Disegno di legge (Seguito della discussione e approvazione): S. 196. — Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 1984 e bilancio pluriennale per il triennio 1984-1986 (approvato dal Senato)
Presidente. Onorevoli colleghi, passiamo ora alle dichiarazioni di voto sul disegno di legge nel suo complesso che, per un accordo intercorso tra i gruppi, saranno molto brevi. Voglio dire che tali dichiarazioni di voto saranno riprese e integralmente trasmesse sul TGl, nella fascia oraria che va dalle ore 19 alle 20. Una volta tanto non siamo relegati negli angoli… Dico questo a fini organizzativi.
Ha chiesto di parlare l’onorevole Melis. Ne ha facoltà.
Mario Melis. Signor Presidente, onorevole rappresentante del Governo, colleghi deputati, non ripeterò gli argomenti svolti nel corso della discussione generale e che, a conclusione del dibattito, conservano la loro piena validità.
Pur senza soffermarmi nell’analisi delle molteplici incertezze e contraddizioni che rendono, tutto sommato, velleitari gli obiettivi proposti dal Governo, voglio sottolineare come questi acquistino, sia nella formulazione sia negli strumenti della manovra finanziaria, una precisa collocazione antimeridionalista. Alla riduzione degli stanziamenti destinati al Sud fa riscontro una chiara mancanza d’impegno politico volto al superamento del cosiddetto nodo storico che impedisce ancor oggi il perfezionarsi della reale unità dello Stato.
D’altronde, la generalizzazione dei sacrifici non crea condizioni obiettive di equità distributiva, ma si traduce, di fatto, sul piano della politica regionale, nella penalizzazione delle aree deboli a favore di quelle ad economia più forte ed organizzata.
Alla vocazione antiautonomista e neo-centralista che emerge dall’esame complessivo della legge finanziaria e di bilancio fa riscontro una forte caratterizzazione infrenante e conservatrice, che imprigiona lo Stato nel groviglio di interessi che si sono stratificati nel tempo intorno alle istituzioni.
In questo contesto, la mia, più che una dichiarazione di voto, vuole essere una veemente denunzia della responsabilità che anche questo Governo si è assunta e si assume nell’aggravare il già difficile e scompensato rapporto tra la Sardegna e la restante comunità statuale. Mi auguro vivamente che i colleghi non cadano nell’errore di ritenere questo tema marginale e, tutto sommato, «localistico» come oggi si usa dire.
Il problema sardo acquista rilevanza ben maggiore degli interessi che coinvolge e proietta la sua ombra sul futuro stesso dello Stato in virtù dell’empito di libertà e di giustizia che dà forza e dignità alla testimonianza storica del nostro popolo.
La reiezione che maggioranza e Governo hanno opposto ai nostri emendamenti per garantire la continuità produttiva ed occupazionale nell’area mineraria del Sulcis-Iglesiente-Guspinese non scoraggia certo i minatori, così come la lotta degli operai e delle popolazioni ogliastrine per la difesa dell’industria cartaria di Arbatax, l’impegno popolare per la salvaguardia dell’apparato industriale chimico e petrolchimico, largamente presente in Sardegna, non si esauriscono nei rituali degli ordini del giorno e nelle querule proteste, ma diventano motivo di mobilitazione unitaria di tutti i sardi, ben consapevoli che solo una grande lotta di popolo potrà fronteggiare l’iniquo e devastante attacco che il Governo sta muovendo alla Sardegna. Particolarmente grave…
Presidente. La invito a concludere, onorevole Melis, perché ha già oltrepassato il tempo a sua disposizione.
Mario Melis. Nel concludere, riconfermo il voto contrario del partito sardo d’azione. Il mio pensiero va in questo momento all’immagine proposta da un grande artista sardo, Nivola, che raffigura la piena occupazione in Sardegna con gli innumeri presidi militari che l’attraversano da nord a sud, da est a ovest, per terra, per mare, per cielo. Contro tutto questo il popolo sardo pone con fermezza il rispetto dei propri diritti, non contando su generiche e facili solidarietà; respinge l’assistenzialismo, l’emarginazione, la subalternità, quali residui di un colonialismo condannato dalla storia e cancellato dalla civiltà democratica dei popoli che con le proprie forze hanno saputo riconquistare la propria libertà.