Ricordo di Francesco Murgia e Onorato Zizi
Due personalità profondamente diverse per formazione culturale, ambiente familiare ed esperienza di vita eppure accomunati da fattori esistenziali radicati in una realtà umana, sociale ed etica che vivevano, amavano ed interpretavano da protagonisti.
Francesco Murgia proveniva da una famiglia di intellettuali ed aveva consuetudine di rapporti, sin dall’infanzia olzaese, con amici affascinati dall’arte quali Carmelo Floris e Mario Delitala.
Onorato Zizi proveniva da una famiglia di pastori ed aveva di quell’ambiente acquisito valori ed empiti formando il suo spirito nel calore di rapporti umani vigorosi per asprezze e solidarietà nel corso di un’infanzia sicuramente studiosa sotto la guida di uno zio maestro, ma altresì aperta ed esposta al libero disfrenarsi del gioco paesano fra prove d’ardimento quali l’arrampicata sugli alberi, o nelle dirupate rocciaie fra i possenti contrafforti che dominando Orune e si affacciano su orizzonti vasti e lontani che si perdono negli azzurri cangianti del mare.
I loro balocchi, oltre il cavallo di canna ed il carro a buoi di ferula, erano i sassi usati come proiettili per colpire un qualsivoglia bersaglio o magari un uccello in volo.
II traguardo della professione forense è stato per Francesco Murgia il naturale approdo degli studi classici condotti a termine, per quanto mi risulta, senza particolari difficoltà od intoppi, mentre per Zizi il cammino fu più lungo e faticoso avendo prima conseguito il diploma magistrale per l’insegnamento elementare e, solo da adulto e mentre lavorava, ha affrontato, da privatista, il più impegnativo corso liceale e quindi quello universitario.
Data la differenza di età, allo scoppio dell’ultima guerra, Francesco Murgia, già avvocato, fu richiamato alle armi nel corpo dei carabinieri prestando il suo servizio in Sardegna, mentre Onorato Zizi ancora ragazzo, fervente assertore di sentimenti patriottici, si arruolò volontario ed ebbe sicuramente una, sia pur breve, esperienza di guerra in Africa.
Conoscevo entrambi da ragazzo: Murgia per l’amicizia esistente fra le nostre famiglie, Zizi in virtù della comune frequenza nelle organizzazioni giovanili del partito fascista nelle quali emergeva per attivismo ed entusiasmo conseguendo riconoscimenti e gradi che esercitava con profonda convinzione e personale rigore.
Avevamo amicizie diverse e non ci frequentavamo.
Murgia, per quanto ne so, sinché esercitò la professione, durante il fascismo (salvo una breve parentesi iniziale), fu lontano dalla politica e, nello stesso periodo, fra gli anni ’30 e ’40, non fu neppure iscritto al partito di governo subendo perciò non pochi fastidi.
La vera conoscenza di entrambi la ebbi sin dagli inizi della mia attività professionale quando Murgia era già un noto e stimato professionista e Zizi iniziava.
Ricordo ancora il suo estemporaneo esordio quale pubblico ministero in Pretura. Cominciò dicendo: “In questa Sardegna ferrigna…” Rimasi perplesso non riuscendo a capire se l’approccio lessicale avesse origine in una sorta di enfasi parolaia, o nella consapevole e sofferta interpretazione dell’ambiente umano e territoriale all’origine dell’episodio in discussione. Non tardai a rendermi conto che lui stesso s’identificava nella “Sardegna ferrigna”.
Pur esprimendosi in forme e comportamenti fra loro profondamente diversi erano entrambi dotati di una naturale cordialità che consentiva rapporti umani aperti al dialogo ricco e libero da rigori formali, vivacizzato da venature ironiche che non di rado si illuminavano di sortite umoristiche anche se in Murgia non era infrequente l’ombra simpaticamente maliziosa dello scetticismo.
Professionalmente parlando mentre Murgia, che io sappia, aveva scelto esclusivamente il campo penale, Onorato Zizi, pur essendo anch’egli prevalentemente un penalista, non abbandonò mai del tutto l’impegno esercitato sin dagli inizi nel campo civile, ed episodicamente del tributario ed amministrativo.
Studiosi del fascicolo processuale con un rigore di analisi cui non sfuggiva alcun particolare rilevante ai fini del giudizio (dall’incoerenza più sfumata alla contraddizione meno appariscente) non mancavano di approfondire le implicazioni giuridiche di diritto sostanziale e processuale con significativi ed approfonditi riferimenti alla letteratura giuridica ed alla faticosa ricerca, nei ponderosi repertori annualmente pubblicati dalle case editrici, dei precedenti giurisprudenziali.
Ma il valore che faceva rifulgere l’oratoria di Francesco Murgia e Onorato Zizi ed avvinceva (coinvolgendo, emozionando e, spesso, convincendo) giudici ed ascoltatori, era l’interpretazione del fatto, l’umanità che emergeva dagli atti processuali e le sofferenze ora tumultuose, ora pietrificate nell’animo di protagonisti in silente e magari lunghissima attesa di poter esercitare una vendetta.
Il dramma processuale veniva da loro rivissuto sulla base degli atti e sui comportamenti descritti nei verbali di causa.
Riflettendo sulle “sudate carte” riuscivano a dare sentimenti, valori etici, sofferenza e speranze, traguardi gioiosi, o pesanti ombre ai protagonisti di cui assumevano la difesa o l’accusa; figure che spesso avevano ben poco in comune con il loro difeso: imputato o parte lesa.
Insomma davano vita a personaggi credibili per i quali chiedevano la giustizia del magistrato.
Nulla vi era di artificioso in questa loro creatività che si realizzava nella più rigorosa onestà intellettuale perché fondata esclusivamente sugli atti professionali.
Nelle loro arringhe palpitava il cuore di una Sardegna che conoscevano ed amavano; la sapevano prigioniera di una dolorosa contraddizione costretta com’era a vivere l’arretratezza di un mondo pastorale che, uscito dai nuraghi era entrata nelle pinnette, vittima di una staticità involutiva che condannava i cittadini al diffuso analfabetismo in un quadro di sottosviluppo emarginante e per tanti versi subalterno.
Capivano ed amavano pastori e contadini che vivevano e soffrivano una condizione di arretratezza che mal si conciliava con le dinamiche economiche impresse dallo Stato attraverso una legislazione elaborata sulla misura di interessi, sviluppo ed organizzazione sociale delle regioni più ricche del Paese.
Una legislazione feconda per il Nord ma che in Sardegna sconvolgeva usi, costumi, tradizioni e valori etici, coerenti all’economia curtense e del baratto, prevalenti nelle stragrande maggioranza dei paesi agricoli sardi con modeste e contraddittorie eccezioni in città come Cagliari e Sassari.
Certo nello svolgere le loro arringhe erano profondamente diversi.
Naturalmente elegante nel porgere il suo argomentare Francesco Murgia aveva la magia di aprire inaspettati orizzonti cui spesso dava ali al suo librarsi, nell’atmosfera assorta e spesso cupa dall’aula giudiziaria, una citazione letteraria, il richiamo ad un affresco evocante la forza immateriale della suggestione, l’esaltante crescendo di una sinfonia Beethoveniana, ragionamento che ora diventava afflato affabulante, suasivo e disarmato, ora passionale e grintosamente accusatore.
Ricordo Francesco Murgia durante un processo di omicidio a Lanusei mentre con toni sommessi seguiva il protagonista nel tormento di una decisione criminosa che andava maturando; richiamandosi a ShaKespeare ricordò l’ammonimento a Macbeth “non uccidere il sonno”.
Ecco un comune delitto di omicidio ogliastrino da episodio locale divenire momento universale di umana inquietudine che può esplodere nel delitto più efferato o chiudersi nell’amarezza di una rinunzia che diventa soggettivamente sconfitta o crisi esaltante di ravvedimento.
Zizi, che pure era uomo di buone letture, argomentava con forza, tanta passionale quanto incandescente, non concedendo nulla all’evasione fantastica; incalzava l’ascoltatore come un torrente impetuoso nel quale gli argomenti acquistavano bagliori di luce e suggestione d’ombre. Le sue arringhe avevano la forza ed il fascino delle antiche tragedie nelle quali i protagonisti erano in piena luce, mentre sullo sfondo si avvertiva il coro doloroso composto da familiari, amici, paesani e figure minori del processo.
In fondo entrambi non facevano che rivivere una realtà di cui erano essi stessi palpito, sofferenza ed amore.
Una Sardegna che avevano nelle carni che vivevano evocandone lo spirito indomito, le solidarietà scellerate, le turpitudini di un’arretratezza più storica che colpevole, esaltando una coscienza socratica del bene radicato sulla conoscenza e del male figlio di ignoranza.
Sento il dovere di chiarire quanto l’onda emotiva che trasfigurava l’oratoria forense di Francesco Murgia e Onorato Zizi non era mai prigioniera dell’occasionale episodio criminoso ma aveva il respiro vibrante di passioni, fragilità ed empiti, solidarietà ed egoismi, paure ed ardimenti che pur maturati nella solitudine di una sardità unica ed irripetibile li elevava a soggetti di universale umanità.
Né il loro rivivere l’aspro evolversi dell’iter criminoso conosceva la vuota enfasi della retorica; pur diversi nella forma mai povera e scabra erano entrambi essenziali, efficaci e convincenti.
Li conoscevamo – ma a Nuoro non v’era che la difficoltà della scelta – come avversari difficili, non solo perché bravi, ma per la vis polemica che li rendeva, sia pure con stile e forme loro proprie, impetuosamente invasivi e prevaricanti.
Non di rado il confronto dialettico diventava, nel rispetto delle procedure, scontro al color bianco, senza per altro travalicare mai rispetto e stima per il collega avversario.
Dico di più: erano entrambi dominati da profondo bisogno d’amicizia, stima ed affetto di cui erano personalmente istintivamente generosi con gli altri.
Ho già detto che per quanto io ricordi Francesco Murgia non militava nel partito fascista mentre Zizi ne era un fervente protagonista; parlo ovviamente del Murgia già professionista e del Zizi ragazzo. Se mi è consentita una libera interpretazione dei due personaggi, dirò che entrambi erano molto vicini in virtù di alcuni valori ideologici ed indomita intolleranza di qualsivoglia forma di prevaricazione.
Zizi, in piena buona fede, credeva di essere fascista mentre era in realtà soltanto un mussoliniano affascinato dalla personalità del duce; lì finiva il suo fascismo; per il resto ascoltava con rispetto il pensiero altrui, insofferente di direttive ed ordini arbitrariamente coattivi che ne limitassero libertà di pensiero e parola.
Entrambi cattolici praticanti, pur confortati dalla fede, erano animati da un laicismo che li rendeva assai spesso liberamente critici di quanto non condividevano.
Francesco Murgia fu deputato democristiano ed in tale veste assunse iniziative coraggiose ed innovatrici.
Si deve a lui l’istituzione della Corte d’Assise d’Appello e gli epici scontri con l’allora Presidente del Consiglio Antonio Segni sulla istituenda provincia di Oristano, ma soprattutto propose ed ottenne in sede costituente l’introduzione dell’ultimo comma dell’art. 13 che statuisce il principio che obbliga il legislatore a fissare i termini massimi della carcerazione preventiva.
Zizi era un politico che in piena buona fede credette di servire il suo orizzonte ideologico votando per il partito che si rifaceva al fascismo.
In effetti era un dialettico che amava il civile confronto nella più larga libertà d’opinione espressa sia nel sereno conversare fra amici come nella polemica verbale o giornalistica.
Testimonianza del suo mondo interiore è il libro che ha scritto negli ultimi anni di sua vita sulla Nuoro del Palazzo.
Non v’è ombra di settarismo né di preclusioni ideologiche ma rispetto profondo per i valori professati da personaggi dai quali si sentiva ideologicamente lontano.
Negli ultimi anni di sua vita Zizi ha molto sofferto per un ictus che pur lasciandone creativamente pensante l’intelligenza ne limitava pesantemente l’operatività, cui però non ha rinunziato sino all’ultimo respiro di sua vita.
Francesco Murgia ha continuato la professione sino a tardissima età quando ormai la nuova generazione fiorita nel focolare domestico, cioè le figlie e il genero non lo hanno progressivamente sostituito. Ma sino a che è vissuto è rimasto quello che era: “Saetta”, così chiamato sin da ragazzo perché fulmineo nella battuta come nel gesto.
Onorato Zizi e Francesco Murgia, due uomini rimasti giovani in un’età che solo i burocrati della cronologia e del vigore fisico chiamano vecchiaia.
Ebbene, colleghi, scusatemi se sono stato lungo ed incompleto; vorrei dirvi tante altre cose di loro, episodi, aneddoti di cui erano protagonisti, ma preferisco chiudere dicendovi che la loro vita è stata una bella pagina che onora questo Foro, la loro e la nostra Sardegna.