Norme per l’edilizia residenziale – Senato della Repubblica – VII Legislatura – 307a seduta pubblica – martedì 1° agosto 1978

Norme per l’edilizia residenziale:
Melis. Domando di parlare per dichiarazione di voto.
Presidente. Ne ha facoltà.
Melis. Signor Presidente, Signor Ministro, colleghi senatori, il dibattito politico sulla casa ha da tempo evidenziato carenze strutturali di allarmante complessità ed ampiezza, problemi irrisolti che, trascinandosi nel tempo, ne hanno suscitato di nuovi e più gravi, innescando spinte contraddittorie e conflittuali con effetti pesantemente negativi sull’industria dell’edilizia abitativa.
Gli interventi dello Stato sono stati limitati, episodici, volti a fronteggiare situazioni contingenti, scoordinati ed avulsi da una visione globale e articolata dell’intero settore. Incertezze, discontinuità sia sul piano normativo che degli interventi finanziari hanno finito con lo scoraggiare gli investimenti, facendo rapidamente decrescere la produzione di nuovi alloggi, mentre è andato progressivamente degradandosi il patrimonio abitativo esistente. Così, mentre per un verso cresceva insoddisfatta la domanda di nuove case per abitazione, si è registrato un assurdo spreco edilizio espressosi in forme e quantità rilevanti.
Non mi soffermerò nell’analisi delle cifre, ma alcune per la chiarezza del mio dire ritengo essenziali ricordare: il deficit abitativo attuale viene stimato dagli studiosi in cifre oscillanti tra i 13 ed i 17 milioni di vani, a seconda che nel calcolo vengano o meno inclusi edifici in corso di restauro e quelli che, pur non occupati, sono disponibili per la vendita o la locazione. La domanda di nuovi alloggi che si registra annualmente in Italia si aggira sui 300.000 vani, mentre la costruzione di nuovi vani realizzati nel 1977 non raggiunge i 160.000. Dall’esame comparativo di queste cifre emerge in tutta la sua vastità la dimensione del problema e dell’impegno finanziario a cui il paese è chiamato a far fronte.
In Italia, negli ultimi anni, vengono prodotti appartamenti per soddisfare mia domanda che fisiologicamente potrebbe formarsi in un paese che conti poco più di 11 milioni di abitanti, mentre abbiamo già raggiunto i 50 milioni. Quali le cause? Sono molte e complesse e preliminarmente ricorderei l’estrema modestia degli stanziamenti pubblici in favore dell’edilizia sovvenzionata e di quella convenzionata e agevolata. Nei paesi occidentali, dove pure l’edilizia abitativa è affidata al libero esplicarsi delle leggi di mercato, l’intervento pubblico raggiunge percentuali ben più ampie e consistenti delle nostre.
Altro elemento va ravvisato nel rapporto scompensato tra investimenti e alloggi. Questo è un rilevante motivo di flessione della produzione edilizia. I suoi costi infatti sono cresciuti nell’ultimo decennio in misura nettamente superiore al reddito. Il costo del denaro, ad esempio, come ricordava nel suo intervento il sottosegretario Padula, è aumentato di 8-9 volte, mentre il reddito nello stesso periodo è accresciuto di sole 4 volte. Con tali meccanismi è del tutto naturale il rilievo obiettivo evidenziato dalle statistiche sulla stretta correlazione tra disponibilità di reddito e disponibilità di stanze. I più deboli vengono inesorabilmente emarginati. La politica fiscale peraltro imprigiona l’edilizia abitativa in un coacervo di tributi che ne eleva in termini pesantemente negativi i costi finali, scoraggiando il risparmio e gli investimenti per dirottarli verso forme più tranquille e remunerative.
A tutto ciò si è aggiunto il costo delle concessioni edilizie che più correttamente avrebbero dovuto gravare sui proprietari delle aree anziché su chi le edifica. Né vale affermare che in ogni caso tale costo si riverserebbe su questi ultimi perché con una accorta manovra fiscale si potrebbe facilmente scoraggiare una tendenza in tal senso.
Non si vede peraltro per quale motivazione economica, politica o etica si assoggettino le aree fabbricabili a regimi giuridici diversi a seconda che possano essere immesse nel libero mercato o siano invece incluse in piani particolareggiati dalla legge n. 10, o prescelte come sedi di opere pubbliche. Se accettiamo, in vista dei prevalenti interessi della comunità, la seconda ipotesi, dobbiamo necessariamente concludere che i prezzi praticati per le prime costituiscono inaccettabili forme di speculazione che alterano innaturalmente i costi ed il mercato edilizio.
Il lungo perdurare del regime vincolistico in materia di contratti di locazione, pur legittimato dall’esigenza di garantire la casa a larghe fasce sociali altrimenti esposte al pericolo dello sfratto, e quindi legato al problema di conciliare il reddito con il canone, ha pure prodotto distorsioni gravi che hanno negativamente influito sulla formazione di sacche abitative sottoutilizzate e non utilizzate e — ciò che più allarma — sempre più degradate. L’offerta dell’edilizia abitativa si indirizza peraltro verso redditi medio-alti, con l’immissione nel mercato di alloggi di livelli superiori ai normali standard, per cui, mentre vengono esclusi dall’accesso alla casa i titolari dei redditi più bassi o medio-bassi, si registra un rilevante spreco abitativo consentendo che nelle nuove costruzioni la fruizione media sia superiore ad una stanza per persona. Sempre in tema di spreco edilizio ricorderò le centinaia di migliaia di case disponibili per la vendita o per la locazione che pure, per timore dei vincoli legislativi, vengono lasciate vuote dai loro proprietari, mentre iper contro nelle stesse città preme insoddisfatta una rilevante e crescente domanda di alloggi.
Il fenomeno degli investimenti nelle seconde, terze e quarte case, sempre sottratte a particolari discipline e condizionamenti, ha ormai assunto proporzioni di tale rilevanza da non trovare giustificazione nel pur auspicabile espandersi della domanda turistica internazionale e nazionale.
Il disegno di legge sottoposto al nostro esame offre una risposta corretta e coerente a questi complessi problemi, anche se è di portata piuttosto limitata. È inutile nasconderci che pur in presenza di un impegno finanziario particolarmente rilevante, soprattutto se posto in relazione con le nostre risorse e con la grave crisi economica che stiamo attraversando — impegno che per il significato e la ampiezza non trova riscontro nel passate — gli stanziamenti coprono, nell’arco dei prossimi dieci anni, una parte piuttosto modesta del deficit abitativo; di più, non sono sufficienti a soddisfare neppure la nuova domanda che si forma annualmente. Non di meno gli effetti trainanti di una massa finanziaria oggettivamente così cospicua non mancheranno di coinvolgere positivamente una larga parte delle strutture economico-sociali del nostro paese ampliando lo fasce occupative, la produzione, i redditi e quindi i nuovi investimenti anche nel settore abitativo.
L’approvazione definitiva della legge sull’equo canone insieme a quella sul regime dei suoli orca, pur in presenza di scoordinamenti e sfilacciature, come stamane li ha definiti il collega Ottaviani, un quadro di riferimento sufficientemente articolato ed omogeneo capace di ridare impulso e fiducia all’iniziativa privata ed al naturale espandersi di questa proprio in un comparto qual è quello della edilizia abitativa che ha tradizionalmente costituito un potente polo di attrazione del risparmio delle famiglie italiane. Perché questa pare essere oggi la via praticabile: incoraggiare il risparmio-casa offrendogli certezze giuridiche prima ancora che economiche. Non starò a ripetere quanto in proposito hanno suggerito e proposto i colleghi che sono intervenuti, essendo per me sufficiente ribadire il consenso politico del Gruppo che rappresento.
La manovra fiscale appare però essenziale non solo per favorire nuovi investimenti intesi a colmare il deficit abitativo, ma altresì per colpire sempre più duramente quelle forme di spreco di cui prima ho parlato, scoraggiando la sottoutilizzazione degli alloggi, la non utilizzazione di quanto è immediatamente utilizzabile, l’abbandono del degradato che è stato stimato in cifre veramente impressionanti per la loro rilevanza. Corpi di fabbrica cadenti, in rovina, abbandonati all’usura del tempo e alle intemperie costituiscono non solo brutture estetiche, pericolosi ricettacoli notturni di sbandati, ma ostacoli oggettivi al naturale ricostituirsi del tessuto urbanistico di cui rappresentano vere e proprie lesioni da rimarginare al più presto. Anche le seconde e terze case in quanto non essenziali debbono essere valutate, se non in termini negativi, quantomeno come un di più per il quale è giusto essere chiamati ad un proporzionale tributo.
Il nostro Gruppo apprezza quindi positiva-mente la scelta contenuta nel titolo IV del disegno di legge in ordine al recupero dei centri storici non solo per il loro valore culturale, testimonianza irripetibile di momenti diversi della nostra storia, ma per la suscettibilità del patrimonio.abitativo esistente di contribuire in modo decisivo a ridurre il deficit abitativo ed a rallentare l’innaturale espandersi territoriale delle città e dei villaggi con produzione di costi aggiuntivi per urbanizzazioni e servizi del tutto inaccettabili.
Positivo è il ruolo riconosciuto alle regioni, sia in fase di elaborazione programmatoria e progettuale che di esecuzione e verifica. Ampie riserve sono da formulare circa la capacità dei comuni di assolvere i compiti loro attribuiti dalla legge ove si ricordino i pesanti limiti finanziari gravanti sulle amministrazioni comunali cui è sostanzialmente negata la possibilità di dotarsi di un’organizzazione tecnico-amministrativa adeguata ai crescenti compiti cui il comune dovrebbe assolvere.
Nel concludere ribadisco il giudizio positivo del nostro Gruppo sul disegno di legge, ricordando al Governo il suo impegno meridionalista onde garantire, quanto meno, a questa legge la sua operatività perché nel Sud si operi in concreto, in profondità ed in ampiezza, né si rimandi alla preannunciata legge speciale sulla casa per il Sud e le Isole perché se a questa si deve ricorrere — e lo si deve fare — ciò è dovuto al lungo, precedente e, direi, attuale abbandono. La nuova legge dovrà avere, quindi, valore ed operatività aggiuntivi.
Questo, in ultima analisi, è il significato del nostro voto. Non ci confortano, certo, le passate esperienze anche se garantite dalla riserva del 40 per cento degli stanziamenti, così come è oggi riconfermato: solo una volontà politica, garantita dalla nuova maggioranza, può dare al problema del Mezzogiorno quel rilievo nazionale che può offrire al nostro paese quell’unità reale non ancora compiuta. In questa prospettiva e per i motivi illustrati confermo il voto favorevole del Gruppo della sinistra indipendente. (Vivi applausi dall’estrema sinistra).