Intervento sui trasporti – Senato della Repubblica – 1977

II giudizio critico che, quale rappresentante del Partito Sardo d’Azione e del gruppo senatoriale della sinistra indipendente, ritengo di dover manifestare sulla relazione, per tanti versi così pregevole e ricca di indicazioni, del prof. Stagni, attiene alla sua impostazione di fondo.
Lo spirito che ne informa la logica delle motivazioni sembra infatti assumere lo sviluppo economico quale momento determinante le scelte politiche dell’organizzazione dei trasporti.
Noi assumiamo, per contro, essere la politica del trasporto il momento essenziale e determinante dello sviluppo. Ove la conferenza riaffermasse la validità della prima ipotesi la scelta meridionalista resterebbe ancora una volta mera affermazione formale, destinata ad esaurirsi nell’enunciazione di principi, ridotta a sterile rito, insuscettibile di ribaltare i meccanismi perversi, attraverso i quali il paese è ancor oggi ben lontano dal realizzare la sua unità economica, culturale e. civile e quindi politica.
In fondo le osservazioni critiche della relazione introduttiva appaiono finalizzate a ridare coerente efficienza all’esistente, senza che si intravedano reali indicazioni innovative, tese a ribaltare le linee di tendenza per volgersi finalmente, con spirito e volontà nuovi, verso le aree interne del sottosviluppo meridionale ed insulare, da sempre costrette ad un ruolo subalterno e di constante emarginazione.
Il ricorso a leggi speciali, a piani straordinari, quali quelli che hanno interessato la Calabria e la Sardegna, sono ben lungi dal colmare il profondo divario esistente con i ritmi di crescita dei grandi agglomerati industriali del nord Italia, ove non si sviluppi contestualmente una coordinata articolazione di azioni propulsive, capace di mobilitare le energie presenti in tutta l’area meridionale.
Noi denunciamo anche in questa sede il ripetersi di questo pericolo; respingiamo con estrema fermezza una politica dei trasporti che nel mezzogiorno e nelle isole si è sviluppata secondo logiche tese non già a favorirne 1’integrazione con le altre regioni del paese, ma piuttosto a soddisfare l’esigenza di approvvigionamento di materie prime di queste ultime; dalle produzioni agricole o minerarie, a quelle umane.
Una politica dei trasporti che è stata quindi nei fatti non già fonte di crescita e di sviluppo, ma strumento e veicolo di colonizzazione; e di rapina, innescando il meccanismo nefasto, in virtù del quale lo sviluppo di livello europeo di certe aree ha generato il sotto sviluppo da terzo mondo delle altre.
Certo, ho ascoltato con estremo interesse gli interventi degli on.li Libertini, Tanga, Peggio, del rappresentante delle confederazioni sindacali Benvenuto e di altri, che, pur da angolazioni diverse, hanno colto in tutta la sua ampiezza la gravità del problema.
Voglio però esprimere la certezza, più che l’auspicio, che l’onorevole ministro, che conosco così sensibile ed aperto a questi temi, voglia assumere la sfida storica del riequilibrio territoriale tra le grandi aree territoriali dei nostro paese, contribuendo così in modo decisivo a quel processo di unificazione nazionale, che ancor oggi attende la sua definizione.
Questo non sarà di per sé sufficiente,ove non si superi la frammentazione delle competenze variamente influenti e condizionanti la politica del trasporto. Mi limiterò a ricordare in propositi un solo esempio:  il nostre paese, povero di materie prime, e perciò costretto a sviluppare in sommo grado l’industria di trasformazione, affida al trasporto marittimo il 90% delle importazioni delle materie prime di cui ha necessità ed al 60% delle esportazioni.
A governare l’organizzazione di questo essenziale vettore del trasporto non è però il ministro dei trasporti, ma quello della marine mercantile. Ma le possibilità operative di questo sono però condizionate a sua volta dalle scelte di politica portuale, affidate alla responsabilità del ministro dei lavori pubblici. Ogni ministero valuta le priorità secondo logiche che si esauriscono all’interno dei rispettivi bilanci, per cui la frammentazione delle competenze, emarginando il ministro dei trasporti da settori così vitali ed emergenti  dell’intero sistema del trasporto integrato, determina sfasature, scollamenti, contraddizioni di gravità estrema.
A pagarne le conseguenze negative è l’economia italiana nel suo complesso, ma, in modo particolare, per le ragioni già dette, il Mezzogiorno e le isole.
Un esempio emblematico è costituito dalla Sardegna. Certo, stando alla relazione del prof. Stagni, così non sembrerebbe, per il semplice motivo che nelle righe della sua pur lunga ed analitica relazione la Sardegna non esiste, non solo perché non se fa il nome, ma perché non se ne coglie la peculiare specificità dei problemi, che fanno di questo lembo del territorio nazionale un fatto unico, diverso ed irripetibile, che non trova riscontro in nessun altra regione italiana, neppure con la Sicilia.
Ebbene, l’isola è nella politica del trasporto al di sotto dei livelli di sopravvivenza. I suoi porti, che pure costituiscono l’infrastruttura essenziale per attivare il processo di integrazione economica con il resto del paese, con i paesi rivieraschi del bacino del Mediterraneo, con l’Europa, data l’impossibilità oggettiva di far ricorso a soluzioni alternative, quali autostrade, o ferrovie, sono da anni abbandonati, direi più propriamente ignorati dal Ministero dei Lavori Pubblici.
Il porto di Cagliari attende da molti anni che vengano ricostruite le banchine distrutte da una rovinosa mareggiata;  Olbia, che pure registra un traffico passeggeri che è secondo in Italia solo al porto di Civitavecchia, non è in grado di ricevere tre navi contemporaneamente; Arbatax è costretta a scacciare dalle banchine di attracco la pur modesta flotta dei suoi pescherecci, tradizionale fonte di occupazione e di reddito della popolazione locale, per far posto alle navi mercantili che vi approdano per rifornire di materie prime due industrie che sono ivi insediate.
In tutta 1’isola non esiste una sola stazione marittima per accogliere i circa 2 milioni di passeggeri, che annualmente affollano le banchine dei porti in attesa di imbarco, o delle coincidenze per proseguire il viaggio all’interno dell’isola.
I fondali dei porti sono fra i più bassi d’Italia, per cui il trasporto delle merci avviene con navi di modesto tonnellaggio, costringendo gli operatori economici ad effettuare le esportazioni, come le importazioni, in piccole partite, con un evidente quanto gravoso aggravio di spesa.
I raccordi viari e ferroviari interni all’isola sono insufficienti e finalizzati ad esaltare lo sviluppo per poli, anziché investire il territorio nella sua globalità.
Intere plaghe che gravitano sulla costa sud-centro orientale dell’isola sono scollegate dal restante territorio ed attendono da sempre che il potere pubblico le recuperi al consorzio umano, consentendone lo sviluppo di cui sono potenzialmente capaci.
La rete ferroviaria in particolare testimonia l’immobilismo secolare cui la Sardegna è stata condannata, ridotta com’è ad un solo binario, di cui neppure un metro è elettrificato, con tempi di percorrenza che non superano mai i 50 Km orari.
Ecco, on.le ministro, cosa intendo quando denunzio il pericolo che si potenzi solo l’esistente e non ci si proponga invece di affrontare, con criteri nuovi, coraggiosi e moderni, una politica dei trasporti capace di suscitare tutte le energie produttive e creative presenti nel nostro paese. Le contraddizioni della politica fin qui seguita trovano ancora una volta nella Sardegna il suo esempio più clamoroso, il parlamento ed il governo riconoscendo il debito storico del paese verso l’isola dei sardi, ha elaborato un piano di rinascita che prevede lo stanziamento di fondi che, sebbene insufficienti, costituiscono pur sempre uno sforzo significativo della comunità nazionale:  600 miliardi da investire in 12 anni.
Ma le diseconomie pagate dalla Sardegna per  effetto della dura penalizzazione ad essa inflitta dalla politica dei trasporti, nello stesso arco di tempo, fra maggiori costi ed effetti disincentivanti degli investimenti produttivi, supera di gran lunga i 1.000 miliardi, con una media annuale superiore ai 100.
Contraddizioni queste di cui la conferenza dovrà farsi carico, proponendo scelte, elaborando orientamenti,
formulando indicazioni che, nel quadro del bilancio del Mezzogiorno, individui nella Sardegna quel momento di incontro e smistamento delle correnti di traffico mediterrane e ed oceaniche, che la sua collocazione geografica baricentrica fra l’EuroPa industrializzata e i paesi in via di sviluppo della vicina Africa, la chiamano a svolgere.
Passeremo così da un’economia assistita ai limiti della sopravvivenza – come dicevo – ormai intollerabile,
rifiutata dalla grande maggioranza dei sardi, ad assolvere ad un ruolo propulsivo e promozionale dello sviluppo nazionale, divenendone un punto di forza e non di debolezza.
Politica dei porti dunque, di collegamenti marittimi, con tariffe che restituiscano ai sardi la parità di diritti con tutti gli altri cittadini dello stato, elettrificazione e rettifica degli antiquati percorsi ferroviari, completamento della rete autostradale, che rompa i millenari silenzi di intere aree territoriali, ove operano e sacrificano popolazioni che hanno dato, in dignità e sacrificio, il loro sostanziale contributo alla crescita economica e civile del paese.