Ricordo di Emanuele Cao

(2000)

Lo conobbi, intorno al 1945, nell’ambito del Partito, forse da Piero Sog­giu o da mio fratello Giovanni Battista Melis dai quali era stimato e con­siderato, oltre che compagno di lotta, amico.

I nostri rapporti, sin da subito, si svilupparono sulla base di re­ci­pro­ca confidenza e solidarietà, come ci fossimo conosciuti da sempre.

Dotato di temperamento spontaneo era dotato di vigoroso buon sen­so nell’individuare obiettivi e procedure per realizzarli; a mio avvi­so il suo spirito generoso era illuminato da intelligenza intuitiva che bruciando ragionamenti, comparazioni e difficoltà coglieva i pun­ti nevralgici dei problemi e li affrontava con efficienza e forte determinazione. Era buono, aperto al confronto, senza apriorismi dogmatici, sempre di­sponibile a soluzioni gratificanti sia sul piano politico che, più ge­nericamente, umano, senza ombra di compromessi ma nello spi­rito della reciproca comprensione.

Viveva consapevolmente il quotidiano, ma ogni sua azione, nei limiti del possibile, era ispirata a realizzare premesse e strumenti volti ad aprire le vie del futuro. Il suo pensiero spaziava con na­tu­ra­le vocazione, senza presunzioni dottrinarie negli orizzonti lon­ta­ni, oltre i quali intuiva con fede, razionalità, entusiasmo e, perché no? Utopia le sassose ma esaltanti vie del progresso sia eco­no­mico-sociale, ma, soprattutto, per i valori di cui era permeato, morale. Era di un senso pratico ferreo.

Dicevo come Emanuele vivesse consapevolmente il quotidiano guar­dando al futuro. A mio avviso la sua personalità emerge e si de­finisce nella complessa e molteplice attività svolta nei campi più diversi che caratterizzano la zona (dal Mandrolisai all’Ori­sta­ne­se). Sensibile ai valori tradizionali espressi dalla civiltà contadino-pastorale, profonde ogni sua energia nell’esaltarne le potenzialità tanto nel campo economico-sociale che culturale.

Dopo aver fondato la “pro loco” ed il gruppo folk (che ottenne si­gni­fi­ca­tivo successo tanto in Sardegna che in Italia e all’estero) rivolse la sua attenzione al settore dell’artigianato intuendone le poten­zia­lità creative e l’impulso allo sviluppo di tutta la zona. In questo spirito, dopo aver sollecitato la partecipazione della cate­go­ria e delle amministrazioni comunali di decine di paesi, diede vi­ta alla Mostra dell’Artigianato nell’ambito della più ampia mostra etno­grafica che si svolse, con ampia partecipazione intercomunale a Samugheo. Il fatto va ben oltre, sul piano politico, i pur rilevanti aspetti sopra ri­cordati, nella chiara prospettiva del superamento del vecchio cam­panilismo paesano per dar vita ad una solidarietà popolare che do­veva coinvolgere l’intero popolo sardo.

Emanuele Cao rivelò sin da subito un’ampia visione politica per cui i singoli problemi erano da lui avvertiti nel quadro del generale pro­gresso sardo.

L’iniziativa della valorizzazione artigianale dimostra la spiccata sen­sibilità per la multiforme gamma espressiva raggiunta in Sardegna nella grande varietà dei tappeti, arazzi, mantiglie, ri­ca­mi, come nella ricca diversità delle artistiche cassapanche o dei pre­gevoli lavori in ferro battuto come nell’oggettistica di uso co­mu­ne, pratica, funzionale, elegante. Meleddu seppe cogliere quella mi­steriosa genialità che esprime l’unicità del popolo sardo e la ne­ces­sità che tutti ne prendano coscienza per trasformare l’arte in forza di popolo e, perché no? di nazione sarda formatasi nel dolore del­la subalternità, ma creativamente attiva, con fascinose va­rian­ti, unitaria anche nelle tradizioni, usi, costumi, cultura e lingua.

Meleddu visse il suo impegno amministrativo con empito politico innovatore, amando Samugheo che, con silenziosa tenacia, dotò di infrastrutture essenziali. Si deve a lui la realizzazione dell’acque­dotto che ha portato in ogni famiglia il respiro essenziale della vita costituita dall’acqua che per l’innanzi andavano a prendere in sor­genti lontane dal paese 5 ore di cammino. All’acquedotto seguì la fo­gnatura ed altre importanti opere, quale la rete di strade rurali che concepì anche in funzione di collegamento con i paesi vici­nio­ri come Asuni, Atzara, Busachi. Dopo l’esperienza comunale fu eletto Consigliere provinciale ed assessore a Cagliari e quindi rieletto ad Oristano.

Altro aspetto che esalta la personalità politica di Meleddu Cao è l’interesse dedicato ai miseri pescatori di Cabras che, di sua ini­zia­tiva, organizzò in cooperativa diventandone, per unanime voto, Pre­sidente. In questa veste acquistò il primo peschereccio gestito dai cooperatori.

A suo merito va sottolineato che non trasse utile economico dal­l’at­tività politico-amministrativa cui dedicò la parte prevalente del tem­po e delle energie proprio negli anni in cui la sua giovinezza di­ventava maturità e volgeva oltre. Meleddu esercitò con alta professionalità l’attività di avvocato con­tan­do, in coerenza con il suo apostolato di vita, su una vasta clien­tela di povera gente alla quale ha dedicato con passione e com­pe­tenza il suo lavoro.

Nel concludere cito un episodio nel quale Meleddu mi ha coinvolto. Militava nel Partito, ad Oristano, un giovane intellettuale che non aveva alcuna buona disposizione nei miei confronti. Mi criticava ol­tre l’ambito politico per dirne male. Poiché non era riuscito a di­strug­germi, minacciò di uscire dal Partito. Meleddu che amava il Partito (sarebbe meglio dire il suo ruolo) più delle persone, mi chie­se di partecipare ad Oristano ad una assemblea di sezione che, quale ospite, avrei presieduto, pur consapevole che vi avrebbe par­tecipato il giovane intellettuale, mio inesorabile critico.

Mi chiese di accettare democraticamente le critiche evitando rea­zio­ni offese e motivando, con rispetto delle diverse opinioni, le ra­gio­ni del mio operare. Richiesto da Lui, conoscendone l’onestà e condividendone i fini, accettai, partecipando all’assemblea nel cor­so della quale fui più che criticato, insultato. Non so quanto fu sag­gio Meleddu in quella circostanza. Io sopportai, spiegai e proposi; nella circostanza inutilmente, ma in seguito il giovane divenne mio amico e puntò le sue armi dialettiche proprio contro Meleddu che certo non le meritava.

Era Emanuele un lottatore generoso, pieno di illusioni ed entusiasmo, operava, realizzava, dava se stesso, con un can­do­re e limpidezza morale che ne fanno una pietra angolare sulla qua­le costruire la forza di un popolo che senza iattanza, ma con di­gni­tà e coscienza di sé, diritti, doveri e responsabilità, guarda, in spirito di libertà, al proprio futuro.