Intervento in Commissione – Senato della Repubblica – 24 novembre 1976

Melis. Desidero anzitutto fare alcune considerazioni di carattere preliminare e di ordine politico relative all’attuazione delle norme statuite a presidio della vita autonomistica della regione sarda; norme che hanno trovato riscontro nel decreto del presidente della Repubblica 22 maggio 1975, n. 480, tra i cui ispiratori c’è anche il Ministro che mi ascolta, dal momento che il provvedimento porta anche la sua firma.
Bene, bisogna dare esecuzione ad alcune disposizioni quali, per esempio, nell’ambito del Ministero dei lavori pubblici, quella di porre in posizione di comando il provveditore alle opere pubbliche e i quattro ingegneri capo del Genio civile delle quattro province sarde e ciò in esecuzione del disposto dell’ultimo comma dell’articolo 4 del decreto cui ho fatto cenno.
Gli uffici del Genio Civile sono stati trasferiti, ma non sono stati trasferiti gli ingegneri capi né il provveditore alle opere pubbliche per cui la Regione non può delegare la firma per il disbrigo di tutti gli adempimenti spettanti a quei funzionari.
Sempre nell’ambito dell’attuazione di questi disposti di legge per quanto concerne strettamente il Ministero dei lavori pubblici, vorrei ricordare al signor Ministro l’esistenza di due paesi della provincia di Nuoro, dei quali egli ha già avuto occasione di occuparsi: Gairo e Osilo, che furono distrutti dall’alluvione nel 1951. Abbiamo già la legge 12/4/73 con la quale è stato elevato a 7 miliardi il tetto della somma ammessa a contributo per la ricostruzione della case distrutte in quell’occasione, ma per il trasferimento degli abitati di questi due comuni si attende che, in applicazione del già citato decreto 22 maggio 1975, n. 480, siano delegate alla Regione le competenze in materia di ricostruzione. Ora però vorrei auspicare che con la delega alla Regione della competenza in questa materia, siano trasferite ad essa anche le risorse finanziarie predisposte a suo tempo con la legge ultima di cui ho dato lettura. Mi pare che si trattasse di cinque miliardi da utilizzare in cinque anni, ultimo dei quali il 1976. Ebbene, siamo alla fine del 1976 e restano da impiegare ben tre miliardi e mezzo: una somma che non può non essere utilizzata al più presto se si pensa alle popolazioni che hanno avuto le case distrutte dall’alluvione nel 1951 e che a distanza di 25 anni sono in attesa di completare il loro trasferimento e la loro sistemazione definitiva. Dobbiamo pensare che nelle condizioni attuali ogni giorno che passa il denaro perde valore e diminuisce di conseguenza la possibilità di soddisfare con quella somma il maggior numero possibile di esigenze.
Riassumendo quindi il problema consiste nel considerare la Sardegna materia in esame delegata alla Regione Sardegna ai sensi del decreto n. 480 trasferendo ad essa anche gli stanziamenti relativi.
Credo anche che sarebbe il caso di risolvere sul piano politico piuttosto che su quello giurisdizionale il problema della competenza regionale in ordine ai porti realizzati dalla regione Sardegna con finanziamenti regionali, che ora gli uffici ministeriali ritengono appartenere di pieno diritto alla competenza del potere centrale.
È da tener presente che la Regione sta ancora intervenendo con propri stanziamenti per le attività di manutenzione, che sono quotidiane e dispendiose. Lo Stato se ne disinteressa, però ne rivendica a sé la competenza, creando tutta una serie di problemi pratici, per risolvere i quali la Regione si è vista costretta a sollevare un conflitto di competenze che pende davanti alla Corte costituzionale. Tutto questo per dare soluzione ad una situazione che a mio parere sarebbe facilmente risolvibile a livello politico, solo che il signor Ministro riesca a trovare il tempo e la possibilità di incontrarsi, a tale scopo, con gli organi regionali.
Vorrei sottolineare ancora qualche aspetto della situazione attuale della regione sarda, in modo particolare la necessità della difesa del suolo e dell’ambiente.
La Sardegna, che aveva difeso il suo ambiente naturale fino a che ebbe una sua autonoma capacità legislativa, a partire dall’epoca giudicale, con norme severissime per chi distruggeva boschi, per chiunque violentasse l’ambiente naturale, quando è entrata a far parte dello Stato italiano si è vista distruggere i boschi in virtù di un contratto stipulato dal Ministero delle Ferrovie (credo si chiamasse così allora), che per realizzare una strada ferrata da Cagliari a Chilivani e con deviazione per Sassari, cedette i boschi di gran parte della Sardegna all’impresa costruttrice, provocando un danno enorme.
Inoltre, quando nel 1848 la Sardegna perse le sue prerogative di Regno di Sardegna ed entrò a far parte integrante dello Stato italiano, ad essa fu esteso il gravame del regime fiscale che si rivelò catastrofico, soprattutto dopo l’unificazione di tutta l’Italia, tanto che mentre in Lombardia e in Piemonte si registravano 15, 16 o 18 sub-aste per debiti d’imposta, in Sardegna se ne registravano 15.000 nello stesso decennio. Abbiamo cioè subito una spoliazione per effetto dei debiti di imposta e chi si trovava ad essere aggiudicatario di quei beni, l’unica risorse che ne poteva trarre era costituita dal legname. Ci fu una migrazione di boscaioli da tutta la Toscana e da altre regioni e il nostro patrimonio boschivo fu distrutto. Il suolo ha subito per questo un processo di erosione, di dilavamento, di disintegrazione fino a giungere alle attuali condizioni di continua pericolosità, una situazione che in qualche modo deve essere affrontata.
Questo processo di forestazione che si va realizzando in questi ultimi decenni è decisamente insufficiente per l’entità degli stanziamenti e per la saltuarietà degli stanziamenti medesimi. Abbiamo una infinità di paesi in Sardegna che debbono essere consolidati a totale carico dello Stato, proprio per effetto della rovinosità delle piogge e delle alluvioni. Io sono sindaco di un piccolo comune sul quale incombono quasi mille metri di montagna che strapiomba sul paese stesso: è stato realizzato un canale di guardia proprio per proteggerlo da alluvioni che, per esempio, nel 1913 determinarono catastrofi e la morte di persone e danni enormi alle campagne e all’abitato, ma che possono ripetersi. Certo, quel canale di guardia è stato realizzato, ma è insufficiente: in occasione di grandi piogge, da questi mille metri di montagna che incombono sul centro abitato, che strapiombano sul paese quasi, abbiamo sempre il terrore che ci arrivino distruzione e morte. Non possiamo certo lamentarci della distruzione del bosco, perché noi i nostri boschi lì abbiamo difesi, nel nostro comune li abbiamo disperatamente difesi, perché sappiamo che sono la nostra salvezza, però ci occorrono anche i canali di guardia per completare la difesa da quegli eventi naturali che, pur essendo eccezionali, non sono tanto eccezionali da non essere prevedibili e da non essere fronteggiabili con opere che in qualche modo disciplinino questi eventi di torbida e di piena.
Accantonato questo argomento, passerei a richiamare rapidamente al Ministro l’opportunità che si dedicasse alla Sardegna una maggiore attenzione, per quanto attiene alle sue infrastrutture portuali. Non è che noi dobbiamo rispondere solo alla Sardegna, alla domanda di trasporto dei sardi, ma l’infrastruttura esistente è già largamente insufficiente in rapporto alle esigenze di traffico dei sardi. Si pensi, ad esempio, ai porti predisposti per recepire il traffico ferroviario, cioè dei traghetti ferroviari: se il Ministero dei trasporti attivasse quei suoi programmi per la quinta nave traghetto, non vi sarebbe alcun luogo ove farla attraccare, perché mancano le infrastrutture a terra. E questo evidentemente condiziona gravemente il nostro sviluppo economico, la nostra capacità di integrazione economica e civile con il resto del territorio nazionale. Ma io ritengo che il problema dei porti sardi sia un problema nazionale e non sardo, non tanto perché anche i sardi hanno diritto di integrarsi con il resto del paese in condizioni di parità e di eguali opportunità di sviluppo, quanto perché l’Italia ha bisogno di una imponente e di una importante infrastruttura portuale nel centro del Mediterraneo occidentale. La Sardegna è nel nel centro del Mediterraneo occidentale, lungo la rotta Gibilterra-Suez, è al centro tra tre continenti: l’Europa meridionale, l’Africa settentrionale (siamo più vicini a Tunisi che non a Civitavecchia!) e l’Asia anteriore. Siamo vicini a questi tre continenti, siamo un punto di incontro di tre economie, di tre civiltà, di tre culture diverse. Noi abbiamo le grandi raffinerie in Sardegna per i petroli che arrivano dalle altre parti de Mediterraneo e da oltre il Mediterraneo. Abbiamo, però, non soltanto il problema di recepire questa materia prima che ci inquina, che ci danneggia, non ci dà lavoro, non ci dà prospettive di sviluppo, ma se avessimo trasporti adeguati potremmo pensare ad uno sviluppo verticale del processo produttivo petrolchimico per pensare alla chimica fine, per pensare a tutta l’industria manifatturiera che sta a valle della petrolchimica, da quella farmaceutica, alle forme sintetiche, alla plastica e ad infiniti settori tessili e così via continuando, che per lo meno offrano larghe prospettive di occupazione d di lavoro. Ma per fare questo, perché si sviluppi un tipo di industria che per sua natura e per sua vocazione sia industria manifatturiera, e quindi sia anche compatibile con la piccola e con la media industria, con gli investimenti non particolarmente impegnativi, quindi finanziabili anche a livello regionale, quindi tali da potere sollecitare e stimolare un imprenditoriato locale che non venga sempre e solo dall’esterno in termini colonialistici, ma veda protagonisti anche i sardi; Signor Ministro,abbiamo bisogno di infrastrutture che ci consentano di collegarci economicamente con il resto del mondo! Allora veramente finirà questa cappa di piombo che ci vede emarginati nello sviluppo della nostra stessa regione e ci vede oggetto e non soggetti creativi di sviluppo e di civiltà. Queste erano le cose che volevo dire.