Camera dei Deputati – IX LEGISLATURA – DISCUSSIONI – Seduta del 12 Agosto 1983
Presidente – Ha chiesto di parlare per dichiarazione di voto l’onorevole Melis. Ne ha facoltà.
Mario Melis – Signor Presidente, colleghi, signor rappresentante del Governo, le perplessità e le riserve che hanno accompagnato le diverse fasi della trattativa della formazione di questo Governo sono diventate per il Partito Sardo d’Azione motivo di grave e preoccupata sfiducia.
Nessuno degli interrogativi che da parte nostra sono stati posti al Governo ha trovato risposta. Sembrerebbe, così, diventare operativa la minaccia di smobilitazione generalizzata dell’industria pubblica in Sardegna. Verrà abbandonato, per il silenzio del Presidente del Consiglio ai nostri interrogativi su questo punto, l’intero settore estrattivo dal carbone al piombo zinco, così come appare segnata, sembrerebbe, la sorte della chimica di base, oltre che quella della metallurgia e delle fibre; anche la cartiera di Arbatax, che pur garantisce per intero la carta da giornale che si consuma in Italia rischia la chiusura: una tale scelta oltre che danneggiare in modo estremamente grave la già fragile e precaria struttura dell’economia isolana, determinando sconvolgenti processi di disgregazione sociale, in vaste aree del suo territorio, costituisce senza alcun dubbio un imperdonabile errore di politica industriale.
I motivi sono evidenti: le miniere costituiscono infatti l’unica riserva strategica, sia sul piano energetico che produttivo, capace di garantire all’Italia un margine di indipendenza dal vincolo esterno, riducendo nel contempo il pesante squilibrio della bilancia commerciale e quindi l’indebitamento nei confronti delle economie più forti, in una fase congiunturale contrassegnata dalla tumultuosa e crescente ascesa del dollaro che, falcidiando le riserve finanziarie, accelera ed esalta il processo inflattivo.
Più corretto appare invece, anzi direi necessario, ammodernare, sviluppandone le tecnologie, l’apparato estrattivo riducendo così non solo l’indebitamento ma ampliando la base produttiva, creando nuovi e qualificati posti di lavoro, e mantenendo, nel contempo, una riserva strategica che sul piano energetico, come su quello delle materie prime è suscettibile di ampliare gli spazi di indipendenza e quindi di libertà del nostro paese.
D’altra parte, abbandonare il processo estrattivo significherebbe cancellare, dopo duemila e più anni di storia, arbitrariamente le programmate verticalizzazioni industriali sulle quali si fondava il processo di sviluppo dell’intera area del Sulcis Iglesiente e di tutto l’hinterland che per un verso lo vivifica e per l’altro ne dipende.
Né appare accettabile il programma di liquidazione del complesso industriale della chimica di base e delle fibre, realizzato con grande impegno e profusione finanziaria pubblica sia da parte dei privati che dello Stato stesso — apparato che ancora oggi è tra i più moderni del mondo — con motivazioni del tutto improponibili. Le produzioni che si realizzano negli impianti sardi sono ancora oggi largamente richieste sul mercato e l’Italia stessa ne esporta in grande misura all’estero; le produzioni, per altro, continueranno in impianti esterni alla Sardegna ed in aree territoriali ove per l’esistenza di un vasto e articolato tessuto industriale le occupazioni alternative, a differenza di quanto accade in Sardegna, sono solo possibili ma un fatto del tutto normale.
Sulla base di quali criteri si è deciso di cancellare la nostra isola da qualsivoglia prospettiva di progresso respingendola indietro nella storia è facile da capire; noi sardisti lo abbiamo denunziato con grande fermezza ed oggi che la fiducia crescente dei sardi ce ne dà la possibilità lo ripetiamo in quest’aula: il Governo segue la logica dei più forti scaricando sui deboli, o quelli che ritiene tali, gli effetti più nefasti della crisi.
Ma nessuno si illuda: non accetteremo questa nuova, insinuante, subdola forma di moderno civile genocidio; la Sardegna ha già pagato alla diaspora l’amaro costo sociale di 500 mila emigrati ed oggi di circa 120 mila disoccupati, né il Governo, così come le aziende di Stato, ha formulato alcuna ipotesi o proposta alternativa alla situazione esistente. Nessuno si illuda, ripeto: sulla testa dei sardi non potranno compiersi operazioni di questa gravità. La mobilitazione popolare sarà tanto più vasta e partecipata, vibrante e fervida quanto più grave e tremenda è la minaccia alla sua sopravvivenza. In piena coerenza, per altro, con queste premesse restano senza risposta gli interrogativi sulle servitù militari, sempre più dilaganti ed espropriative in larga parte del territorio isolano; sulle esigenze di rinnovare profondamente il sistema dei trasporti interni ed esterni all’isola, che oggi per costo, tecnologia, velocità commerciale, quantità e qualità si traduce in una sostanziale estromissione dei sardi dal territorio dello Stato.
Ci chiami popolo o nazione, ci chiami pure italiani, ma ci respinge dal seno della comunità nazionale e a questo l’onorevole Presidente del Consiglio non ha saputo, né voluto dare risposta in nome di un patriottismo ispirato ai criteri di una teorica alla quale ormai non crede più nessuno e non capisco come il Parlamento non abbia saputo trovare un momento di reazione a questa ulteriore offesa alla dignità di un intero popolo che non si cancella con un provvedimento governativo. È il popolo sardo che chiede dignità e rispetto!
Parlavo di un sistema di trasporto che ci estromette dal territorio dello Stato e che ci chiama a pagare per entrarvi un pesante pedaggio e nello stesso momento pone fuori mercato la nostra economia, offende e vulnera il principio stesso della dignità civile dell’intero popolo sardo.
Né si intendono arrestare i fenomeni sempre più diffusi della criminalità indotta attraverso l’importazione in massa nelle carceri sarde di mafiosi e camorristi, terroristi rossi e neri, capaci di diffondere attraverso i canali più disparati e malefici la lebbra della loro alta capacità di offendere, per sconvolgere i principi più elementari e comunemente accettati di convivenza civile.
Generico, ambiguo e, tutto sommato, negativo appare il riferimento al nuovo momento costituzionale che dovrebbe garantire ai sardi un confronto aperto e leale con il Governo per garantire al potere autonomistico quegli spazi decisionali attraverso i quali governare in libertà e democrazia lo sviluppo economico e la crescita civile del nostro popolo.
Dal primo Presidente socialista, pur senza illusioni, ci attendevamo di più! Tutto sommato questo è un centrosinistra che va verso destra e non avrà il nostro voto (Applausi dei deputati di democrazia proletaria).