Melis: Desidero anzitutto scusarmi se il mio intervento rischierà di annoiare quei colleghi che non si ritengono adeguatamente interessati ai problemi che sottoporrà all’attenzione della Commissione e del rappresentante del Governo. Forse sarò anche un po’ ossessivo nell’insistere su certi temi; interpreto però il mio mandato parlamentare proprio in funzione di questo compito non solo di testimonianza, ma anche di denunzia, di proposta, di precisazione di posizioni che si inquadrano nel contesto delle osservazioni svolte nella sua lucida ed organica relazione dal senatore Fossa; relazione che condivido sia nei suoi apprezzamenti positivi che nelle sue riserve critiche, peraltro tutte volte ad un contributo positivo per la soluzione del problemi del trasporto in Italia. Ma quelle osservazioni critiche e quelle riserve hanno per me una validità particolarmente incisiva per quanto riguarda la regione e – al si consenta l’espressione – per il popolo di Sardegna, che nella sua identità nazionale, nella sua esistenza di entità umana e civile così distaccata e diversa dal contesto nazionale, viene dallo Stato, di fatto, emarginata, penalizzato e disatteso neUe sue aspettative più essenziali.
Praticamente si sta verificando uno strano fenomeno, un fenomeno storico che dovrebbe preoccupare il Governo ed i colleghi del Parlamento, e cioè che questo popolo di Sardegna, che tanto ha fatto e tanto ha sofferto per potersi integrare con lo Stato italiano, con la collettività italiana, è stato nei fatti sempre regolarmente respinto e risospinto in una condizione subalterna, che e inaccettabile, che non è accettata e che sta ormai sensibilizzando le correnti di opinione pubblica in termini così severi e così critici da porre problemi alternativi a questo stato di cose, a questa situazione ohe – ripeto – è inaccettabile e non è più accettata!
Anche il settore del trasporti non c’è dubbio che contribuisce ad esasperare questo processo di emarginazione. L’altro giorno si parlava qui di un aspetto particolare, che ha però un significato ed un rilievo politico estremamente significante quello delle tariffe. Si parlava cioè della parificazione dalle tariffe del trasporto marittimo a quelle del trasporto ferroviario; evidentemente, la penalizzazione del commercio e del traffico, del libero spostarsi nel territorio della Repubblica da parte del sardi, per effetto dei maggiori costi del trasporto marittimo, si traduce in una penalizzazione dell’economia sarda, della sua capacità di espansione, della sua capacità di integrarsi con l’economia nazionale. Per certi aspetti non è più ormai un problema di maggiori o minori costi, ma è soprattutto un problema politico, è l’affermare che essere sardi significa pagare l’italianità più degli altri o subire l’italianità ad un prezzo più alto degli altri; ma allora l’italianità non e un elemento positivo, ma è un elemento punitivo per noi. Ed evidentemente noi non meritiamo questa valutazione perché al Paese abbiamo dato in sacrificio, in fedeltà e in serietà contributi di sangue e di civiltà, contributi che sono, nei limiti indubbiamente delle nostre capacità, pieni, totali, senza riserve.
Ma,se questo aspetto attiene in particolare al collegamento della Sardegna con il territorio metropolitano, ancora pia grave ed amaro si fa il discorso sui trasporti interni alla Sardegna. È vero, l’onorevole Ministro proprio nei giorni scorsi, sia pure rispondendo occasionalmente ad altre mie osservazioni sulla politica della marina mercantile, ricordava che il Governo si è fatto carico dell’annoso problema del trasporto ferroviario in Sardegna, destinando un cospicuo stanziamento per l’elettrificazione della rete ferroviaria statale presente nell’Isola. Ho preso la comunicazione come un fatto positivo, dando atto al Ministro di avere fatto propria questa istanza e di averla inserita nel piano ferroviario nazionale;è una prospettiva senza dubbio promozionale, ma decisamente insufficiente. Insufficiente perché? Perché non si tiene conto di quello che è 11 servizio ferroviario in Sardegna. Non si dimentichi a questo proposito che la Sardegna è una delle regioni più vaste d’Italia, che le sue solitudini si susseguono per vaste plaghe dove non è presente il lavoro, dove non e presente il progresso, dove non è presente l’occupazione, dove le campagne sì spopolano,tributarie di una emigrazione devastante, lacerante del suo tessuto sociale, dello sue prospettive di rinascita. La Sardegna infatti ha un Piano che dal Governo è state ottimisticamente definito “Piano di rinascita per la Sardegna” proprio nel momento in cui la Sardegna stessa sta pagando in una ripresa dei flussi migratori lo scotto della sua mancanza di contenuti politici e sostanziali! Ebbene, questi trasporti interni, che testimoniano l’isolamento nel quale vivono intere vaste zone della Sardegna, si snodano ancora, per quanto attiene alle ferrovie, su un solo binario: e questo proprio nel momento in cui si discute del raddoppio, della triplicazione o addirittura della quadruplicazione delle linee ferroviarie delle zone già servite, delle zone già avviate ad uno sviluppo o meglio già in possesso di uno sviluppo economico vasto, articolato, già in possesso di una rete stradale, di soluzioni alternative tali da consentire veramente una integrazione a livelli europei tra i più elevati.
Ora, per la Sardegna invece non ci si pone neanche il problema del doppio binario, per cui gli incroci continuano ad avvenire solo nelle stazioni, mentre i treni in andata o in ritorno debbono attendere ohe ì capistazione diano loro il via telefonicamente.
In questo mondo arcaico, nel quale il tempo sembrerebbe non avere significato, trascorre una vita che non ha prospettive e che non ha speranze, o almeno che non ha speranze concrete.
Ma poi, onorevole Ministro,|pur riconfermando l’apprezzamento per l’impegno suo personale – non c’è dubbio infatti che il contributo che ogni Ministro sa dare, scavando nelle poche disponibilità che in concreto sono presenti nel bilancio dello Stato, per destinare una certa somma ad una regione così emarginata e sottosviluppata è già una forma di attenzione e di impegno, è già un dato positivo, ancorché questo tentativo sia il primo da un secolo a questa parte – vorrei sapere che significato ha sostituire la forza energetica di propulsione dei treni se non si rettificano i tracciati, se le pendenze restano le stesse, se i raggi di curvatura restano quelli del 1860, quelli cioè di un secolo fa? Non si prevede una galleria, non si prevede un viadotto, non si prevede insomma l’ammodernamento del percorso, per cui, per quanto si voglia sostituire i motori a nafta con i motori elettrici, i tempi commerciali di percorrenza subiranno un incremento decisamente modesto.
Segreto: Quello che dice l’onorevole collega e senz’altro giusto; purtroppo, pero, per realizzarlo occorrerebbe il bilancio dello Stato dei prossimi 30 anni!
Melis: Ricorderò allora al senatore Segreto – il giudizio politico va infatti articolato anche in termini comparativi – che il piano ferroviario prevede, per il Piemonte se non sbaglio, circa 300 miliardi destinati quasi esclusivamente al quadruplicamenti o al triplicamenti di tratte ferroviarie e circa altri 300 miliardi (in totale quindi circa 600 miliardi, tanto quanto cioè è previsto dal Piano di rinascita per la Sardegna da spendere in dodici anni!) nel solo settore ferroviario, sempre per il Piemonte, esclusivamente per rettifiche di tracciato al fine di un suo snellimento. Seicento trenta miliardi per la rinascita della Sardegna sembrano troppi; allora verrei sapere che cosa si pensa dei 300 miliardi destinati solo alle rettifiche di tracciato delle ferrovie del Piemonte, di una regione peraltro che merita tutta l’attenzione del Governo e del Paese perché dà un notevole contributo allo sviluppo e alla crescita civile. Con questo sistema, pero, non si fa politica meridionalistica, non si tende al riequilibrio territoriale, non si tende a fare del Paese una patria comune, ma si tende ad esasperare il divario esistente, a renderlo ancora più macroscopico, a renderlo incolmabile. Allora non si fa una politica italiana, ma si fa una politica delle due Italie; ed io credo che non vi sia disponibilità in Sardegna, ma anche nel Mezzogiorno d’Italia e in Sicilia, ad accettare questa condizione di cittadini non già di seconda categoria, ma addirittura da terzo mondo; terzo mondo che però è in via di sviluppo, che ha una prospettiva, mentre noi non l’abbiano. All’interno di un mondo sviluppato e industrializzato, il mondo che può occupare il quarto o quinto posto nella scala dei valori mondiali, sappiano che il quarto o il quinto posto riguarda un’altra parte del Paese, perché noi siamo al 61° p al 70° posto, cioè noi siamo quella parte d’Italia che non consente all’Italia di essere al secondo o al primo posto in quanto nella statistica finisce che noi siano il peso morto.
E allora, questo tipo di politica non mi pare che sia di unità nazionale, di prospettiva unitaria, ma sia una politica di divaricazione delle due Italie.
Si parla della quinta nave-traghetto. Io voglio dare una volta atto al Ministro della comunicazione che ci ha dato nei giorni scorsi circa l’esistenza di un cantiere dove questa nave si costruisce…
Vittorino Colombo, ministro dei trasporti e, ad interim, della marina mercantile: È già passata la delibera al Consiglio di amministrazione delle ferrovie!
Melis: La delibera è passata, ma sia finalmente anche individuato il cantiere! Il problema, infatti, non è di oggi. Lei sa, signor Ministro, che gli stanziamenti già allora erano stati deliberati, ma quella nave non è stata mai ordinata; non è stata mai commessa ai cantieri e ancora resta un progetto, una ipotesi.
Sento che questa volta il Ministro ritiene di poter condurre in porto questa nave. Ma lei sa anche, signor Ministro, che la quinta nave traghetto ha un significato se ad essa sarà coordinato il flusso di traffico. Che significato ha, infatti, una nave-traghetto che porta dal Golfo Aranci, dalla costa nord-orientale della Sardegna e va verso il continente italiano se proprio la costa nord-orientale della Sardegna non è collegata tramite linee ferroviarie?
Tutta la vasta zona cha va da Muravera, risalendo per tutta l’Ogliastra, per finire nella Barbagia, spostarsi nelle Baronie e spostarsi nella Gallura, nella cosiddetta costa smeralda, non ha una linea ferroviaria. Nuoro non è collegata con il suo porto naturale per cui gli operatori economici, tutto il commercio devono affidarsi esclusivamente al trasporto su gomma e subirne il monopolio, senza la funzione calmieratrice del trasporto pubblico. Teniamo conto, tra l’altro, che le navi-traghetto sono più di cinque, perché c’è una nave della Trans-Tirrenia x Express che fa il traghettamento tre volte nelle 24 ore Piombino-Olbia e tre volte Livorno-Olbia, per cui sono sei traghetti soltanto su due linee dirette; poi c’è la nave-canguro che collega Olbia con Genova. Ci sono una decina di navi al giorno capaci di trasportare i container, ma come fanno ad arrivare i container se non ci sono i trasporti ferroviari? Noi non possiamo usare questo strumento della tecnologia del trasporto marittimo perché ci manca il vettore ferroviario. Abbiamo,quindi, zone che vivono nell’isolamento,ed anche in prospettiva, nonostante l’aggiornamento tecnologico previsto per dare elettrificazione alla linea esistente. I tempi e le velocità commerciali temiamo che da noi non subiranno miglioramenti sostanziali.
C’è poi tutto il settore delle ferrovie secondarie. Queste sono arcaiche, folcloristiche. Nuoro si collega con una linea ferroviaria secondaria che per percorrere pochi chilometri si impiegano oltre tre ore, e questo con i mezzi più veloci.
Ho fatto una esperienza recentemente a questo proposito; sono stato in Giappone del quale si dicono mirabilia per la sua organizzazione ferroviaria: il treno su monorotaia, il treno proiettile. Ho viaggiato sull’uno e sull’altro mezzo di trasporto. Il treno proiettile percorre 600 chilometri da Tokio a Yokohama ed è effettivamente un treno avveniristico. Sembra di viaggiare su un aereo pressurizzato: i cristalli sono perfettamente chiusi per evitare di essere risucchiati dai giochi di pressione, gli orari sono perfetti, tutto è perfetto. Ma questo è tutto: qui finisce l’avveniristico. Sul treno proiettile , infatti , si trasportano solo ed esclusivamente passeggeri. Tutto il traffico commerciale è affidato alle ferrovie secondarie che hanno oltre un secolo. Fu un imperatore intelligente che aprì il dialogo con l’Occidente e mandò i giovani a studiare in Inghilterra e con loro progettò le linee ferroviarie secondarie che sono ancora quelle, salvo alcune rettifiche di tracciato, l’abbassamento del baricentro dei carri ferroviari e delle locomotive, il rafforzamento dell’armamento a terra. Queste linee ferroviarie secondarie hanno velocità commerciali elevatissime e costi commerciali decisamente accettabili e compatibili con la concorrenza del trasporto su gomma. In Giappone si fa un larghissimo uso del vettore ferroviario.
In Italia, preferiamo lanciare invecchiare talmente queste strutture, preferiamo renderle arcaiche, oggetto di archeologia,di paleontologia, per cui poi diciamo che non servono più,che bisogna abolirle, sopprimerle, che rappresentano un passivo di tale rilevanza che è necessario toglierle di mezzo! Così facendo altre vastissime zone resteranno prive anche di questo sussidio che pure un certo contributo alle attività produttive,signor Ministro, hanno dato e possono continuare a dare. I viaggiatori, infatti, non si servono di questi mezzi di trasporto per il trasporto merci,però hanno ancora una funzionalità. A tale proposito vorrei ricordere gli oltre 1.500 artigiani che lavorano il sughero in Sant’Antonio, in Calangianus, nel tempiese, che si servono quasi esclusivamente del vettore ferroviario Tempio-Palau,che è una ferrovia secondaria di cui si progetta la soppressione. Ma debbo ricordare che una miniera è stata chiusa tra quelle dell’Ogliastra, in una delle regioni cioè più depresse, anche perché isolata e priva di vie di comunicazione rapida con gli altri importanti centri della Sardegna (Cagliari da un lato e Nuoro dall’altro); è stata chiusa perché l’unico vettore esistente, a seguito dell’abolizione di tratte per questo o per quell’altro spezzone, non era più in condizione di trasportare economicamente il minerale al porto.
Ed allora la politica del trasporto in Sardegna diventa non uno strumento di progresso, di sviluppo, di impulso, di espansione, di crescita, ma un elemento disincentivante della industria e dell’economia.
Per quanto riguarda poi il settore del trasporto aereo desidero rilevare che per la Sardegna esso riveste un ruolo vitale, essenziale, in quanto costituisce l’unica alternativa al trasporto marittimo. Noi infatti – l’ho detto tante volte che gli onorevoli colleghi ormai proveranno forse noia e fastidio a sentirlo ancora ripetere – non abbiamo l’alternativa del trasporto ferroviario o del trasporto automobilistico per collegarci con la Penisola e con il contesto mediterraneo; il trasporto aereo pertanto assume per la Sardegna un rilievo e un’incidenza superiori che per le altre regioni, costituendo un vettore per il trasporto di massa.
Esistono però problemi di ogni genere: in primo luogo quelli inerenti alla sicurezza del volo. A terra, infatti, mancano anche le strumentazioni di assistenza al volo più essenziali. Ora, io debbo confessare che ho paura di viaggiare in aereo, è una paura ancestrale, è una paura che mi porto dentro nelle memorie dei miei antenati pastori, attaccati a terra, radicati al suolo, che non avevano la fantasia di librarsi nei cieli. Il senso del baratro, pertanto, incute in me angosce mai superate; non di meno, poiché debbo accettare la mia condizione di uomo del nostro tempo, in aereo viaggio. Ma non è giusto che la mia paura infantile debba arricchirsi di altre paure concrete, delle quali soffrono gli stessi piloti perché le rotte che seguono debbono necessariamente attraversare (l’aeroporto infatti è lì sotto a 200 metri e non c’è possibilità di evitarle) delle zone nelle quali per ragioni diverse si concentrano decine di migliaia di gabbiani con il pericolo che i motori dell’aereo in decollo o in atterraggio (cioè nei due momenti di crisi) li inghiottano nelle loro turbine causando una tragedia! È questo tra la indifferenza generale del potere pubblico.
Qualche mese fa, ad esempio, un aereo ha preso un gruppo di gabbiani nei due motori, che ovviamente si sono piantati all’istante} il secondo motore, per fortuna, dopo qualche frazione di secondo ha ripreso però a funzionare ed il pilota, indubbiamente molto abile è riuscito a riportare l’aereo a terra e a salvare con l’aereo la vita di un centinaio di persone.
Tutto questo – ripeto – avviene tra l’assurda, allucinante indifferenza del potere pubblico, dal Ministro dei trasporti al Ministro dell’interno e a tutti gli altri organi competenti.
Colombo Vittorino, ministro dei trasporti e, ad interim, della marina mercantile: E gli assessori regionali?
Melis: Questo rilievo è giusto? tuttavia, non è possibile che non si venga incontro ad una amministrazione comunale che si lamenta della mancanza di fondi, assegnandole i mezzi per poter ovviare a questo stato di cose.
Ora, non è certo piacevole sentire le confessioni di preoccupazione perché non si levi lo stormo dei gabbiani che a volte, per il rapporto umano che si stabilisce andando e venendo sugli aerei con una certa frequenza e che ci consente di viaggiare nella cabina di pilotaggio, anche per vincere la paura, i piloti fanno! Mancano dunque gli strumenti di assistenza al volo a terra. Io indubbiamente sono un ignorante in materia – sono arrivato infatti, nella mia cultura di strumentazione e di assistenza al volo a terra al VOE e all’IRIS, di cui conosco peraltro le prole inglesi che tale sigla indica e di cui posso dire che si tratta di uno strumento che dà il sentiero aereo, angolo azimutale, quello zenitale, la distanza e via dicendo, e che mi pare costi una cifra dì una certa rilevanza – ma so anche che la tecnologia consente oggi un tipo di strumentazione molto più economica – nell’ordine, se non sbaglio, di un centinaio di milioni – per cui non si vede per quale ragione non si stanzi una somma che consenta a tutti gli aeroporti di essere dotati e di poter quindi utilizzare tale strumentazione. In Sardegna non sempre vi è la nebbia (anzi si tratta,di un paese sotto questo aspetto, abbastanza fortunato) possono sempre capitare, però, i temporali, le nubi basse e tutta una serie di elementi che impongono l’ausilio di queste strumentazioni, la verità invece è che non le abbiamo nell’aeroporto dì Alghero, non le abbiamo nell’aeroporto dì Elmas, così come non le abbiamo nell’aeroporto di Olbia!
A questo proposito vorrei, quindi, fare un’altra osservazione che si ricollega alle denunzie fatte stamani nel suo vigoroso e articolato intervento del senatore Sgherri. Mi riferisco alle ricorrenti agitazioni sindacali, ai continui scioperi selvaggi o meno, dei lavoratori del settore, siano questi marittimi o aerei, siano questi vigili del fuoco (i quali spesso trovano il modo dì scioperare anch’essi e di paralizzare il traffico aereo) siano questi i piloti, certo è che noi andiamo soggetti ad una penalizzazione veramente drammatica, che comporta – in coincidenza appunto con queste agitazioni sindacali, che di norma vengono aperte o si drammatizzano come vertenze proprio nel momento in cui la Sardegna registra il maggior traffico, cioè nel periodo estivo – il nostro isolamento pressoché totale
Faccio una viva raccomandazione al Ministro, perché solleciti il suo collega responsabile del ministero del lavoro, affinché questi problemi vengano affrontati tempestivamente: che almeno la prossima stagione ci siano risparmiati la mortificazione, l’umiliazione, i disagi, le sofferenze, i danni di questi isolamenti, che poi si traducono in un disperante abbandono proprio delle categorie più povere, di quelle migliaia di persone che debbono bivaccare all’addiaccio sui moli di imbarco, perché non hanno i mezzi per potersi riversare negli alberghi (che del resto a Civitavecchia non hanno una grande ricettività, potendo ospitare un massimo di cinquecento persone). Ma soprattutto non è giusto che un’intera popolazione sia condannata a questi isolamenti ciclici, endemici, rinnovantisi puntualmente di anno in anno, proprio nel momento in cui torna la gran massa degli emigrati, torna chi per un anno e più ha atteso di conoscere il figlio, natogli magari durante la sua permanenza in Svizzera o in Belgio, lavorando nelle miniere olandesi o nella Ruhr o nelle fabbriche dove respira il veleno che lo porterà ad una vecchiaia precoce; torna per un bagno di affetto nella propria terra, nella propria famiglia, e si vede bloccato sulla porta di casa da questi scioperi, che lo rendono nemico di uno Stato che non lo tutela, non lo garantisce.
Tutto questo si accumula, crea tensione, ma non nel singolo, bensì nell’intera collettività. Ed io, che ho vissuto questa esperienza parlamentare – con mio onore ma, mi creda, anche con mia grande passione e sofferenza – colgo questa occasione per rinnovare al Ministro l’invito a non sottovalutare il problema Sardegna, che non è un problema marginale, non è il problema di una periferia: è un problema dello Stato, di cui lo Stato si deve far carico, perché la Sardegna è lo Stato e perché tale resti.
Intervento nell’VIII Commissione – Senato della Repubblica – 4 marzo 1979
4 Dicembre 2015 by