Rapporto della 8a Commissione sullo stato di previsione della spesa del Ministero della marina mercantile

(Relatore MELIS)
Onorevoli Senatori,  L’impostazione del bilancio di previsione 1978 della Marina mercantile evidenzia l’intento di contenere e qualificare la spesa pubblica. Non di meno, dall’esame più attento della tabella, emerge la sostanziale contraddizione tra le indicazioni contenute nella relazione programmatica, volte a potenziare le strutture produttive, e le notevoli decurtazioni delle poste di bilancio destinate agli investimenti nei settori trainanti, considerati essenziali per lo sviluppo della Marina mercantile.
In particolare la Commissione valuta con preoccupazione i sostanziali tagli operati negli stanziamenti destinati alla cantieristica, al credito navale, ai diversi settori della pesca, alle strutture antinquinamento, tagli che accentuano la sottovalutazione del ruolo assolto dalla Marina mercantile nell’ambito dell’economia italiana.
In effetti il nostro Paese, povero di materie prime, fonda le sue prospettive di sviluppo eminentemente sulle attività di trasformazione; da qui la necessità di intensi scambi commerciali dei quali quello marittimo costituisce il vettore preferenziale dal momento che il 90 per cento delle importazioni e circa il 60 per cento delle esportazioni vengono effettuate via mare.
Va anche notato, in via preliminare, che la tabella della Marina mercantile è caratterizzata da una notevole rigidità sia per quanto afferisce alla parte di spesa corrente che per quella in conto capitale, è sostanzialmente scollegata dal contesto del bilancio generale e, quindi, disarticolata dalle attività economico-amministrative che in esso si riflettono; il compito della Commissione si riduce così ad un esame prevalentemente formale, quasi un atto dovuto.
Di tale scoordinamento si ha riscontro più evidente nell’ambito dell’intero sistema dei trasporti.
Non si intravvede infatti coerenza unificante nelle scelte operate all’interno dei singoli settori e nel necessario rapporto tra questa Fa difetto una visione globale che armonizzando il complesso sistema integrato dei trasporti aereo, ferroviario e su gomma, in relazione a quello marittimo, sia capace di arricchirsi dei reciproci apporti e consenta uno sviluppo di insieme, equilibrato ed organico.
L’esigenza di dar vita ad un ministero unico competente in materia di trasporti, è stata ripetutamente affermata nei due rami del Parlamento, ed anche in questa occasione, sia pur con qualche perplessità e dissenso, è stata riaffermata dalla maggioranza della Commissione.
Il dibattito ha evidenziato altresì la mancanza di una pubblicazione che raccolga i dati più significativi dei fattori emergenti nell’economia marittima tale da consentire una corretta valutazione della loro incidenza nell’economia italiana.
L’omissione sembra doversi collegare, in difetto di una organica programmazione come metodo di governo, al ricorso sempre più frequente ai provvedimenti-tampone per fronteggiare situazioni difficili.
L’ampio, serrato dibattito svoltosi in sede parlamentare e nel Paese sembra aver definitivamente sconfitto, sul piano concettuale, la politica delle soluzioni contingenti, disarticolate e sconnesse dal quadro generale.
Alle scelte adottate secondo la logica del caso per caso, è indispensabile sostituire quella dei piani di settore che, coordinando molteplici fattori interagenti nell’ambito dei rispettivi comparti, scongiuri gli effetti distorsivi e talvolta contraddittori sin qui registrati e consenta di definire linee di azione organicamente volte a realizzare l’equilibrato sviluppo del Paese in tutte le sue componenti.
Non di meno, d’urgere della grave crisi che investe le strutture produttive impone l’ulteriore ricorso a provvedimenti-tampone che, muovendosi secondo una prospettiva programmatica, colmino i vuoti che verrebbero inevitabilmente a crearsi ove si attendesse la definizione dei piani ancora in corso di elaborazione.
Politica portuale
Pur esulando la materia della politica portuale dal bilancio della Marina mercantile se ne ritiene comunque opportuno l’esame anche in questa sede per l’intrinseca connessione con i temi che formano oggetto del presente rapporto.
L’indagine conoscitiva che la Commissione va svolgendo ha evidenziato disfunzioni di tale rilevanza da rendere i nostri porti non più competitivi rispetto a quelli del nord Europa e dello stesso Mediterraneo. Gli effetti che ne sono derivati si riflettono nella sensibile diminuzione di traffico marittimo registrato nei porti maggiori e minori del nostro Paese. È opportuno indicare le cause di tale crisi quali stanno emergendo dalla suddetta indagine.
1) Esiguità degli stanziamenti destinati alla ristrutturazione, all’ampliamento e all’ammodernamento degli scali: dal 1965 ad oggi (leggi 7 ottobre 1965, n. 1200; 6 agosto 1974, n. 366; decreto-legge 13 agosto 1975, n. 376) sono stati stanziati per tali finalità 300 miliardi che, ad oggi, non risultano totalmente impegnati.
Per meglio apprezzare l’inadeguatezza di tale investimento basterà ricordare che, di recente, l’Olanda, per migliorare l’agibilità del solo porto di Rotterdam, ha stanziato la somma di mille miliardi.
Con la legge 6 agosto 1974, n. 366, il Governo veniva impegnato ad elaborare un piano operativo d’investimento portuale da coordinare con il piano generale dei trasporti ma, a tutt’oggi, tale impegno non risulta assolto. Il Governo, riconoscendo l’indilazionabile urgenza del provvedimento, ha confermato la prossima presentazione da parte del Ministero dei lavori pubblici di un programma pluriennale di investimenti per la somma di lire 1.130 miliardi da suddividere come segue:
1.000 miliardi destinati ai 25 porti che, negli ultimi anni, abbiano registrato maggiori indici di traffico;
100 miliardi destinati a tutti gli altri porti;
30 miliardi destinati ai lavori di escavazione dei fondali che risultino insabbiati.
La Commissione esprime l’avviso che debba darsi rapida esecuzione a tale programma, la cui realizzazione è prevedibile entro il 1980, senza attendere la definizione del piano generale dei trasporti la cui operatività si proietta ben oltre tale termine.
Va in proposito ricordato come il programma di opere portuali implicante una spesa globale di 1.130 miliardi, raccordato ai prezzi 1975, abbia perduto in questi ultimi due anni il 50 per cento in termini di potere d’acquisto. Un ulteriore ritardo, oltre ad accentuare le disfunzioni dei nostri porti, aggravandone il processo di degradazione, ridurrebbe sensibilmente il volume di opere previsto nel programma.
2) Collegamenti con l’hinterland dei singoli porti e con le grandi vie di comunicazione nazionali e internazionali: anche questo aspetto risulta notevolmente trascurato per cui le operazioni del deflusso ed afflusso da e per le aree portuali risultano rallentate e difficoltose con evidenti effetti negativi sul costo finale dei trasporti.
3) Organizzazione delle operazioni portuali: le profonde differenze che si registrano nell’assetto giuridico-istituzionale dei nostri porti non consentono una valutazione unitaria dell’efficienza organizzativa delle operazioni portuali. Si deve però affermare come la frammentazione delle competenze fra i diversi operatori all’interno del porto si traduca in gravi fatti di sconnessione che talvolta sconfinano in vera e propria conflittualità con il risultato di rallentare le attività portuali e di appesantirne così ulteriormente il costo.
Va peraltro osservato che, per quanto attiene al trasporto delle merci liquide e gassose, i nostri porti dispongono di una organizzazione altamente specializzata capace di offrire all’utenza un servizio economicamente competitivo, rapido e di apprezzabile qualità; non altrettanto può dirsi dei mezzi meccanici destinati alle operazioni di imbarco e sbarco dei carichi solidi; si tratta di strutture fisse e semoventi superate dalla moderna tecnologia la cui produttività è di gran lunga inferiore a quella dei porti concorrenti. Rilevante è inoltre la sottoutilizzazione degli impianti disponibili in conseguenza della frammentazione delle competenze prima ricordata.
4) Incidenza del costo del lavoro: il problema, pur importante nel vasto arco dei diversi settori produttivi, per le implicazioni economiche, sociali ed umane che gli sono proprie, acquista nell’ambito portuale caratteristiche così peculiari e specifiche da meritare riflessione attenta e meditata onde impostare una ristrutturazione adeguata alla moderna tecnologia ed al dinamico evolversi della domanda di lavoro portuale, correlata alla crescente specializzazione del trasporto marittimo.
Anche in questo campo, all’attività prevalentemente muscolare degli addetti si va sostituendo quella sensoriale e decisionale, implicante formazione e qualificazione professionale per l’innanzi sconosciute.
In effetti a questa moderna evoluzione del lavoro portuale non corrisponde una coerente normativa per cui si registrano discrasie e sfasature che si traducono, in ultima analisi, nell’artificiosa lievitazione dei costi.
Stando ai dati enunziati in sede d’indagine conoscitiva dai rappresentanti della FIN-MARE il costo del lavoro verrebbe ad incidere nella misura del 40 per cento sui costi globali di movimentazione delle merci nel porto. Va però precisato che la remunerazione effettiva del lavoro si ridurrebbe, secondo la stessa fonte, a poco più del 12 per cento essendo la quota rimanente assorbita da oneri previdenziali. Il livello retributivo per addetto sarebbe così inferiore alla media registrata nei maggiori porti europei per cui la causa degli alti costi del lavoro va individuata nella minore produttività di questo.
All’origine del fenomeno stanno, come già chiarito, con l’andamento discontinuo del lavoro, lo spezzettamento degli impianti portuali che ne impedisce la razionale programmazione, l’impostazione arcaica dei rapporti di lavoro, l’inadeguatezza delle strutture tecniche, la sottoutilizzazione di quelle private, l’insufficienza dei collegamenti esterni al porto, le difficoltà connesse, per non coincidenza degli orari di lavoro, con le operazioni di sdoganamento delle merci ed altre cause minori, tutte variamente influenti sulla produttività del lavoro portuale.
5) Gestioni portuali: la rilevante varietà di assetto giuridico-istituzionale esistente nei nostri porti, fatta salva qualche apprezzabile eccezione, lungi dallo stimolarne in positivo le capacità gestionali, ha determinato un notevole stato di confusione che, rendendo insicura l’utenza, ha contribuito non poco al progressivo decadimento dei nostri scali marittimi.
Gli stessi enti portuali, afflitti e condizionati da permanenti deficit di bilancio, vanno riducendo la loro azione a compiti prevalentemente amministrativi e burocratici.
S’impone quindi, come peraltro ha riconosciuto il ministro Lattanzio concludendo in Commissione il dibattito sul bilancio, una riforma istituzionale che valorizzi le autonomie operative degli enti esaltandone il ruolo imprenditoriale della gestione. Riforma che dovrà accompagnarsi al contestuale realizzarsi del programma di opere portuali in corso di elaborazione a cura del Ministero dei lavori pubblici.
Flotta mercantile
La consistenza del naviglio mercantile italiano al 31 dicembre 1976 risultava costituita da:
n. 1.605 navi per un totale complessivo di TSL 11.081.224, di cui superiori alle 100 TSL n. 1.461 così suddivise:
navi miste e da passeggeri n. 206, TSL 773.321;
navi da carico secco n. 533, TSL 3.308.356;
navi da carico liquido n. 386, TSL 4.966.692;
navi portarinfuse polivalenti n. 31, TSL 1.915.309;
navi speciali n. 305, TSL 109.092;
navi inferiori alle 100 TSL n. 144, TSL 8.454.
La flotta italiana rappresenta, in valore percentuale, il 2,98 per cento di quella mondiale.
L’età media, rapportata a quella del naviglio mondiale, può essere così riassunta:
Flotta italiana    Flotta mondiale
da 5 a 10 anni    36,0%    26,1%
da 10 a 15 anni    20,0%    14,5%
da 15 a 20 anni    16,9%    10,9%
oltre 20 anni    13,2%    9,9%

Il rapporto registrato al dicembre 1975 fra demolizioni e nuove costruzioni di navi indica per la flotta italiana la percentuale del 10,4 per cento, mentre per la flotta mondiale è del 14,8 per cento.
I    movimenti merci e di cabotaggio nei porti italiani al dicembre 1975 hanno visto la bandiera nazionale presente con la percentuale del 23 per cento, quella estera con il 77 per cento.
Sempre nei porti italiani, con riferimento al dicembre 1975, il movimento dei carichi secchi è stato effettuato con naviglio battente bandiera italiana nella misura del 32,2 per cento e con bandiera estera nella misura del 66,8 per cento.
Per i carichi liquidi le percentuali sono sensibilmente inferiori: bandiera italiana 22,4 per cento, bandiera estera 77,6 per cento.
Il movimento internazionale passeggeri, nel dicembre 1975, riferito ai porti italiani è così suddiviso: bandiera italiana 37,3 per cento, bandiera estera 62,7 per cento.
La bilancia dei trasporti marittimi degli ultimi 5 amai registra un crescente deficit correlato alle percentuali come sopra elencate. Infatti: 1972: — 78,9 miliardi; 1973: —111,1 miliardi; 1974: — 263,6 miliardi; 1975: — 373,2 miliardi; 1976: — 526 miliardi.
I dati statistici che precedono evidenziano alcuni aspetti strutturali della nostra flotta mercantile e ne spiegano, almeno in parte, la scarsa competitività.
Va anzitutto rilevato che l’età media del nostro naviglio è sensibilmente superiore a quella della flotta mondiale. Il più basso rapporto percentuale fra demolizioni e nuove costruzioni evidenzia la tendenza dell’armamento italiano ad una maggiore staticità. Ne deriva pertanto un netto ritardo nell’aggiornamento tecnologico della nostra flotta in un momento in cui si registra un ampio mutamento nella composizione merceologica della domanda di trasporto, con il prevalere dei criteri di specializzazione, rapidità, ed economicità.
Essenziale è peraltro ricordare come l’offerta di trasporto marittimo sia, a livello mondiale, di gran lunga superiore alla domanda per cui ne è conseguita una rilevante flessione dei noli. E evidente che in una situazione così fatta vengono inesorabilmente emarginate dal mercato dei trasporti le navi più vecchie e tradizionali, i cui costi di esercizio non possono reggere la concorrenza di quelle più moderne e meglio rispondenti, per tecnologia e specializzazione, alle esigenze della domanda.
Si impone quindi una nuova e più incisiva politica in materia di Marina mercantile, capace di avviare il graduale rinnovamento della flotta destinando à tal fine un volume di risorse finanziarie ben superiore a quello riservatole fino ad oggi.
Flotta Finmare
Con la promulgazione della legge 20 dicembre 1974, n. 684 si è avviato un rilevante processo di ristrutturazione della flotta FINMARE volto a conseguire:
l’abbandono del trasporto di linea internazionale passeggeri;
l’accrescimento e miglioramento del trasporto merci;
il graduale abbandono del regime di sovvenzioni statali (ad eccezione dei servizi dovuti) per passare a quello di libera imprenditorialità.
Il primo obiettivo trova ampia giustificazione nel crollo della domanda di trasporto marittimo passeggeri sulle rotte internazionali.
In proposito basterà ricordare che sulla rotta del Nord Atlantico, nel 1971, il 97,5 per cento dei passeggeri si è servita dell’aereo, il restante 2,5 per cento della nave. Nonostante ciò la FINMARE ha continuato i servizi di linea oceanici ben oltre tale data con uno sperpero di risorse che per il solo 1974 assomma a circa 80 miliardi.
Alla data di emanazione della citata legge di ristrutturazione la flotta FINMARE risultava costituita da 75 navi per un totale di 729.000 TSL di cui: 46 navi passeggeri e miste, e 29 da carico.
Con il decreto interministeriale del 28 marzo 1975 venivano fissati gli obiettivi del piano di ristrutturazione che, alla data del febbraio 1977, risultava parzialmente realizzato come segue:
immissioni: navi 17; noleggi: navi 12; radiazioni: navi 23.
Dal confronto delle cifre che precedono si rileva il sostanziale rispetto da parte della FINMARE degli impegni assunti con i sindacati al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali del personale marittimo (rendendo contestuali con le radiazioni le immissioni di nuove navi ed i noleggi. Si è registrata però egualmente una eccedenza di personale conseguente alla sostituzione delle navi passeggeri con quelle da carico, il cui impiego di personale è nettamente inferiore.
Il problema veniva parzialmente risolto, oltre che con provvedimenti tesi a facilitare l’esodo volontario, con la legge 23 giugno 1977 n. 373 che prevede il parziale riassorbimento del personale eccedente in società di navigazione miste destinate a svolgere servizi di prevalente interesse turistico ed alle quali la FINMARE partecipa in misura non inferiore al 30 per cento.
Con la stessa legge è stata prevista altresì la riqualificazione di detto personale, da svolgersi nelle more della esecuzione dei lavori di trasformazione delle navi «Ausonia», «Galilei», «Marconi» che, unitamente alla «Leonardo da Vinci», sono state destinate a svolgere, per le società suddette, i servizi di prevalente interesse turistico.
Va posto altresì nel giusto rilievo il vasto processo di razionalizzazione del trasporto marittimo effettuato dalle grandi aziende a partecipazione statale attraverso la costituzione di società miste tra FINMARE, ENI-SNAM e FINSIDER con il dichiarato intento di ricondurre il trasporto marittimo delle aziende a partecipazione statale nell’ambito della società a ciò specificamente destinata, rifiutando la tesi delle flotte aziendali per d’integrazione dei rispettivi servizi.
In esecuzione di tale direttiva sono state ad oggi costituite le seguenti società:
ALMARE (51% FINMARE + 49% tra EFIM e NAI) con un armamento di 5 navi in esercizio e 2 in costruzione.
SIDERMAR (51% FINMARE + 49% ITALSIDER) con un armamento di 20 navi destinate al trasporto di materie prime per la siderurgia.
Sono in corso trattative tra la FINMARE, la MONTEDISON e l’ENI per dar vita ad altrettante società di navigazione aventi il compito di effettuare con la MONTEDISON il cabotaggio sulle coste italiane fra gli stabilimenti della stessa società e con l’ENI il trasporto dei petroli da e per i suoi stabilimenti.
Le resistenze opposte da dette società dovranno essere rapidamente superate non solo per dare esecuzione al disposto della legge n. 684, ma per meglio garantire l’occupazione dei marittimi italiani sulle navi delle costituende società miste, navi che andrebbero a sostituire quelle noleggiate battenti spesso bandiere ombra.
La FINMARE ha altresì costituito altre due società di cui detiene il 51 per cento della azioni: la SOVIETALMARE .(con la Sonfracht di Mosca) destinata ad effettuare il brokeraggio per il trasporto di merci fra l’Italia e l’URSS e la CONTINENTALMARE (con la Continentale italiana) destinata al trasporto dei cereali ad uso nazionale e non.
In esecuzione della legge 19 maggio 1975, o. 169 la FINMARE ha poi costituito tre società destinate a svolgere il servizio di collegamento con le isole minori, gestito per l’innanzi da società private sovvenzionate dallo Stato.
Le tre società: TOREMAR, CAREMAR, SIREMAR (51% Tirrenia, 48,51% FINMARE, 0,49% precedenti gestori) dispongono attualmente di 24 navi più 6 aliscafi temporaneamente noleggiati dai precedenti gestori (sono in corso le pratiche di acquisto) mentre si prevede di dotare tali servizi, entro il 1980, di altre tredici navi nuove e altri 6 aliscafi per un investimento globale di 100 miliardi a prezzi 1976.
La stessa legge ha anche stabilito che, con decorrenza 1° gennaio 1978, il collegamento con le isole dell’alto e medio Adriatico debba essere svolto, in sostituzione degli attuali gestori, rispettivamente dal Lloyd Triestino e dalla società Adriatica.
Per valutare i concreti vantaggi derivanti dalla ristrutturazione della flotta FINMARE disposta con la legge n. 684 è indicativo il raffronto tra il regime di sovvenzioni previsto dalla precedente legislazione ed i criteri fìssati dalla legge n. 684.
Nella prima ipotesi fra il ’75 e l’80 lo Stato avrebbe dovuto sopportare un onere di 1.602,8 miliardi, nella seconda di 962,8 miliardi con un risparmio di ben 640 miliardi.
Al 1980 dovrebbe altresì invertirsi il rapporto fra il totale degli introiti derivanti dalle attività e l’onere statale: contro le attuali 66 lire di introiti da attività sulle 100 di onere statale, si prevede di giungere a lire 265 su 100 di oneri statali.
La comparazione consente di evidenziare il realizzarsi dell’obiettivo di fondo proposto con la legge n. 684: il passaggio delle attività della flotta FINMARE dal regime di sovvenzione al regime d’imprenditorialità.
Il volume di sovvenzioni che dovrà anche in futuro essere garantito alla società Tirrenia consegue esclusivamente dai servizi dovuti per il collegamento delle isole maggiori e minori con il continente italiano.
In proposito appare opportuno sottolineare l’esigenza che alle popolazioni isolane venga garantito il servizio di collegamento passeggeri-merci in termini di efficienza, intensità e costi in misura adeguata a quelli svolti con altri sistemi di trasporto sul restante territorio nazionale.
Il problema assume particolare rilevanza soprattutto per la Sardegna in considerazione della distanza che la separa dalla penisola italiana e dalla grave strozzatura costituita nel suo processo di sviluppo dalla insufficienza, dalla lentezza e dall’alto costo dei collegamenti marittimi.
Appare ormai indilazionabile dare attuazione al processo di integrazione economica e civile dei sardi con le popolazioni delle altre regioni italiane attraverso l’immissione nelle rotte sarde di navi che per capacità, tecnologia di trasporto, costo e rapidità di questo, realizzino la sostanziale parità dei diritti delle popolazioni sarde rispetto a quelle residenti nella penisola.
Il maggior costo dell’onere marittimo verrebbe per altro largamente compensato dal vigoroso impulso impresso all’espansione economica sarda e di riflesso a quella nazionale.
La penalizzazione derivante al commercio sardo dalla sproporzionata incidenza del costo dei trasporti, rendendo non competitive le esportazioni e di difficile acquisizione le importazioni, deprime i processi produttivi sia industriali (specie quelli mamifatturieri), che agricoli, incentivando la disoccupazione e rendendo irreversibile l’emarginazione della Sardegna dal contesto nazionale.
La prevista immissione, confermata dal Ministro in sede di discussione del presente bilancio, dei nuovi traghetti «Grazia Deledda» e «Giovani Verga» sulla rotta Civitavecchia-Olbia, opererà un vero e proprio salto di qualità nel trasporto misto passeggeri-auto sia nei normali traffici Sardegna-Continente che nell’incentivazione turistica dell’isola.
Si dovrà però procedere all’unificazione delle tariffe rispettivamente praticate dalla Società Tirrenia e dall’Azienda delle Ferrovie dello Stato ed a tal fine la Commissione prende atto delle assicurazioni date dal Ministro in ordine agli studi in corso per definire il controverso problema.
È opinione della Commissione che le finalità sociali cui detti servizi sono destinati postulano il livellamento delle tariffe rispetto a quelle del trasporto ferroviario ed autostradale praticate su tutto il territorio nazionale.
Contestualmente si dovrà ottenere che il Ministero dei trasporti proceda alla piena e sollecita esecuzione del programma di trasporto a mezzo dei traghetti ferroviari nella relazione marittima Civitavecchia-Golfo Aranci con l’immissione in linea dei previsti nuovi traghetti.
Non si ritiene allo stato, salvo i necessari approfondimenti, ipotizzabile un sistema integrato di trasporti terra-mare Sardegna-Corsica-Piombino, per le negative esperienze registrate dalla linea Porto Torres-Bastia-Livorno, oggi soppressa perché disertata dalla utenza.
Cantieristica
Altro importante settore che risente della generale crisi dal trasporto marittimo è quello della cantieristica.
Alla flessione dei noli connessa allo scompensato rapporto tra offerta e domanda di trasporto marittimo è conseguito in tutto il mondo un netto rallentamento nel ritmo di nuove costruzioni navali.
La crisi cantieristica mondiale è peraltro aggravata dalla dura concorrenza dei cantieri giapponesi, capaci di produrre a prezzi, mediamente inferiori, rispetto a quelli italiani del 40 per cento circa. La spiegazione va ricercata nel ricorso, largamente praticato nell’economia giapponese, alla costituzione di holding polisettoriali integrate, in cui sono largamente presenti l’industria metallurgica e le grandi banche.
Nondimeno la cantieristica italiana si trova svantaggiata anche rispetto a quella concorrente dell’Europa occidentale i cui costi sono mediamente inferiori del 18-20-25%. Va peraltro detto che l’industria cantieristica italiana ha realizzato un volume di investimenti di un certo rilievo e dispone pertanto di strutture modernamente attrezzate a competere con la concorrenza internazionale.
Le ragioni del divario vanno quindi ricercate nelle carenze organizzative, nell’insufficiente utilizzazione degli impianti, nella più bassa produttività del lavoro e nel più alto costo del denaro.
Falliti in sede OCSE i tentativi di raggiungere con la industria cantieristica giapponese un accordo che le riservi il 50 per cento circa delle nuove produzioni non resta all’Italia altra possibilità se non quella, già praticata peraltro dalla Gran Bretagna, dall’Olanda ed ultimamente anche dalla Francia, di intervenire con provvedimenti finanziari che elevino il contributo di cui alla legge 27 dicembre 1973, n. 878 al 30 per cento del prezzo contrattuale per le nuove navi.
La Commissione di studio per i problemi dell’industria delle costruzioni navali nel proporre tale soluzione ha individuato nel periodo 1° aprile 77 – 30 settembre 78 l’ambito temporale entro il quale l’incentivazione dovrebbe operare.
Dal beneficio dovrebbero essere escluse le commesse provenienti dai Paesi esteri aderenti alla Comunità economica europea; la limitazione proposta tende a mobilitare la domanda interna riservandole la maggior quota possibile di risorse finanziarie. L’impegno relativo non dovrebbe essere inferiore ai 250 miliardi.
In mancanza si andrebbe incontro alla progressiva paralisi dell’attività cantieristica con danni economici e sociali di eccezionale rilevanza.
Non è inutile ricordare il ruolo trainante dall’industria cantieristica, non solo in relazione alla sua funzione strategica nel contesto dell’economia nazionale, ma in rapporto altresì alle molteplici attività produttive che è capace di coinvolgere e mobilitare con benefici riflessi sull’occupazione e sullo sviluppo civile del nostro Paese.
Il ministro Lattanzio, condividendo le indicazioni della Commissione, ha assicurato che è allo studio un disegno di legge che affronti la emergenza in attesa di elaborare, attraverso un proficuo confronto con il Ministero delle partecipazioni statali e con il contributo delle organizzazioni sindacali, un piano di settore che ridia ordine, funzionalità ed efficienza all’industria cantieristica. Un ulteriore disegno di legge è in corso di predisposizione per quanto riguarda il rifinanziamento delle leggi sul credito navale e lo snellimento delle procedure di erogazione dei finanziamenti.
Il Ministro ha anche precisato di aver ottenuto dai responsabili della FINCANTIERI sicure garanzie per l’immediata applicazione dei predetti provvedimenti e v-ì? scongiurare quindi il ricorso alla cassa integratone quantomeno per il 1978.
CREDITO NAVALE
Il tema del credito navale costituisce uno degli aspetti più rilevanti e controversi della politica d’incentivazione della Marina mercantile.
La macchinosità delle procedure previste dalla vigente legislazione per l’erogazione dei contributi sugli interessi dei mutui concessi dalle banche a tale titolo, rappresenta un punto di debolezza dell’intero aspetto finanziario connesso alle nuove costruzioni.
Le erogazioni infatti vengono effettuate con grande ritardo vanificando in buona parte i benefici effetti dell’incentivazione. È da rilevare peraltro la non rispondenza della legge all’attuale dinamica del costo del denaro.
Ciò dipende dalla sostanziale stabilità del valore della moneta all’epoca in cui venne promulgata la legge (gennaio ’62).
L’inflazione ha sconvolto i presupposti della previsione legislativa facendo lievitare il costo del denaro per cui il contributo oggi erogabile per l’abbattimento degli interessi copre una parte ben modesta di questi; le banche, peraltro, sono restie a concedere mutui in considerazione del maggior rischio derivante dall’esposizione.
Occorre quindi rivedere tutto il meccanismo della legge lasciando all’operatore pubblico un margine di elasticità che gli consenta di valutare l’effettivo costo dell’operazione finanziaria in relazione al momento in cui viene assentito il contributo sugli interessi.
L’indicare in una legge una misura standard significa dar vita ad uno strumento rigido di difficile applicazione che in breve volgere di tempo potrebbe essere superato ed inutile.
Il Ministro ha assicurato la propria disponibilità per studiare e proporre soluzioni legislative capaci di snellire le procedure e superare le distorsioni che inceppano i meccanismi di erogazione. Ha ricordato però come i capitoli di bilancio del credito navale siano suscettibili di dar luogo a rilevanti residui passivi soprattutto per i tempi non brevi necessari all’espletamento dei diversi adempimenti ed anche per i tempi tecnici occorrenti ai cantieri per realizzare le nuove costruzioni.
Un altro aspetto attiene al momento dell’intervento sì da consentire previe opportune garanzie, una congrua disponibilità finanziaria sin dall’inizio dei lavori di costruzione.
Il terzo aspetto infine s’incentra sul discusso problema di quale dei due soggetti debba essere beneficiario del finanziamento: l’armatore committente o l’industria cantieristica cui i lavori sono stati commissionati.
La Commissione, pur con qualche dissenso, non ha contrastato l’indicazione espressa dal relatore volta a privilegiare il momento industriale su quello finanziario che verrebbe comunque salvaguardato dal minor costo che l’armatore verrebbe a pagare per la nave.
L’incentivazione per altro non rappresenta un premio né per l’armatore, né per il cantiere, ma uno strumento essenziale del processo produttivo.

Pesca
Nel contesto del bilancio della Marina mercantile il settore della pesca appare decisamente sottovalutato in rapporto al rilevante ruolo che esso potenzialmente potrebbe svolgere per riequilibrare e sviluppare l’economia nazionale. Opportunamente programmata e sorretta l’attività di pesca offrirebbe un significativo contributo per ridurre il crescente deficit registrato dalla bilancia dei pagamenti nel settore alimentare. Rilevante è altresì il numero di addetti che essa assorbe ma che, potenzialmente, potrebbe assorbire se adeguatamente sostenuta.
Al 31 dicembre 1975 il naviglio da pesca italiano ora costituito da 1648 navi di cui 335 superiori alle 100 TSL per un totale di 99,574 TSL e 1313 navi inferiori alle 100 TSL per un totale di 60.387 TSL.
Dalle cifre su esposte risulta il carattere prevalentemente artigianale della pesca quale è praticata in Italia. La netta prevalenza delle piccole imbarcazioni dimostra come la marineria italiana restringa il suo campo di azione all’interno di ambiti marittimi ben delimitati senza competere nei grandi spazi oceanici e nello stesso Mediterraneo con quelle concorrenti.
Solo in presenza di un vigoroso impulso impresso dal Governo all’intero settore è possibile ipotizzare il ribaltamento dell’attuale impostazione. S’impone quindi un salto di qualità che trasformi le attività di pesca dall’attuale struttura artigianale in una moderna e dinamica organizzazione industriale capace di garantire alti livelli produttivi a costi unitariamente minori.
Gli incentivi, in verità esigui ed inadeguati, erogati in favore di piccole aziende a carattere familiare assumono una funzione di tipo assistenziale e spesso clientelare con effetti dispersivi ed inconcludenti.
La Commissione, confortata dal pieno consenso del Ministro, ritiene che la via da percorrere sia quella di incoraggiare l’associazionismo dei produttori incentivando l’acquisizione dell’armamento modernamente strutturato con navi specializzate in grado di consentire la prima lavorazione del pescato, nonché la sua refrigerazione e conservazione.
Contestualmente dovranno predisporsi gli impianti a terra nei quali procedere all’ulteriore fase di lavorazione, conservazione e commercializzazione del prodotto onde rompere le paralizzanti strettoie oggi costituite dalle potenti organizzazioni che condizionano il mercato a fini eminentemente speculativi.
In proposito giova ricordare il rapido decrescere produttivo delle «tonnare» presenti in molte parti del territorio nazionale, conseguente, più che alla diminuzione dei fenomeni migratori dei tonni, alla costante presenza di flotte da pesca giapponesi specializzate nella cattura in mare aperto.
Lo studio di moderne tecnologie per la ricerca e l’individuazione dei banchi di pesce e l’adozione di sistemi di cattura sconosciuti alla nostra pratica ed esperienza, consentono loro di battere i nostri mari effettuandovi campagne così intensive da mettere in pericolo lo stesso equilibrio riproduttivo.
È di conforto l’assicurazione del Ministro circa l’impegno particolare del Governo nella delimitazione delle zone economiche di pesca che, secondo accordi internazionali, dovrebbero estendersi fino a 200 km. dalla costa nazionale, così come pure, data la collocazione geografica dell’Italia, ci sono di conforto le informazioni fornite dal Ministro circa le trattative in corso con alcuni paesi rivieraschi ed africana per la definizione di accordi di pesca.
Da quanto sopra esposto scaturiscono le non poche perplessità derivanti dalle cospicue riduzioni degli stanziamenti destinati nel bilancio della Marina mercantile al settore della pesca.
Un aspetto che meriterebbe maggiore attenzione di quanta sino ad oggi ve ne sia stata dedicata è costituito dalla produzione artificiale dei pesci nell’ambito di vere e proprie fattorie sottomarine. Sperimentazioni in questo senso sono state fatte in altri Paesi con esito largamente positivo. Posto che il ritmo dell’incremento demografico dell’umanità è decisamente superiore all’aumento delle risorse, si dovrà fare sempre più affidamento sulle enormi possibilità che, secondo la gran parte degli studiosi, sono offerte dal mare.
A tal fine si dovranno prendere in seria riconsiderazione gli effetti negativi conseguenti all’imponente sviluppo della pesca subacquea in apnea e con auto-respiratori esercitata da una moltitudine di dilettanti italiani e stranieri. Si registra infatti la graduale scomparsa di gran parte dei pesci dalla fascia costiera normalmente battuta dai cacciatori subacquei.
Il problema si va ponendo in termini di vero e proprio mutamento ecologico e va preso in seria considerazione in relazione ad una nuova disciplina della pesca subacquea per la quale la Commissione prende atto dell’impegno espresso dal Ministro.
Demanio
Connesso a tutti i problemi del mare è quello del demanio marittimo. Per le implicazioni di ordine giuridico, amministrativo, economico, urbanistico che esso coinvolge appare sempre più urgente definire in nuove norme legislative la sua tutela nel rispetto delle competenze regionali riconosciute dalla legge n. 382.
La preoccupazione primaria dovrà essere quella di contrastare il processo di privatizzazione selvaggia realizzata in questi ultimi vent’anni su gran parte delle aree costiere retrostanti il lido del mare, quando non anche sullo stesso.
I nuovi insediamenti, oltre a limitare gravemente il diritto di accesso al mare per intere comunità, hanno sovvertito con brutale violenza l’assetto paesaggistico di vaste e importanti zone, per l’innanzi note per suggestiva bellezza, modificandone e degradandone lo stesso equilibrio ecologico.
Si impone quindi la repressione dell’abusivismo restituendo al demanio marittimo quel ruolo di bene pubblico al servizio di tutti e non di fasce più o meno consistenti di privilegiati.
Le prospettive offerte da una razionale generalizzata fruibilità del mare consente d’imprimere un rilevante sviluppo all’industria turistica offrendo nel contempo nuovi spazi sociali per il godimento del tempo libero a quanti sonora, per evidenti ragioni, ne sono stati esclusi.
Particolare attenzione dovrà essere dedicata alla disciplina degli insediamenti da ubicare su aree demaniali in relazione ad attività produttive di tipo industriale o commerciale sia per quanto attiene alle modificazioni profonde derivanti all’assetto urbanistico che per i pericoli di inquinamento degli antistanti specchi d’acqua.
La Commissione sottolinea l’urgenza di pervenire ad una nuova e diversa disciplina delle concessioni al fine di renderle coerenti al mutato criterio di utilizzazione del demanio marittimo ed al valore intrinseco di questo patrimonio.
INQUINAMENTO
In stretta correlazione con quanto sin qui detto appare ormai indilazionabile un serio discorso sui problemi nascenti dall’inquinamento.
Lo scarico a mare delle acque biologiche defluenti dai grandi insediamenti urbani, delle acque di produzione industriale non depurate o, quantomeno, non adeguatamente depurate, l’irresponsabile pratica di riversare in mare le morchie e le acque di lavaggio delle petroliere, il quotidiano scarico in mare dei rifiuti accumulatisi sulle grandi navi passeggeri e merci, hanno determinato un notevole processo di degradazione ecologica del Mediterraneo.
La legge Merli ha invero avviato a soluzione il problema, ma il suo stato di attuazione è ben lontano dal realizzare gli obiettivi propostisi.
Anche la legge n. 203 dell’aprile 1976 pur se attuata — è da notare per inciso che il relativo stanziamento è stato quest’anno inspiegabilmente soppresso — sortirà effetti del tutto parziali essendo il suo ambito di azione limitato soltanto ad 8 porti italiani.
Si ritiene quindi estremamente opportuno studiare l’estensione della sua applicazione su tutto il territorio nazionale realizzando a tal fine l’organizzazione tecnica necessaria per attivarne le procedure: laddove non esistano i bacini dei carenaggio, ma si registri comunque traffico più o meno intenso di petroliere dovrà essere predisposta dalle aziende a partecipazione statale quanto meno un’officina in grado di garantire il realizzarsi degli obiettivi previsti dalla legge.
Va da sé che il problema non è solo italiano e non può esaurirsi nell’ambito della nostra normativa e della sua pur corretta attuazione.
Si dovrà perciò dispiegare ogni utile azione a livello internazionale anzitutto coi Paesi mediterranei, per attuare gli accordi internazionali di salvaguardia dall’inquinamento.
Il significato di tale impegno trascende gli aspetti intrinseci connessi alla conservazione dell’immenso patrimonio derivante dal mare ponendosi piuttosto come tema di civiltà.
Nautica da diporto
In Italia è presente una fiorente industria che produce, ed in parte esporta, imbarcazioni da turismo. È un settore che va incoraggiato favorendo le condizioni per lo sviluppo di centri di assistenza come peraltro avviene
in gran parte dei Paesi stranieri. Contestualmente dovrà svilupparsi-un organico programma di porticcioli turistici realizzabili con tecniche dal costo estremamente ridotto. In proposito esistono nella, vicina Corsica esempi ed esperienze particolarmente indicativi.

Si offrirebbero così al turismo internazionale concrete possibilità di incremento il cui valore economico supera di gran lunga le spese di investimento. Tutto ciò in aggiunta all’impulso che verrebbe impresso all’industria cantieristica minore.
Nel concludere, questa esposizione occorre dare uno sguardo un po’ più ravvicinato ai dati specifici del bilancio che è sottoposto al nostro esame. Ed un’analisi particolare delle poste di bilancio si impone tanto più questo anno in presenza del fatto che tagli considerevoli sono stati operati su voci anche di grande rilievo.
La prima constatazione dalla quale si può partire è che il totale della spesa del Ministero della Marina mercantile previsto per il 1978 arriva a 293 miliardi circa, pari allo 0,48 per cento del totale della spesa del bilancio dello Stato, contro i 542 miliardi circa dallo scorso anno, pari all’1,15 par cento della spesa totale. Si tratta in termini assoluti di circa 250 miliardi in meno e in termini relativi di una caduta a un livello sensibilmente inferiore al 50 per cento rispetto all’anno scorso.
È poi da tenere conto del fatto che per il 1978 i 293 miliardi di spesa sono da ricondurre per 218 miliardi alle spese correnti e 75 miliardi alle spese in conto capitale, mentre i 542 miliardi del bilancio precedente erano ripartiti in 439 miliardi per la spesa corrente e 103 miliardi in conto capitale. Il capitolo che ha subito la maggiore decurtazione è il 3061 che da 409 è stato ridotto a 186 miliardi con un taglio netto di oltre 223 miliardi. Le ragioni di questa operazione vanno certamente ricercate nel fatto che è venuto a mancare l’onere di circa 90 miliardi relativo alla copertura delle pendenze FINMARE per gli anni antecedenti. Tuttavia la caduta di questo onere non giustifica per intero una riduzione di 223 miliardi. II capitolo 3061 è infatti un capitolo quanto mai vasto ed eterogeneo, all’interno del quale non è facile capire quali movimenti siano stati ipotizzati dal Governo nei decidere il taglio.
Riduzioni piuttosto significative si riscontrano anche nella spesa in conto capitale; tra queste di rilievo l’eliminazione di ogni contributo dal capitolo 7543 (contributo per la costruzione di nuove navi mercantili e loro trasformazione), la riduzione sul capitello 7551 di 7 miliardi e mezzo (contributo alle imprese di costruzione, riparazione e demolizione di navi mercantili), la riduzione di o miliardi del capitolo 8051 (contributi perla progettazione e la costruzione di impianti di depurazione nei principali porti italiani). Così come sono da segnalare ancora 2 i tagli da 1,5 miliardi ciascuno ai capitoli 8021 e 8554, il primo relativo ai porti di Ancona, Cagliari, Livorno, La Spezia, Messina e il secondo relativo al contributo per le industrie del commercio dei prodotti ittici. Tutte queste decurtazioni sono motivate con riferimento all’articolo 208 del disegno di legge di approvazione del bilancio dello Stato che introduce una novità di grande rilievo nella stortura stessa del nostro bilancio generale; mentre infatti in assenza di queste norme il bilancio dello Stato costituiva una atto formale riassuntivo della legislazione vigente e non poteva comportare quindi né aumenti di spesa né tagli rispetto alle decisioni precedentemente prese (salvo alcuni capitoli relativi alla gestione corrente) quest’anno, con l’articolo 208, il Governo di fatto chiede l’autorizzazione a rivedere tutte le voci di bilancio. Si tenga presente che il Governo, insieme alla legge formale di bilancio, la quale viene considerata ancora tale malgrado l’articolo 208, ha presentato un disegno di legge, il n. 911, che specialisti e stampa hanno indicato come la legge sostanziale di bilancio.
Se ciò renderà più verosimile la lettura del bilancio non è totalmente evitato l’accumulo di cospicui residui passivi che rappresentano una immobilizzazione di risorse preziose. A questo proposito va segnalata la necessità urgente di rivedere radicalmente le leggi ed i meccanismi di utilizzazione dei finanziamenti onde eliminare i fattori che inceppano e ritardano la spesa consentendo appunto la formazione dei residui passivi.
Infine la Commissione richiama l’attenzione sulla opportunità di una rivalutazione dei canoni demaniali e delle tasse portuali che forniscono un gettito assolutamente al di sotto del costo dei servizi prestati dallo Stato e non tengono conto dei sensibili incrementi di valore registratisi a causa del processo inflattivo.
La 8a Commissione, al termine dell’esame del bilancio del Ministero della marina mercantile, ha ritenuto doveroso esprimere un parere sostanzialmente favorevole pur con le osservazioni in precedenza svolte e nella prospettiva di una diversa, più adeguata impostazione del bilancio dello Stato.
Melis, relatore

Atti parlamentari, Senato della Repubblica, Legislatura VII, disegni di legge – documenti