiamo ampliare questi spazi, perché chi meglio della compagnia barracellare può ipoteticamente tutelare il territorio dal pericolo degli incendi? Quando ero assessore alla difesa degli incendi, avevo stanziato delle somme a favore delle compagnie barracellari perché si adoperassero insieme alla squadra antincendi e ai forestali, insieme ai vigili del fuoco, insieme ai militari, perché anche i militari hanno partecipato, partecipano, a queste battaglie, la polizia locale. I militari, tanto per spiegarsi con un esempio, hanno perduto tre componenti dell’Esercito in quel di Tempio a Valicciola perché è caduto un elicottero con un Tenente, un Maresciallo ed un giovane sottufficiale che non ricordo come si chiamasse e di dove fosse e altri tre li hanno perduti sulle colline di Laconi. Vi è quindi un concorrere di energie in tutto questo. Ma prima di tutto ci devono essere le popolazioni del posto, non possono venire dal Continente i militari a sacrificare la loro vita per la difesa dei nostri territori. Non può venire il forestale da Cagliari o da Samugheo per difendere i boschi di Bolotana, questi bellissimi boschi di Bolotana, che costituiscono un patrimonio non solo della Regione, non solo del paese, ma del Mediterraneo, ed essere assenti i bolotanesi. I bolotanesi sono i protagonisti primi (e lo dico per Bolotana, lo dico per Oliena, lo dico per Arzana, lo dico per tutti i paesi della nostra terra). Ecco quindi il ruolo del volontariato, ecco quindi l’ampliarsi dei compiti, ma se nella difesa del territorio, nella salvaguardia dei valori ambientali del territorio si va, per esempio, nella vigilanza perché non si creino immondezzai (sos muntonarjos) quelli che con espressione colta si dice le discariche abusive dei rifiuti solidi urbani e che però sono sos muntonarjos che abbiamo conosciuto da bambini, ecco, se i barracelli che battono la campagna quotidianamente, non sempre tutti insieme, ma alternandosi evidentemente, fanno queste segnalazioni e il Sindaco, perché è un atto tipico di polizia locale, il sindaco non può che apprezzare tutto questo.
Evidentemente ci sono delle forme di compensazione, delle forme di premio, delle forme di riconoscimento sulle quali possiamo tornare, possiamo approfondire, possiamo studiare tutte le ipotesi. Ma è l’impostazione, è l’ossatura della legge che noi dobbiamo cogliere, è questa riconquista che noi stiamo facendo di un nostro ruolo nel nostro territorio e prima di tutto in sede comunale. Ma questo non significa che la compagnia si chiuda nell’ambito del Comune. Lo diceva, lo rilevava il rappresentante della compagnia barracellare di Fonni. Diceva: ma se io vado in un Comune vicino perché il mio bestiame lo portano ad Orgosolo (questa querimonia tra Fonni e Orgosolo ormai appartiene ai secoli), gli abigeatari di Orgosolo, ma il Sindaco del Comune di Orgosolo credo che sia amico del Sindaco del Comune di Fonni, e anche il Sindaco di Oliena qualche volta ha dovuto discutere col Sindaco del Comune di Orgosolo, credo che ancora stiamo discutendo dei confini tra i due Comuni credo da un secolo. Però, possono litigare sì, i pastori dell’uno e dell’altro Comune, ma non litigano sino al punto da non farsi male, se possono spostare il loro bestiame di cento metri in qua o in là magari lo fanno, ma proprio roba da scontro non ce n’è. Però effettivamente che il bestiame si sposti un po’ più in là sino a non lasciare più traccia qualche volta capita e bisogna poterlo inseguire camminando dietro le tracce, come si usava dire. Allora dice, noi non possiamo penetrare armati, no. Ci si parla tra amministratori comunali, si discute e si dice: attenzione tra il nostro Comune e il vostro Comune c’è uno scambio di bestiame rubato, dobbiamo trovare il modo di intenderci ed ecco qui, qualora gli addetti ai servizi di vigilanza, al fine di una migliore organizzazione di particolari compiti connessi all’attività barracellare e per l’effettuazione di interventi che interessino compiutamente il territorio e la popolazione di più Comuni possono essere costituite tra questi, volontariamente, cioè tra i Sindaci, tra i consigli comunali, apposite forme d’intesa da realizzarsi con convenzione deliberata dai Consigli comunali interessati, sentito il parere dei comandanti delle compagnie barracellari. Perché i due Sindaci non possono mettersi d’accordo senza che siano d’accordo anche le compagnie barracellari.
Ebbene, se questo accordo viene raggiunto, il numero due dell’art. 10 dice: Qualora gli addetti al servizio barracellare operino sulla base delle intese di cui sopra, nel territorio del Comune diverso da quello di appartenenza, sono responsabili davanti al Sindaco del Comune nel quale operano, il che significa che è possibile passare i confini del proprio Comune e senza bisogno di passaporto. L’importante è che le amministrazioni dei due Comuni cogliendo le linee di tendenza dello svilupparsi dell’azione criminosa ne individuino, diremo così, il passaggio obbligato e dicano: be oh! mettiamoci d’accordo, perché operando insieme riusciamo a bloccare il fenomeno.
Cari amici, voi avete dato vita ad un convegno interessante, un convegno importante. Questa legge io l’ho firmata ieri sera, l’ho promulgata come Presidente della Regione Sarda e decorsi i quindici giorni della vacatio legis, dicono così gli avvocati, cioè quel periodo intercorrente tra la pubblicazione e l’entrata in vigore, decorsi questi giorni, la legge diventa immediatamente operante e immediatamente operanti sono gli stanziamenti previsti. Ci attende un periodo di lavorò, di impegno che io sono convinto sarà fervido, sarà fecondo e sarà realizzato con la partecipazione di tutti, nell’interesse di tutti.