8a Commissione Lavori pubblici, comunicazioni – Senato della Repubblica – VII Legislatura – giovedì 15 dicembre 1977

Presidente. L’ordine del giorno reca la discussione del disegno di legge: «Procedure eccezionali per lavori urgenti ed indifferibili negli istituti penitenziari», già approvato dalla Camera dei deputati.
Data l’assenza del relatore, senatore Gusso, impossibilitato per ragioni di salute a prendere parte ai lavori della nostra Commissione, prego il senatore Federici di riferire alla Commissione sul disegno di legge.
Federici, relatore alla Commissione. Il disegno di legge, come risulta del resto dal titolo, riveste carattere eccezionale, anche se si muove, naturalmente, lungo la linea di altre leggi che abbiamo già discusso nella nostra Commissione, (…)
Melis. Onorevole Presidente, onorevole Sottosegretario di Stato, onorevoli colleghi, dall’articolo I del disegno di legge in esame si evince che le opere per le quali si chiede l’accelerazione delle procedure riguardano esclusivamente gli istituti penitenziari esistenti; quindi si dovrà intervenire per rendere tali istituti più sicuri, più funzionali, più rispondenti alle esigenze di una convivenza carceraria che sia conforme ai tempi ed ai problemi che la giustizia carceraria oggi comporta. Ho però la sensazione che il disegno di legge, più che rivolgersi alla comunità dei detenuti per rendere più civile, più socialmente recuperabile la loro personalità per un futuro reinserimento nella società, tenga a realizzare quelli che oggi vanno sotto il nome di «carceri speciali», tenda cioè a garantire la sicurezza della detenzione più che la sicurezza del detenuto.
Ed in effetti i lavori che si stanno eseguendo in questo periodo nelle carceri riguardano esclusivamente questo aspetto. Ho avuto modo di visitarne diverse ed ho visto che in alcune la personalità dei detenuti è sufficientemente rispettata, pur tenendosi conto del fatto che — come giustamente rilevava il senatore Mola — si tratta di persone che hanno violato la legge penale e che quindi debbono espiare le pene che sono state loro comminate; ma ho anche visto che molte sono invece le carceri dove le condizioni di vita dei detenuti sono veramente disumane, incivili, diseducative e tali da preparare i conviventi ad un atteggiamento di profonda contestazione nei confronti della società. Ricordavo in una precedente riunione della nostra Commissione che, ad esempio, nelle carceri di Mamone in Sardegna, in un ambiente nel quale convengono centinaia di detenuti, esiste un solo servizio igienico, che dopo dieci minuti dalle pulizie è assolutamente impraticabile. Ora, io non so se si stiano facendo lavori per ovviare a questo problema, ma so per certo che nel carcere di Nuoro, carcere modernissimo, realizzato appena 7-8 anni fa, carcere dal quale mi pare che non sia mai evaso nessuno, si è scoperta la necessità di eseguire dei lavori di riadattamento consistenti nell’introduzione di qualcosa come altri 100 cancelli interni; il che significa che veramente il senso di claustrofobia dei detenuti sarà portato fino all’ossessione, in quanto non riusciranno a fare più di 50 metri senza incontrare uno sbarramento, e che non sarà più possibile neanche pensare all’astratta applicabilità della riforma carceraria, perché la vita comunitaria della popolazione detenuta sarà materialmente impossibile.
Ora, io capisco che l’amministrazione carceraria si deve preoccupare di rendere sicure le carceri, ma una esigenza non meno imperiosa e civile è quella di rendere le carceri stesse non soltanto un luogo di pena, ma anche di recupero sociale dei detenuti.
Non comprendo poi per quale ragione al secondo comma dell’articolo 2 si disponga che, in deroga alle disposizioni di legge vigenti, le opere non comportano necessità di varianti allo strumento urbanistico quando riguardino lavori di manutenzione straordinaria e lavori di adattamento e di ristrutturazione. Infatti, fino a che siamo nell’ambito della manutenzione non occorre neanche una disposizione del genere perché non si possono neppure ipotizzare in tal caso varianti allo strumento urbanistico; ma quando si passa a lavori di adattamento e di ristrutturazione ci troviamo di fronte a lavori che possono comportare modifiche volumetriche ed architettoniche, modifiche così sostanziali da mutare profondamente nella struttura edilizia dell’istituto o della casa di pena. Ora, tenuto conto che le carceri in genere si trovano nel bel mezzo dei centri storici delle città, a me pare che questa sia una deroga abbastanza rischiosa e disinvolta, che non ritengo giustificata in alcun modo. Penso ad esempio a Milano, che ha nel centro della città il carcere di San Vittore; penso a Sassari, che ha nella parte più prestigiosa della città le carceri di San Sebastiano, o a Cagliari, che ha nella collina più suggestiva della città il carcere di Buoncammino. Se si apportano modifiche così innovative da determinare praticamente una alterazione dell’ambiente, del paesaggio, e così via, riterrei opportuno sottoporre tali ipotesi all’approvazione dei competenti organi amministrativi — il Consiglio comunale e gli organi di controllo — per cui sarebbe forse il caso di proporre un emendamento al secondo comma, tendente ad aggiungere, dopo la lettera b), le parole «che non comportino modifiche volumetriche degli edifici o delle strutture architettoniche esterne di questi». In tal modo si eviterebbe di creare situazioni in cui l’amministrazione carceraria faccia e disfaccia, modificando situazioni urbanistiche, senza che il Comune abbia la possibilità di difendere le sue prerogative e le sue competenze e di esercitare quella che è una sua responsabilità specifica. Con queste leggine, infatti, continuiamo ad espropriare gli enti locali dei loro compiti istituzionali, delle loro attribuzioni più penetranti e specifiche.
Quanto osservava il senatore Crollalanza è estremamente ragionevole e meritevole della più ampia considerazione. La procedura della licitazione privata mi sembra più opportuna, per ragioni di chiarezza o correttezza amministrativa.
Presidente. Vorrei pregare il senatore Melis di vedere se non è possibile riversare il contenuto del suo emendamento in un ordine del giorno, per evitare ritardi nell’approvazione del provvedimento.
Poiché nessun altro domanda di parlare, dichiaro chiusa la discussione generale.