Conversione in legge del decreto-legge 1° febbraio 1977, n.13, concernente proroga delle concessioni di grandi derivazioni di acque per uso di forza motrice;
Sospensione della scadenza delle concessioni per grandi derivazioni di acqua per uso di forza motrice, assentite alle imprese degli enti locali, d’iniziativa del senatore Segnana e di altri senatori.
Approvazione, con modificazioni, del disegno di legge n. 498 con il seguente titolo: Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 1° febbraio 1977, n. 13, concernente proroga delle concessioni di grandi derivazioni di acque per uso di forza motrice
Presidente. È iscritto a parlare il senatore Melis. Ne ha facoltà.
Melis. Signor Presidente, onorevole Ministro, onorevoli colleghi, il Gruppo della sinistra indipendente esprime sulla proposta di conversione del disegno di legge concernente la proroga delle concessioni di grandi derivazioni di acque per uso di forza motrice un giudizio piuttosto critico. Non può sfuggire all’attenzione degli onorevoli colleghi il fatto che ancora una volta il Governo affronta con uno strumento legislativo del tutto inadeguato ed eccezionale, il decreto-legge, una materia così vasta e complessa qual è quella della produzione dell’energia elettrica per la titolarità e qualificazione del concessionario e infine dell’utilizzazione e fruizione dei corsi d’acqua. È da tempo sentita l’esigenza di disciplinare il complesso dei problemi nascenti dalla scadenza delle concessioni prevista dal testo unico del 1933 attraverso un piano organico che tenga conto, oltre che dei molteplici fattori giuridici, economici e civili suscettibili di esplicare nel loro vario combinarsi azione di reciproco condizionamento, anche delle crescenti esigenze delle popolazioni di destinare le risorse idriche a fini diversi da quelli di produzione di energia elettrica. Con l’odierno decreto si impegna il Parlamento nell’esame di un aspetto limitato e particolare, avulso dal suo naturale contesto, insistendo in una politica intesa a fronteggiare esigenze di momento, episodica e scollegata dalla visione unitaria della complessa materia. Sul merito della normativa esprimiamo consenso alla proroga della scadenza delle concessioni assentite alle imprese degli enti locali, a quelle a partecipazione statale ed infine ai consorzi fra loro costituiti; consenso che nasce da considerazioni di natura sia economica che politica. Il già difficile equilibrio di bilancio degli enti locali sconsiglia infatti di modificarne negativamente l’assetto con un provvedimento che li privi di una cospicua fonte di entrata garantita dai canoni corrisposti dalle utenze di energia. Più qualificante è però, a nostro giudizio, l’aspetto politico in vista del concreto riaffermarsi delle autonomie locali capaci di estrinsecarsi nei più diversi settori della vita amministrativa ed economica degli enti. Appare invero coerente ai principi dell’autonomia funzionale ampliare gli spazi decisionali degli enti territoriali dei quali il comune, proponendosi come articolazione attiva dello Stato, costituisce l’espressione più autentica della democrazia di base. Queste furono peraltro le considerazioni che portarono ad escludere dalla nazionalizzazione le aziende elettriche municipalizzate.
Ben diversa è la nostra valutazione in ordine alla proposta proroga delle scadenze in favore delle aziende private titolari di concessioni di grandi derivazioni d’acqua per produzione di energia elettrica. In regime di pubblicizzazione dell’intero settore queste costituiscono figure anomale che contraddicono la linea di politica energetica affermatasi nel nostro paese. Profonda è infatti la differenza fra aziende municipalizzate e privati produttori. Le prime esplicano una attività intesa a soddisfare finalità pubbliche senza scopi di lucro laddove i secondi perseguono il profitto aziendale privato sconnesso e talvolta in contrasto con quello generale. È pur vero che la crisi economica che investe l’intero comparto industriale italiano sconsiglia in questo momento di adottare provvedimenti suscettibili di appesantire i costi di produzione scompensandone ulteriormente la competitività sui mercati nazionali ed esteri, ma è altresì varo che il Governo deve porsi il problema del riordino globale dell’intero settore avviando, entro i termini della proroga, a definitiva soluzione questi casi anomali il cui anacronistico sopravvivere costituisce palese denunzia della scarsa attenzione dedicata ad un problema così delicato e rilevante. Né va peraltro trascurato, per le implicazioni di giustizia sostanziale che suscita, il fatto della disparità di trattamento che viene così riservato alle aziende non produttrici di energia rispetto alle produttrici che vengono così a trovarsi avvantaggiate nei confronti delle prime.
Altre perplessità si collegano alla domanda, in progressivo aumento, di rilevanti quantità di acqua per soddisfare le crescenti esigenze igienico-sanitarie delle popolazioni. Lo scarico delle acque biologiche defluenti dagli aggregati urbani costituisce un grave problema di politica sanitaria risolvibile non solo attraverso presìdi depurativi tecnologicamente adeguati, ma, soprattutto, in presenza di corsi d’acqua suscettibili di recepire e trasportare lontano dai centri abitati i residui inquinanti delle fogne industriali e civili degli stessi centri. Ove si insistesse nell’utilizzare i corsi d’acqua quale fonte di energia elettrica, questa esigenza verrebbe ulteriormente frustrata, specie nei mesi siccitosi, durante i quali maggiore si manifesta l’esigenza d’acqua e minore ne è la disponibilità.
Il governo delle risorse idriche postula peraltro una ben diversa destinazione di questa ricchezza naturale. Oggi è possibile rispondere alla domanda di energia ricorrendo alle fonti termiche quali quella nucleare, carbone, petrolio, senza trascurare peraltro, specie in un paese come il nostro, gli studi sulla possibilità di utilizzare le radiazioni solari. Né dobbiamo lasciarci imprigionare dalle valutazioni di ordine economico sui maggiori costi di produzione connessi alle fonti alternative posto che a fronte della maggiore incidenza di spesa energetica stanno gli enormi vantaggi ricavabili da diversa utilizzazione delle acque in altri settori particolarmente importanti per il progresso della comunità nazionale. L’acqua così disponibile potrebbe essere finalmente destinata ad usi agricoli con benefici enormi per l’incremento delle produzioni, l’aumento di reddito per addetto e il progressivo riequilibrio della bilancia dei pagamenti nel settore agricolo-alimentare. È questo un discorso che può estendersi evidentemente al settore industriale. Anche la finalità di approvvigionamento di acque potabili, specie nell’Italia centro-meridionale e nelle isole, ove la scarsa e irregolare piovosità ne fanno sentire più penosa e inaccettabile la mancanza, troverebbe finalmente adeguata soluzione. Né può essere trascurata in questa breve panoramica delle diverse utilizzazioni del patrimonio idrico nazionale la necessaria riserva da garantire ai consumi turistici che, specie nel periodo estivo, esplodono in termini moltiplicatori delle normali esigenze.
Per queste considerazioni sollecitiamo il Governo a predisporre un piano generale ed organico teso a disciplinare la materia energetica e dell’utilizzo delle acque tenendo nella massima considerazione le diverse destinazioni di queste nella strategia dello sviluppo economico e civile del nostro paese.
Non possiamo però chiudere queste brevi considerazioni senza sottolineare l’esigenza politica di sviluppare in direzione regionalistica la nostra politica energetica. Fermo restando il principio della pubblicizzazione delle fonti d’energia e della distribuzione, non si vede perché un tale servizio debba essere necessariamente svincolato dalle politiche regionali. L’assetto costituzionale dolio Stato vede la regione quale centro propulsore dello sviluppo in una visione programmatoria che superi le conflittualità locali e costituisca momento di sintesi di molteplici interessi che in essa trovano la loro naturale genesi e in essa debbono trovare soluzione e appagamento.
Ebbene, onorevoli colleghi, è del tutto illusorio ritenere che si possa governare la economia di una regione, promuoverne lo sviluppo industriale, agricolo e turistico, assicurarne in modo efficiente e puntuale i servizi civili se non si dispone, con larga autonomia funzionale, delle fonti di energia e se non se ne può determinare la politica
La realtà italiana è così molteplice e diversa per fattori naturali, per diverso grado di sviluppo, per diverso livello di progresso raggiunto nei vari comparti produttivi che profondamente diverse sono le esigenze da soddisfare e le scelte economiche e sociali proponibili. Solo la regione è in grado di cogliere le diverse problematiche individuando i nodi e affrontandone le soluzioni.
La centralizzazione di ogni potere decisionale in materia energetica finisce con il privilegiare de utenze più forti e territorialmente concentrate, e perciò le regioni industrializzate. Ne consegue l’inesorabile accentuarsi del processo di emarginazione delle regioni agricole, sempre più sospinte nel sottosviluppo che le allontana progressivamente dai ritmi di crescita del contesto nazionale. L’autonomia regionale diventa quindi, anche in questo settore, una parola vuota di concreto significato, e la politica dall’Enel ha contribuito non poco ad aggravare ciò, mancando, o ritardando le conferenze regionali sull’energia e, in concreto, estromettendo, anche in sede di consultazione, i governi regionali e, con essi, le popolazioni locali, di cui sono espressione democratica. In questo spirito, io credo, il senatore Fosson per la Valle d’Aosta, il collega Mingozzi e chi vi parla per la Sardegna e le altre regioni a statuto speciale, hanno proposto, con unanime consenso della Commissione, l’emendamento in virtù dei quale il decreto-legge non trova applicazione nei relativi territori. Non vogliamo certo contestare l’esigenza di ricondurre ad unità di indirizzo la politica energetica nel nostro paese; sono a noi ben presenti le indissolubili connessioni interregionali e internazionali esistenti nell’ambito della produzione, trasporto e consumo dell’energia elettrica; auspichiamo anzi lo sviluppo sempre più ampio e articolato di collaborazioni e di intese tra gli Stati, ben consapevoli dei grandi vantaggi che ne potranno derivare al nostro paese e all’intera umanità.
Ma questo discorso non è incompatibile con l’esigenza regionalistica di cui ho parlato; trattasi di problemi diversi ma non opposti; dalla capacità di raccordare il momento regionale con quello nazionale si misura la vocazione democratica del Governo. Alla nostra astensione intendiamo dare il preciso significalo di invito al Governo perché sottoponga al Parlamento un piano organico capace di rimettere ordine, definitone e chiarezza nell’intero settore energetico, in un quadro di compatibilità economiche, civili e democratiche. (Applausi dall’estrema sinistra).
Intervento in aula – Senato della Repubblica – VII Legislatura- 96a seduta pubblica – giovedì 17 marzo 1977
6 Ottobre 2015 by